Nel post di qualche giorno fa analizzavo la scelta di grandi player del settore IT e tecnologico di presentare numerose, e pesanti, novità di prodotto lo stesso giorno, con qualche critica da un punto di vista del marketing (ha vinto il favorito, come volevasi dimostrare). Ho letto qualche articolo, molti tweet e tantissimi commenti entusiasti dei vari prodotti, di cui alcuni di persone invitate all'evento quali giornalisti, addetti ai lavori e blogger.
Lavoro nel settore della comunicazione da troppi anni per chiedermi, per l'ennesima volta, quanto una persona invitata a un evento e completamente spesata, o quasi, possa essere obiettivo in merito a cosa sta dicendo. Per carità, la stessa cosa vale per una persona alla quale si invia, gratuitamente, un prodotto in prova: come può parlarne pubblicamente male? Non c'è nulla di male, è comprensibile, ma c'è modo e modo. Però c'è qualcuno che delle piccole riflessioni obiettive in merito le fa e non fa male (eccone una qui sotto).
Qual é policy dei grandi gruppi media italiani sulle trasferte dei giornalisti? Paga l'editore o pagano le aziende? Leggo certe marchette...Quindici anni fa ero io lo stagista o il junior che inviava i nuovi prodotti di punta ai giornali specializzati per farci fare una "prova prodotto". Al di là che sperassi ardentemente di ottenete recensioni iperpositive (i responsabili marketing sono piuttosto "ottimisti" e io tenevo famiglia, ossia me stesso con casa a Milano), apprezzavo molto quelle persone che ne parlavano comunque elencando i pro e i contro, seguendo quindi la cosiddetta regola della prova su strada di Quattroruote, temutissima all'epoca come oggi dalle aziende stesse. Ce n'erano e avevano tutta la mia stima. Ora che la penna non è solo riservata ai giornalisti ma a tanti altri professionisti con significative tirature in termini di visitatori e accessi online, la questione si fa ancora più complessa.
— Massimo Cavazzini (@maxkava) October 25, 2013
Io dico la mia, ripeto, senza stracciarmi le vesti. Mi piacerebbe che chi scrive spiegasse in modo chiaro a chi legge semplicemente perché ne parla. Basta un semplice "siamo stati invitati qui a vedere le nuove..." oppure "ci è stata inviato questo prodotto da provare...". I tweet non valgono, se io leggo un contenuto questo deve essere spiegato lì, in quelle righe, non altrove. Non mi aspetto che mi dica chi paga (se paga l'editore e l'azienda investe un budget pubblicitario consistente nel giornale stesso, le differenze appaiono molto meno sostanziali) o che non ci sono conflitti d'interesse evidenti (vedi qui), mi aspetto solo di capire perché si scrive di quello, ossia dove sta la notizia (se c'è). E io, lettore, traggo le conclusioni.
La moneta su cui valutare le parole non è stabilita in euro ma in credibilità. Le marchette si vedono, non sempre ma molto spesso se ne annusa l'odore. Questo non giova a chi scrive né al brand di cui si parla. Se sentiamo quell'odore, la prossima volta semplicemente leggeremo qualcos'altro. E se il prodotto è davvero valido, sarebbe un vero peccato.
(Photo credits: Flickr, Steven Correy)
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