Di rientro da una settimana di ferie in montagna, ritrovo sotto i riflettori la questione del fact checking, di cui mi occupo da un po'. Il riassunto di tutto l'ha già fatto Pier Luca Santoro, con il quale avevo fatto un intervento proprio su questo tema al VeneziaCamp di un anno fa (oltre a svariate, piacevolissime discussioni a riguardo). Una presentazione ancora attualissima, cosa che mi fa piacere dopotutto. Altro bel sunto sulla cronaca dei giorni scorsi lo fa Valigia blu, iniziando un dibattito bello e utile sul tema sempre più importante del controllo delle notizie. Che non è cosa facile, come dico spesso. Infine, consiglio di leggere il post di Mantellini, particolarmente ispirato da un acceso e corretto confronto dialettico con alcuni giornalisti della Stampa.
Dato che il riassunto delle notizie è già stato fatto qui sopra, voglio solo sottolineare qualche punto al fine di stimolare, ancora, un dibattito serio e ragionato sul fondamentale ruolo del giornalista "fact checker" che consegna a noi cittadini notizie affidabili e controllate. Una figura di cui abbiamo un disperato bisogno (vedi anche qui) per trovare appigli informativi stabili nel torrente di informazioni che affrontiamo ogni giorno grazie a Internet e ai nostri smartphone. E, va detto in modo chiaro, un professionista che può sbagliare, nonostante tutto, come tutte le altre categorie professionali del mondo. Lui però ha un obbligo in più, quello di doverlo ammettere pubblicamente, per rispetto nei confronti di chi gli paga lo stipendio, ossia i lettori. Se lo fanno il New York Times e il Washington Post, lo possono fare tutti. Allora, ricapitoliamo i punti focali:
- Tutti possono sbagliare, Ansa inclusa. La differenza la fa come gestisci l'errore.
- Dare la colpa a Twitter o a Internet non è un'opzione ragionevole. Si ammette di non aver fatto i dovuti controlli, si ringrazia chi ha segnalato l'errore (fonte interna o esterna) e lo si comunica sulla pagina dove è la news, non basta chiedere scusa sui Social Network ("troppo comodo", direbbe mia nonna).
- La velocità è importante ma non è un fattore così prioritario, la ricerca di scoop a tutti i costi genera mostri informativi.
- Il fact checking è cosa da professionisti, non da utenti di buona volontà: ci vuole esperienza, metodo, fonti sicure e controlli incrociati, cose che non si improvvisano. Ripeto, sbaglia pure l'Ansa, che una certa reputazione se l'è costruita a livello di professionalità.
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