giovedì 30 giugno 2011

Progetti, idee e... soddisfazioni

Ci sono lavori che danno una soddisfazione particolare. Non sai bene perché ma li senti diversi, più belli, più tuoi. Magari per il tipo di cliente, per la libertà che ti viene data, per la velocità in cui ti arrivano gli "approvato, bel lavoro", per la simpatia e la sincerità dei responsabili. O per tutte queste cose insieme. Spesso non è il progetto più creativo che hai realizzato in vita tua ma è quello in cui hai avuto delle piccole, semplici idee che, a posteriori, giudichi davvero belle. E magari, all'inizio, neanche te ne rendevi conto. Ma andiamo con ordine e iniziamo dai fatti.

Qualche mese fa, un'azienda di telecomunicazioni toscana, non un colosso ma una realtà in continua crescita, aveva bisogno di una persona che organizzasse i contenuti e scrivesse i testi del loro nuovo company profile, lavorando fianco a fianco con la persona incaricata della sua impostazione e realizzazione. Il grafico è Marco Bruni, titolare di Display Design, con cui ho già lavorato spesso (qui per esempio) perché ci integriamo molto bene. Lui mi chiama, organizziamo una riunione, presento il budget e, in tempi brevi, lo approvano. Dopo 4 mesi di lavoro è tutto pronto ma l'azienda sta cambiando, è fatta così, sempre in evoluzione. Allora servono alcuni aggiustamenti, che vengono fatti. Ora è pronta, la trovate sul sito di Ambrogio Next e qui sotto (oltre a un paio di screenshot).

Questa azienda è giovane (età media sui 30 anni), dinamica e molto legata al territorio dove opera, la Toscana. In più, si presenta benissimo a una persona esterna, dato che negli uffici regna una bella atmosfera e si viene accolti con un largo sorriso da tutti, dai soci alla segretaria. Queste sono cose che descrivono una società molto più dei dati di fatturato, per esperienza personale. Durante il lavoro, poi, ha concesso quel pizzico di ironia (e, soprattutto, autoironia) così raro da trovare in un'azienda italiana. Questo mix ha fatto nascere alcune idee particolari, fatto significativo se si pensa che un company profile aziendale è generalmente molto austero e formale. Eccole:
  • Chi siamo? No, chi sono. Dato che l'azienda ha un nome proprio (Ambrogio), propongo di "giocare" sul legame (voluto) col famoso maggiordomo della pubblicità. "Buongiorno, sono Ambrogio e vi presento la mia società..." è l'inizio della prima pagina del company profile. Questo personaggio, di pura fantasia, descrive l'azienda identificandosi con essa, con un tono diretto e informale. Questo sottolinea il carattere giovane ma sicuro di sé proprio della società.
    • Punti di forza: molti, soprattutto per il cliente. La società offre un servizio personalizzato, con agenti diretti che gestiscono i rapporti coi clienti. Niente call center ma un vero e proprio consulente dedicato. Lo spieghiamo chiaro e tondo perché è un valore aggiunto notevole in un settore come quello delle telecomunicazioni.
    • Uno staff giovane e molto "rosa". Ci sono tanti ragazzi giovani, flessibili e motivati in azienda, per questo nasce subito l'idea di trasferire questo dato sul documento. Un testo non basta, ci vuole di più. Io e il grafico facciamo fare foto dedicate a tutti i dipendenti, a figura intera, che vengono messe in una pagina dedicata. Tutti i dipendenti sono intorno a un'immagine simbolica dell'azienda (realizzata ex novo e con un certo stile, riconoscibile da ogni addetto ai lavori): i soci fondatori, i ragazzi e le ragazze, tutti insieme, alla pari (dopo aver dato la liberatoria). Un particolare: le donne rappresentano il 50% del totale e parliamo di un'azienda attiva in un settore, come le telecomunicazioni, tradizionalmente dominato dagli uomini. Altro che "quote rosa".
    • Le immagini, il vero valore aggiunto: la selezione delle foto è stata una delle cose più difficili, perché necessitava un perfetto equilibrio tra professionalità e giovinezza, con un leggero pizzico di autoironia. Ci sono consulenti che corrono come cartoni animati alle loro Fiat 500 marchiate Ambrogio e seri dipendenti impegnati ai loro PC, c'è Bobo Vieri (testimonial "per amicizia" della società) vicino al marchio ENI (commercializzano anche i servizi di energia e gas). Devo dire che non era facile ma ci siamo riusciti.
    • Numeri positivi e "sempreverdi": dalla sua fondazione a oggi, l'azienda è sempre cresciuta. Un dato da sottolineare per bene. Ho chiesto loro i dati precisi e li ho messi nei testi. Ma non numeri semplici come il fatturato 2010, che diventano "vecchi" in poco tempo, ma crescite tendenziali. Uno su tutti: +80% è la crescita media del fatturato dal 2003 ad oggi. Gli altri li trovate a pagina 16, tutti molto positivi.



