Visualizzazione post con etichetta quotidiani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta quotidiani. Mostra tutti i post

mercoledì 13 marzo 2013

Segnali dal futuro dell'editoria

Tra ieri e oggi ho visto tre notizie che, analizzate insieme, cominciano a dare qualche spunto per capire come sarà l'editoria del futuro prossimo venturo. Le analizzo velocemente, in ordine di "innovatività":
  • I dati ADS si adeguano al presente: i dati sulle diffusioni dei giornali italiani includono (finalmente) anche le edizioni digitali, in modo tale da dare, oltre alle belle cornici di parole, anche i numeri. I risultati sono superiori alle aspettative, non solo le mie. Questo significa che, anche in un Paese come il nostro dove i cittadini leggono poco (il primo quotidiano italiano vende 457mila copie, il primo inglese, The Sun, 3 milioni), le edizioni su tablet riscuotono un buon successo, con 45mila copie digitali a testa per Sole, Corriere e Repubblica. Per carità, c'è ancora molta strada da fare per compensare le perdite della carta, nell'ordine di copie e di euro incassati con la pubblicità, ma sono segnali incoraggianti.

  • Il sito resta centrale: il New York Times ha dato ieri un'anticipazione su come sarà il loro nuovo sito. Pulito, minimale, interattivo e, apparentemente, molto semplice da leggere (sembra un'applicazione per tablet). In più, del tutto aperto ad accogliere i giudizi e le opinioni dei suoi lettori, per instaurare quelle conversazioni di cui parliamo, in teoria, da tempo. Il giornalismo si adegua al mondo che cambia, scende dal piedistallo e si propone in modo più diretto e meno autoreferenziale. Non ho alcun dubbio che il modello del sito del NYT sarà preso ad esempio da decine, o centinaia, di altri quotidiani nel mondo (come ho già scritto, Il Sole 24 Ore ha dimostrato già di essere sulla buona strada). Ma la differenza sta nell'approccio, non nell'Html.
  • Contenuti e immagini, una relazione sempre più speciale: nel modello di vendita e fruizione dell'informazione del prossimo futuro, l'abbinamento tra testo e immagini (video e foto) sarà fondamentale. Perché i contenuti dovranno essere complementari tra loro e offrire ai lettori una facilità di lettura che oggi non hanno. Un esempio potrebbe essere quello di Icon Times, citato da Pier Luca Santoro, un nuovo modo di aggregare le notizie per abbinare velocità e semplicità di scelta delle notizie. Ma, ripeto, già Aldo Manuzio (e Luisa Carrada) ci aveva spiegato come testi e immagini debbano compenetrarsi tra loro, ben prima di Internet e tablet. Tornare al passato per scoprire il futuro, una lezione molto utile anche per il giornalismo. 
Insomma, tre bei segnali su cui riflettere. Con una conferma: al di là di mode e nuovo che avanza, il sito continua a essere centrale per ogni progetto di comunicazione, perché è un punto di riferimento chiaro, continuo nel tempo e controllato da chi lo fa. Non sono tre vantaggi da poco.

giovedì 24 gennaio 2013

Il costo del fact checking


La principale obiezione di un editore o di una testata quando gli si propone di migliorare il fact checking è: costa troppo. In termini di tempo (la verifica delle fonti e delle notizie non è cosa veloce da fare), di risorse (ci vuole un team dedicato oppure una necessità di formazione supplementare per i redattori) e di procedure (necessita una policy con step definiti che assicuri la veridicità, non la verità, della notizia). Siamo davvero sicuri che sia così? Oggi c'è un caso eclatante: El País, quotidiano spagnolo molto apprezzato e molto avanti rispetto a tanti altri nell'affrontare la rivoluzione digitale dei media (vedi qui), ha pubblicato una foto falsa di Hugo Chávez, presidente del Venezuela. Costringendo il giornale a ritirare precipitosamente le copie con la foto falsa, provando a sostituirla al volo ed avendo un danno di immagine notevole, vista anche l'importanza della questione. Costi? Elevati.

