lunedì 8 luglio 2013

Le mail, il buonsenso e la produttività: qualche consiglio spassionato

Nell'analizzare gli strumenti da utilizzare per la propria promozione e comunicazione, spesso le aziende italiane hanno un grosso difetto: sono estremiste. Scelgono le cose da fare non in base a un progetto o a delle valutazioni obiettive ma operando scelte frettolose e soggettive. "Facciamo così perché lo fa anche il nostro concorrente" e "scegliamo quella opzione, ho letto un bell'articolo sul Sole", solo per citare due esempi che ho sentito (troppo) spesso. Come ho detto e scritto più volte, anche nel libro, questo è frutto essenzialmente della poca cultura presente in Italia a livello di comunicazione. E, ripeto per l'ennesima volta, la colpa non è solo delle aziende ma anche di chi le dovrebbe "formare". Invece di proporre progetti copia-e-incolla oppure basati esclusivamente sulle mode del momento, dovremmo cercare di capire cosa serve all'impresa per raggiungere i suoi obiettivi. Spiegando, prima di tutto, la gamma di strumenti a disposizione. Ci vogliono competenze e tempo per farlo, qui casca l'asino.

Questa poca mancanza di cultura fa si che gli strumenti di comunicazione disponibili siano usati male: o se ne abusa o li si ignora. Prendiamo l'esempio delle mail, hanno tanti vantaggi. Sono strumenti tradizionali e molto conosciuti, possono adattarsi alla comunicazione interna ed esterna, sono presenti in tutte le aziende e, anche per questo, sono potenzialmente formidabili per trovare nuovi clienti (ne ho avuto la prova concreta anche quest'anno). Al contrario, non sono adatte a salvare e/o condividere le informazioni in modo efficace e spesso le si usa male, sfruttandole troppo spesso per motivazioni contrarie alla produttività. "La tirannia delle mail", come direbbero Giacomo Mason e John Freeman. Nelle aziende italiane, invece di una riunione veloce (la "riunionite" è un altro abuso di cosa utile ma sarà per un altro post) o di un confronto diretto, si manda mail con numerosi indirizzi in copia conoscenza (il famigerato cc) per tre motivazioni che nulla hanno a che fare con efficienza ed efficacia:

  • Per pararsi il culo (scusate il francesismo), con il classico "eh, l'ho mandata così rimane scritto, perché verba volant...". Nel 95% dei casi però non c'è nessun rischio, sarebbe più efficace gestire la cosa con un veloce incontro, risparmiando tempo ed evitando incomprensioni. I latini dicevano anche "acta non verba" ("fatti, non pugnette", Palmiro Cangini docet) ma questo lo si cita molto meno, chissà perché.
  • Per far vedere che si è "molto produttivi", quando invece con un minuto di parole dal vivo si risparmierebbero 20 minuti (minimo) di scrittura, lettura e scelta accurata delle persone da mettere in copia, specialmente quelle che non sono minimamente interessate alla cosa.
  • "Perché il capo pretende così", così lui si ritrova sul BlackBerry 200 mail al giorno delle quali il 90% è catalogabile in "assoluta perdita di tempo" ma a lui sta bene perché ha l'illusione del controllo. Ripeto, illusione (leggete qui, è quasi divertente).
Se dovessi dare un consiglio a uno che sta lavorando in azienda davanti a un PC, darei questo:
Se volete che le vostre email funzionino, scrivetene di meno. [...] A differenza della vecchia posta di carta, l’email costa apparentemente poco a chi scrive ma viene pagata da chi legge con la moneta del tempo e dell’attenzione, oggi sempre più scarsa e preziosa: chiedetela quando serve davvero!
Si tratta di una citazione del manuale di Alessandra Farabegoli. Leggerlo tutto fa solo bene, ve l'assicuro.

(Photo credits: http://concorsolinguamadre.it, con tutta un'altra spiegazione).

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