Il fulcro della bella discussione che si è creata stava nel come il fact checking potesse e dovesse diventare un momento centrale del nuovo modo di fare informazione (come sostiene anche Clay Shirky). Questo significa che un nuovo modello di creazione di una notizia deve prevedere un confrollo dei dati e dei fatti citati, che deve coinvolgere il primis i giornalisti ma anche i lettori. Io e Pier Luca abbiamo citato due casi in cui noi, semplici fruitori di news, abbiamo verificato e chiesto conferme su una notizia a chi l'aveva creata, grazie ai mezzi che abbiamo a disposizione attraverso Internet (io per il caso di Costa Crociere, lui per quello di Mohammed Merah). I creatori e i fruitori di informazione devono indirettamente collaborare per affrontare e mettere ordine nel tornado informativo che ci colpisce tutti i giorni. La parola d'ordine è una sola: credibilità.
Il confronto sui vari temi, molto semplice e diretto, ha visto il coinvolgimento di Carlo Felice Dalla Pasqua, Vittorio Pasteris, Antonio Pavolini, Galdino Vardanega e molti altri. In più, nel corso dell'evento, ho rivisto vecchi amici come Gigi Cogo, Andrea Casadei, Giorgio Jannis e Gilberto Dallan e ho conosciuto molta altra gente interessante. In questi momenti ho visto persone davvero interessate ai temi che abbiamo trattato, ho sentito e percepito un reale coinvolgimento. Qualcosa di molto più intenso rispetto a un like o un retweet.
Aggiornamento:
la slide 30 parla di fact checking a posteriori, ossia la segnalazione di una correzione sull'articolo derivata da un controllo successivo. Durante l'intervento, si è detto che i giornalisti italiani non l'avrebbero mai fatto, perché avrebbe sminuito i loro articoli. Io rilancio: se lo fa il New York Times (vedi sotto), lo possono fare tutti.
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