      Ora il company profile è pronto, è venuto fuori un ottimo lavoro grazie soprattutto alla bravura e alla serietà di Marco (Bruni). Quei contenuti andranno ai clienti, attivi e potenziali. Sono molto curioso di sapere quale sarà il loro giudizio, perché, non dimentichiamolo, saranno loro a decretarne o meno il successo. Però una cosa la posso dire adesso, senza timore di sbilanciarmi: sono anche molto ottimista.

        giovedì 23 giugno 2011

        NATO per i blog


        Quando mi sono laureato, e non parlo del 1950, non c'erano lauree specialistiche nella comunicazione. O, almeno, non conoscevo atenei in Veneto che se ne occupassero. Perché la comunicazione era un tema molto meno presente nella vita quotidiana, anche a livello di studio, e non avevo preso neanche in considerazione la cosa. Per una serie di motivi avevo scelto Scienze Politiche, soprattutto perché mi affascinava l'idea di specializzarmi nelle relazioni internazionali e di conoscere il passato e il presente da fonti dirette (due capitoli della mia tesi li ho fatti interamente sull'analisi delle trascrizioni diplomatiche, leggendo cablogrammi "alla Wikileaks" degli anni '60). L'obiettivo era quello di fare esperienze a livello di istituzioni ed enti europei. Poi ho cambiato strada, perché un paio di concorsi non sono andati bene e, soprattutto, perché non avevo "padrini". Il mondo della comunicazione l'ho scoperto nel 2000, nella Pubblica Amministrazione (pazzesco, no?): me ne sono innamorato e lo sono ancora, anche oggi. Dalle relazioni internazionali alle relazioni pubbliche, sempre relazioni sono.

        Ma l'interesse per i foreign affairs mi è rimasto e ho incontrato persone che lavorano nell'Unione Europea e nella NATO (anche grazie al fatto che sono Ufficiale degli Alpini). Per curiosità professionale, recentemente sono andato a vedermi la pagina Facebook dell'Alleanza Atlantica, trovando una marea di contenuti interessanti e fatti molto bene. Bravi, mi sono detto. Ma mai avrei pensato che organizzassero cose così: un amico di rete, Luca Conti, andrà a fare il blogger embedded in un teatro operativo molto caldo come l'Afghanistan. Viaggerà a fianco delle truppe NATO per far vedere com'è davvero la situazione in quel paese, facendo aggiornamenti direttamente sui profili Twitter e Facebook. Nel mio immaginario, questo ruolo era riservato ancora a giornalisti d'assalto e a inviati di guerra temerari, figure quasi leggendarie (lasciando stare Fabio Caressa di SKY, eccezione che conferma la regola), non a un blogger che posso contattare online in 5 secondi, quando voglio. Il che conferma, ancora una volta, quanto lo status di chi scrive in rete sia aumentato esponenzialmente, almeno nella percezione americana. Insieme a Luca, viaggeranno "due ragazze e tre ragazzi provenienti da Germania, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, tutti o quasi giornalisti di testate online". Fantastico.

        Penso che Luca non avrebbe mai immaginato di fare un'esperienza del genere. Questa cosa conferma, ancora una volta, come la vita ti porti in strade impreviste fino a qualche settimana o mese prima. Lo confesso apertamente, provo un po' di (sana) invidia per Luca. Perché questa esperienza coniuga in una parola, eDiplomacy, due mondi, quello delle mie aspirazioni passate con quelle della mia realtà di oggi. Deve essere una cosa che ricorderai finché vivi, soprattutto rileggendo i post e i tweet che hai scritto da qualche paesino sperduto a decine di chilometri da Kabul. In più, mi fa riflettere molto. Da noi alcune aziende ti guardano storto se chiedi loro un'intervista o di andare a vedere i loro stabilimenti produttivi, per parlarne senza (incredibilmente, secondo loro) pretendere un corrispettivo monetario. La NATO, invece, invita alcuni comunicatori online ad andare in un teatro operativo e, investendo risorse e formazione per la loro tutela, da loro la possibilità (entro certi limiti, ovviamente) di descrivere quello che vedono. Una lezione sull'importanza della comunicazione più fragorosa di un decollo di un aereo da combattimento. Intanto, Luca, un grande in bocca al lupo!

