Io e il piccolo (3 anni e 3/4, parlantina sciolta come tutti in famiglia) siamo al supermercato. Lui vede una scatola di caffé e mi chiede incuriosito il nome del personaggio sulla confezione. "Carmencita" rispondo io, distrattamente. Lui, ovviamente non si accontenta, vuole saperne di più. Provo a spiegargli chi è lei, chi è Caballero ma in realtà ho vaghe reminiscenze anch'io. Beh, c'è YouTube. La sera gli ho fatto vedere i vecchi filmati (no, non quelli nuovi) sul PC. Per una settimana non c'è stato verso di guardare altre cose: guardiamo Carmencita! E mi divertivo pure io, lo ammetto.
Nei giorni successivi gli ho fatto conoscere la Linea della Lagostina (inventata da Osvaldo Cavandoli) e il Merendero della Talmone, oltre ad altri personaggi legati all'epopea del Carosello che neanche io conoscevo ma che YouTube, immancabilmente, mi suggeriva. Tornando al supermercato, pur non essendo ovviamente un bevitore di caffé, lui voleva assolutamente comprare "quello con la Carmencita". Una persona al di fuori da qualsiasi target dell'azienda insisteva per farmelo acquistare, in modo lecito e senza alcun beneficio diretto.
Perché? Non solo per la confezione, per il pupazzo Carmencita. Perché intorno al quel caffé percepiva una storia e un'inventiva che in tutte le altre marche non c'era. "Emotional benefits sell better than rational ones". Ho riscontrato nelle altre confezioni una totale mancanza di fantasia, di attenzione verso il potenziale cliente e anche di inventiva grafica. Quasi tutte avevano una tazzina, una moka o una macchinetta: senza saper leggere, erano del tutto indistinguibili. Lo ammetto, non ho comprato la Carmencita, a casa avevamo già caffé a sufficienza. Ma il piccolo, come spesso accade, mi ha dato una piccola, grande lezione di marketing. E di storytelling.
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