Quelli del País hanno detto di "voler condurre alcune verifiche interne per identificare i responsabili dell’errore". Ribadisco che è una foto che è stata sbattuta in prima pagina, non a pagina 16 in un trafiletto. La cosa positiva è che è il quotidiano stesso ad ammettere pubblicamente l'errore (ricordiamo che è quello a maggior diffusione in Spagna), cosa rilevata anche da altri quotidiani. Probabilmente dentro la redazione del giornale spagnolo pensano oggi che investire un po' di risorse, anche in un periodo drammatico come questo per l'editoria, nel fact checking forse non sia poi così costoso. O almeno lo spero.

La credibilità si paga e il futuro, nella marea di informazioni che arriva al lettore ogni minuto, si gioca lì.

giovedì 22 novembre 2012

Le primarie, un gioco e un post in costante aggiornamento

Oggi provo a fare un piccolo esperimento, un post in evoluzione, uno storify in diretta. Tanto non mi costa nulla. Un gioco, come un gioco è l'oggetto stesso del post. Facciamo una premessa: mi sono divertito molto a usare le sezioni messe a disposizione dai siti americani per predire i risultati delle elezioni USA (come questo di politico.com). Risultato: ho indovinato 49 stati su 50, ho sbagliato solo la Florida, mi sono paragonato a Nate Silver e, in definitiva, mi sono molto divertito. Quindi oggi mi sono chiesto: visto che in Italia ci sono le primarie, del PD a breve e del PDL tra qualche tempo, anche i quotidiani nostrani hanno fatto giochi simili? Non ne ho trovati. Ho chiesto un parere anche a un esperto di gamification ed editoria come il mio amico Pier Luca Santoro e qui sotto c'è la risposta.

Alla luce di questo, ho pensato: perché non buttare questa piccola idea su Twitter e chiedere lumi direttamente ai principali quotidiani italiani?


Ora sono le 12.53, vediamo se e come rispondono. Qui sotto metterò gli eventuali aggiornamenti: un post storificato, vediamo l'effetto che fa. Chiaro, se vedete giochi del genere su qualche quotidiano (non siti ad hoc, voglio vedere se qualche media risponde all'appello) fatemelo sapere. Magari l'idea è mia e chiedo una percentuale.

Aggiornamento delle 14.30

I quotidiani storici non hanno ancora risposto al mio tweet, rilancio e provo con tre fonti di informazione presenti esclusivamente online. Stiamo a vedere.

Aggiornamento delle 10 del 23/11
Nessuna risposta su Twitter alla mia piccola proposta. Non c'è problema, stiamo a vedere se qualcuno raccoglie lo spunto. Solo perché porterebbe gli utenti a riflettere in modo leggero e divertente sulla politica. Ne abbiamo tanto bisogno.

Aggiornamento del 27/11
Primo turno fatto, Bersani e Renzi al ballottaggio e ora si apre un bel testa a testa, più semplice da gestire anche in ottica gioco. Si potrebbe prendere questo esempio, usando le regioni italiane, e vedere chi vince. Non ci sono i grandi elettori ma potrebbe essere utile valutare i dati del primo turno, regione per regione, e far fare agli utenti una previsione: il Corriere fa vedere che le capacità ci sarebbero. Per ora nei media italiani non si va oltre a qualche banale sondaggio (La Stampa), si potrebbe fare molto di più. Stiamo a vedere.

martedì 13 novembre 2012

Il futuro del giornalismo? Tornare al passato

Il possibile sviluppo futuro della figura del giornalista è un tema che mi interessa molto (vedi qui e qui). Una delle possibili opportunità di sopravvivenza del giornalismo è quello di far "esplodere" i fatti, interpretarli, semplificare le chiavi di lettura, al fine di essere davvero utile nei confronti dei lettori. Non potendo vincere la gara della velocità e della quantità di notizie con gli utenti dei social network (anche in ottica citizen journalism), devono ritagliarsi un ruolo importante nella qualità delle notizie, nell'approfondimento. Se la figura del giornalista ha un futuro, questa deve ripassare i requisiti di base che aveva nel passato: credibilità, competenza, fact checking, esperienza. Ossia tutte doti che l'uomo della strada, armato di smartphone e tablet, difficilmente può avere. Non deve raccogliere istantanee di presente, cercando lo scoop a tutti i costi. Al contrario, deve raccontare storie e lo deve fare con stile, semplicità e precisione.

