venerdì 6 aprile 2012
Tutti sono leader, pochi sono credibili
Oggi ho organizzato un'intervista con un giornale locale per la mia azienda, ne è venuta fuori una bella chiacchierata. Uno dei temi che sono stati affrontati è la rigidità che le PMI dimostrano nell'approcciarsi verso l'esterno, nella loro titubanza nel cogliere le opportunità di comunicazione quando si presentano. Penso che il problema stia sempre nella mancanza di una cultura in questo settore che ti faccia capire cosa si debba fare e cosa no. Il giornalista è rimasto stupito della semplicità utilizzata dai due soci fondatori dell'azienda nel parlare tranquillamente dei loro inizi, delle loro difficoltà, del loro approccio e, soprattutto, della totale mancanza di interesse nell'essere definiti "leader", "innovatori" e altri aggettivi simili. Come spiegava, tante aziende volevano intervenire direttamente nell'articolo, infarcendolo di parole roboanti per far vedere ai lettori quanto fossero bravi. Noi abbiamo detto che il nostro obiettivo era molto diverso: vogliamo essere credibili.
A livello di comunicazione, è difficile trovare una PMI italiana che non si autodefinisca "leader" in qualcosa. Con l'abuso di questo termine, si è svuotato il suo stesso significato: se tutti sono leader, nessuno lo è davvero. Lo stesso discorso vale per molti altri aggettivi, usati e abusati. Il problema è un altro: il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti, come possono essere tutte "prime della classe" se sono così piccole? Quello che il giornalista ci faceva notare è che veniva fuori dalla nostra chiacchierata uno spaccato molto realistico dell'azienda e lui stesso si sorprendeva di notare questa cosa. Dovrebbe essere sempre così e invece lo è raramente. Tante altre cose confermavano quest'approccio molto genuino: un atteggiamento semplice, il "tu" posto subito come base della chiacchierata, la totale mancanza di imposizione di una gerarchia di rapporto tra i soci e il resto della società. Tutti elementi che arrivavano naturalmente al nostro interlocutore, non serviva che qualcuno li spiegasse.
L'esperienza mi ha insegnato che un'azienda si capisce più dalle cose che non dice rispetto a quelle che dice. Se in un sito, in un documento, in una conversazione mancano quelle tematiche che uno si aspetta di trovare, quasi mai è un fatto casuale. Il problema è che spesso mancano anche le caratteristiche positive dell'azienda, che non vengono comunicate perché si preferisce dare una visione piena di "leadership" e di "innovazione" quando sarebbe più importante far vedere i dipendenti al lavoro, i progetti realizzati, le immagini della vita dell'impresa. Come ho scritto più volte, comunicare la verità può determinare un vantaggio competitivo decisivo perché le persone, intuitivamente, percepiscono questa differenza rispetto al resto. Non è così facile, ci vuole un po' di coraggio. Ma la credibilità rimane, e rimarrà sempre, un'arma vincente. Oggi ne ho avuto l'ennesima conferma.
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