        P.S. L'immagine è legata a questa striscia di fumetti favolosa. E qui ci sono le t-shirt

        lunedì 20 giugno 2011

        Uno spazio pubblico dove "socializzare" meglio

        I social media allontanano lo spazio di discussione dagli ambienti classici, ossia quelli delle aziende e degli enti pubblici, verso le persone, verso i cittadini. Questa è sicuramente una rivoluzione epocale a livello di comunicazione e, obiettivamente, è molto positiva. Ma se tu sei un'azienda o un ente pubblico, questo allontanamento non è troppo sbilanciato? Passare dal ricevere il singolo cittadino o cliente dentro le sicure mura dei tuoi uffici all'andare a discutere, in netta minoranza, in una piazza virtuale di qualcun altro è sicuramente un bel salto. E come si sceglie cosa o chi ascoltare? Questi sono alcuni temi, molto interessanti, sottolineati dal moderatore Claudio Forghieri e discussi all'interno dell'evento “Idee in circolo”, organizzato venerdì scorso a Bologna da TagBoLab.

        Noi utenti siamo molto contenti di poter dialogare con un'azienda o un ente direttamente online, in uno spazio neutro (in realtà, di un terzo soggetto). Ed è cosa buona e giusta, ci mancherebbe altro. Però, al tempo stesso, mettiamoci nei panni di un sindaco: le fonti di preoccupazione possono essere molte e condivisibili. Come ha detto il professor Roberto Grandi, i Social Media fanno parte integrante della sfera pubblica, uno spazio dove c'è dibattito e in cui ognuno può contribuire ad arricchire la discussione. Tuttavia, oltre a mancare un sistema di moderazione, devono anche realizzarsi dei meccanismi precisi che portino alle decisioni effettive. E qui sta una delle questioni principali: come si possono analizzare le proposte che vengono dalla rete, dove spesso la critica è tutt'altro che costruttiva, in vista del processo decisionale?

        Noi spesso critichiamo aprioristicamente gli enti pubblici. Sono inefficienti, non ascoltano i cittadini, hanno procedure rimaste a 15-20 anni fa. Tutto vero. Nella città dove vivo, ci hanno messo un mese per protocollare una segnalazione di un marciapiede molto ghiacciato vicino alla stazione (pericoloso per le persone), terminando la risposta con un “mi dispiace ma abbiamo altre priorità”. Esperienza personale, mica sentito dire. Detto questo, è evidente che “non si può pensare di dialogare con un'istituzione” (Fleur Cowan), non è una persona e i meccanismi sono molto più complessi. L'unica cosa certa è che cittadini ed enti hanno molto da imparare l'uno dall'altro. Sicuramente, il mondo pubblico e quello politico devono ancora capire molto su come “funziona” la rete e i Social Media (un grottesco esempio). Il massacro della Moratti a Milano è un esempio lampante su “cosa non fare”, per quanto riguarda il “cosa fare” non c'è una risposta univoca, valida per tutti.

        Intanto, porrò al mio Comune un ennesimo tema di riflessione: Rimini ha “aperto” la bacheca della propria pagina su Facebook alle segnalazioni dirette dei cittadini/utenti, dando poi conferma sulle attività realizzate in seguito a queste (citando eventuali numeri di protocollo). Un esempio pratico, reale e semplice su come i Social Network possano essere usati per avere una miniera d'oro di informazioni su cosa pensano i propri cittadini, e del tutto gratuita. Certo, non è tutto oro quel che luccica, ci vuole un team dedicato e formato per la sua gestione, per garantire risposte veloci e competenti. Ma iniziate a pensarci. Noi cittadini possiamo essere molto propositivi (io qualche idea l'ho già espressa e qualche esempio di enti virtuosi l'ho già citato) così come i Comuni possono essere molto più ricettivi. L'obiettivo è trovare uno spazio pubblico più adeguato alle esigenze di entrambi. Questo sì che sarebbe rivoluzionario.

        venerdì 10 giugno 2011

        Content in motion

        Io per lavoro preparo contenuti. E spesso i miei clienti associano, automaticamente, la mia attività a parole, claim, paragrafi e testi. E a slogan, nella peggiore delle ipotesi (visto che non faccio il pubblicitario ma spesso vengo percepito come tale). In ogni caso, il mio lavoro è essere creativo, avere un'idea e battere testi sopra un PC. Invece, generalmente alla prima riunione che faccio con un'azienda, spiego sempre due cose:


        Ho già scritto (qui) di quanto possa essere di impatto un'immagine di un prodotto apparentemente difficile da comunicare, cercando di ottenere un buon risultato grafico e cromatico. Guardate la turbina qui sotto (Moog), per esempio. Sorprendente, no?