Prendiamo un caso recente, quello di David Petraeus. Mi ha interessato da subito e, da subito, ho avuto la sensazione che ci fosse molto più da scoprire su questa storia (qui sotto il tweet che avevo scritto qualche amante fa, questo l'aggiornamento di oggi con il coinvolgimento del Generale Allen).


Allora mi sono messo a leggere qualche articolo, come questo: ditemi se ci capite qualcosa. Forse solo un esperto si soap opera ci trae qualche conclusione. Un sacco di informazioni, molte inutili ai fini della comprensione dei fatti (quanti figli ha ognuno dei protagonisti, ad esempio), nessun filo conduttore. Va bene, la storia è complessa, si intrecciano amanti e file segreti, scenari bellici e e-mail appassionate. Ma è proprio il giornalista che ha il compito di trovarci un ordine, per quanto ancora temporaneo in attesa di nuove conferme. Il suo ruolo è quello, mica farmi vedere quanto brutta è la moglie del generale. Allora cerco in rete e trovo questo, in italiano: l'amante guerriera contro la moglie da tinello, il generale Ego e l'uomo che ha ingannato l'America. Ho ancora le idee molto confuse.

Cerco su Google e trovo questo bel post di Stefano Cingolani, classe 1949, giornalista. Non spiega tutto ma molto sì, cita le fonti (il New York Times, mica l'ultimo arrivato in termini di credibilità), ci dice che casi del genere non sono rari nella diplomazia americana (vedi anche qui), ci offre la chiave di lettura della contrapposizione storica tra FBI e CIA, non entra in particolari da soap opera ma spiega come il centro della storia sia più legato alla vicenda di Bengazi che a quella delle sue amanti (vedi anche qui). Mi offre una lente per vedere meglio. Per carità, non è un caso unico, anche sul Corriere sono usciti pezzi interessanti, casualmente prima che scoppiasse la bomba delle amanti.

Ad oggi, nessuno sa la verità, però io, lettore, ho capito la situazione molto più da un singolo post che da 4 siti di quotidiani. Blog di un esperto giornalista classe 1949. Guardare al futuro tornando alle regole del passato, si diceva. Una bella conferma. 

