martedì 30 luglio 2013

Publicis-Omnicom: sposarsi non sempre risolve i problemi


Per chi, come me, è cresciuto professionalmente in un'agenzia di comunicazione non poteva restare indifferente alla notizia della fusione tra Publicis e Omnicom. Si tratta di due colossi del mondo della pubblicità, il numero due e tre al mondo, uno francese e l'altro americano, uno segue Pepsi e l'altro Coca Cola, tanto per far capire come la news sia sorprendente da ogni punto di vista, e non solo per me. Sarà il più grande gruppo del mondo con 130mila dipendenti, superando WPP. Andavano male, forse? Publicis aveva avuto una flessione nel primo trimestre 2013 (dopo un ottimo 2012) ma niente di così travolgente per chi è abituato a leggere i fatturati di tante altre aziende. Per quanto riguarda Omnicom, le cose parevano andare anche meglio. E allora la domanda sorge spontanea: perché unirsi?

La questione centrale pare essere quella di diventare i numeri uno della pubblicità durante e dopo la rivoluzione digitale. Dal punto di vista aziendale, si creeranno economie di scala, sinergie e reti creative più ampie e potenti, dicono loro. Ma la questione centrale, come sanno tutti quelli che hanno lavorato nel mondo della comunicazione e non solo, sono i clienti: come la prenderanno? Io, da sempre, sono molto scettico sul futuro delle fusioni tra pari, per questioni di cultura aziendale soprattutto (crash of culture, per dirla alla anglosassone). Si creeranno inevitabilmente doppioni tra manager, tra strutture e uffici, con conseguenze non prevedibili per la produttività. E ai clienti, si sa, queste cose non piacciono affatto.

Il settore della pubblicità e quella dell'editoria stanno attraversando momenti simili (infatti le megafusioni avvengono anche nei libri). Il problema principale appare, a uno sguardo obiettivo, l'ingresso di bestioni nuovi, veloci e molto affamati come Google e Amazon. Le aziende tradizionali, nonostante i conti non siano così drammatici, hanno reagito unendo le forze, più per paura che per una strategia precisa: a mio parere, raddoppiare le divisioni e i carri armati non è la soluzione se gli altri hanno il dominio dell'aria. La vera partita sta nel controllo dei dati sui clienti/utenti, come sottolinea giustamente Sir Martin Sorell, numero uno di WPP che ora diventa l'agenzia numero due al mondo. Personalmente, se dovessi scommettere un Euro, punterei su Sorell, che sta comprando piccole e medie aziende focalizzate sul digitale, e non sul nuovo colosso franco-americano. La mia opinione vale poco, magari ne riparliamo tra due anni.

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