        Di altri esempi ce ne sono, basta andare a cercare. Su Flickr e YouTube si trovano ottime cose. Ma facciamo un esempio più, diciamo, chiaro: siamo la città di New York e vogliamo invogliare te, che incredibilmente non sei mai venuto qui, a visitare la nostra città, conosciuta in ogni parte del globo. Ci sarebbero un miliardo di cose da dire (tra servizi, eventi, luoghi, etc.) e dovremmo seppellirti di dati e immagini. Ma se volessimo davvero farti vedere cos'è quella città, non trovo un modo migliore di presentartela nuda e cruda, con una musica di sottofondo, accelerando il tempo. Come fa questo geniale video qui sotto (grazie a Gigi Cogo per la segnalazione). Ora ditemi, sinceramente, che non vi fa effetto e che non vi spinge a comprare il volo ora. Mi dispiace, non vi credo.

        lunedì 6 giugno 2011

        Credere ai miracoli è più comodo che confutarli*

        Le creme antirughe funzionano davvero? Non lo so, perché non ne ho mai provata una (mia moglie può testimoniarlo). Tuttavia, penso che tutti noi, razionalmente, ammettiamo che nella migliore delle ipotesi possano leggermente migliorare la situazione ma non fare miracoli. La notizia di oggi è che una modella utilizzata per quelle pubblicità ha denunciato un colosso della cosmetica per aver utilizzato sue foto, ampiamente ritoccate, senza autorizzazione. Riassumendo, secondo l'accusa (ricordando che non c'è una sentenza in merito) hanno fatto delle fotografie "di prova", senza trucco, le hanno invecchiate per far vedere la differenza e le hanno utilizzate senza il suo consenso. Al di là di questo specifico caso, sembra oggettivamente evidente che c'è stato qualche (grosso) problema nella gestione della comunicazione da parte di questa azienda, fatto ancora più sorprendente visto che è un colosso da oltre 7 miliardi di dollari di fatturato che spende molto a livello di promozione dei propri marchi. Ma la questione vera è questa: promettere risultati miracolosi, un'ipotesi oggettivamente poco probabile, funziona a livello di comunicazione?

        Ho finito di leggere da poco Neuromarketing di Martin Lindstrom, dove si spiega come l'acquisto di alcune tipologie di prodotti, come questi, è spesso frutto di un comportamento rituale e non di una decisione cosciente. L'autore dice che molte donne ammettono che le "creme miracolose" sono inutili ma, dopo un paio di mesi dall'averle provate, letteralmente, sulla propria pelle, vanno in farmacia e le comprano. Perché si tratta di un rituale: ci si alza la mattina, ci si lava e ci si mette la crema. Ci tranquillizziamo perché ci illudiamo di avere il controllo su quello che siamo e quello che diventiamo (soprattutto in un periodo di crisi economica, a quanto pare). In più, è una forma di tradizione che queste donne e le loro mamme hanno sempre seguito. Le provano, ne discutono e ne commentano i risultati. Come per altri prodotti, anche alcuni "maschili" (trovatemi un uomo sul pianeta a cui sono spuntati gli addominali dopo aver provato qualche crema miracolosa), il fatto che funzionino davvero o meno diventa secondario. Un'ipotesi sicuramente affascinante, che spiegherebbe perché molte aziende fanno da decenni queste pubblicità, di fatto, ingannevoli.

        Per quanto mi riguarda, una comunicazione che mi prospetta di ottenere risultati se non impossibili altamente improbabili a me non interessa e, anzi, un po' mi infastidisce. Sarà che vengo dal "duro e puro" mondo del business to business, dove se comunicassi che un servoattuatore o un escavatore fanno miracoli mi riderebbero dietro sia i clienti che i competitor, nella più ottimistica delle ipotesi. C'è modo e modo di "promuovere" un rituale e lo si può fare con correttezza, trasparenza e sincerità. Quel modo di comunicare, poco veritiero e, forse, poco rispettoso per i clienti, ha avuto sicuramente buoni successi in passato. Ma non prevedo che avrà un gran futuro.
        * Citazione tratta da "Il grillo parlante" di Roberto Gervaso