lunedì 5 novembre 2012

Un buon giornale è una nazione che parla a se stessa


Volete un semplice esempio per sapere come funziona (male) l’informazione in Italia? Le elezioni americane. L'argomento mi appassiona dal 1988, da Bush padre che massacra Dukakis dopo 8 anni di Reagan. Non dall’era Obama. Se vogliamo approfondire la cosa sui media, oggi, vediamo un sacco di fumo e pochissimo arrosto. Partiamo da una domanda chiara e semplice: nelle elezioni americane vince chi prende più voti popolari? No. Diventa Presidente chi ottiene più voti dei “grandi elettori”, i quali vengono eletti, in numero predefinito, in ogni Stato. La differenza non è lieve. Al Gore nel 2000 ottenne più voti popolari di George W. Bush ma, perdendo la Florida di 537 voti (e vedi qui se e come la perse), perse la Casa Bianca. Insomma, un Risiko: si vincono gli Stati e, facendo la somma dei Grandi Elettori, si ottiene il Presidente degli Stati Uniti. Trovate tutto, ovviamente, su Wikipedia.
Quale informazione invece danno i nostri media? Sondaggi sulle tendenze di voto delle donne single. O di latinos, afroamericani, gente del midwest e chi più ne ha più ne metta. Tanta fuffa, pochissima sostanza. Oppure tutte le luci accese sui dibattiti dei candidati, che sembra che spostino centinaia di migliaia divoti. Kennedy nel 1960 distrusse Nixon in tutti i dibattiti e vinse, certo, ma di 112mila voti, appena lo 0,2%, un record ancora non superato. In termini di Grandi elettori invece? 303 a 210. Che sembra un massacro, no? Se andate sul sito www.politico.com, nella sezione degli Swing States (gli stati in bilico), potete fare le vostre previsioni, capendo esattamente come funziona la partita. Ogni stato ha un peso: la California ha 55 Grandi Elettori, l’Alaska 3. Un sistema spiegato in modo chiaro, semplice, efficace. Da noi? Un esempio.
Il sistema americano è giusto? Non lo so, quel che è certo è che funziona (quasi) sempre. Perché non ci viene spiegato bene? Si parla tanto di Ohio e Florida come Stati decisivi senza evidenziare, in modo comprensibile a molti e senza ammiccamenti da addetti ai lavori, perché dovrebbero essere decisivi. Qui sta il succo della crisi dell’informazione: tanta quantità e analisi, poca qualità e chiarezza. Belle eccezioni in questo scenario mediocre ne esistono, un esempio qui e un altro qui (partendo da West Wing, serie favolosa): tanti fatti, poche parole, una specie di infografica utile (mica sono tante). Poi ci sono progetti e idee interessanti (come questo, segnalatomi da Michele D’Alena) ma qui si entra più sul gioco che sull’informazione.

Come disse Arthur Miller, “un buon giornale è una nazione che parla a se stessa”. A noi, oltre a un modello sostenibile per l’editoria del futuro (sempre che possa esistere), ci mancano i buoni giornali. E una nazione di persone che, finalmente, impari a scegliere cosa ascoltare.

Chi vincerà? Io la mia previsione su www.politico.com l'ho fatta, è qui sotto. Stiamo a vedere.



giovedì 19 aprile 2012

La home page? La decide il lettore

In questi giorni il dibattito sul killer di Utoya (su questo blog non leggerete mai il suo nome, per precisa scelta di chi scrive) e sul suo processo è su tutti i giornali. Nasce però un problema: i messaggi, spavaldi e deliranti, di questo tizio arrivano a tutti i lettori dei quotidiani, ovviamente mediati e analizzati, ma arrivano. Io sono sempre stato per la massima libertà di informazione, perché l'utente/lettore medio è persona senziente e non si beve tutto quello che scrivono i giornali senza spirito critico. Però, lo confesso, vedere quella faccia sorridente in prima pagina un po' mi ha dato fastidio e, probabilmente, anche a molti altri. Però non si può censurare, la notizia c'è ed è giusto che ci sia. Che poi in Italia ultimamente i reportage si facciano solo su fatti di cronaca nera è un altro discorso.

Il quotidiano norvegese Dagbladet, che sta seguendo gli eventi in modo ampio e approfondito, ha avuto un'idea molto intelligente: dare la responsabilità al lettore se leggere le news sul processo di Utoya o meno. Cliccando il bottone "forside uten 22. juli-saken", in nero in alto nell'home page (vedi sotto), si può scegliere se visualizzare queste notizie o meno.

L'home page di Dagbladet con il processo di Utoya

L'home page senza il killer, dopo aver cliccato l'opzione in home page

Nessuna censura, il lettore sa che la notizia c'è e decide, in piena autonomia, se leggerla o meno. Qualcuno può obiettare che basta un click su un altro link e si effettua la stessa scelta ma il quotidiano trasmette un messaggio simbolico importante ai suoi lettori: sappiamo che vi può dare fastidio e vogliamo darvi un'opzione in più. Una bellissima idea. Io, se fossi norvegese, sceglierei di non leggere le notizie su Utoya, consapevolmente: il mio giudizio me lo sono già fatto, spero solo che lo mettano in galera quanto prima con qualche decina di ergastoli. Non mi interessano neanche i plastici di Vespa, che lui "impone" ai propri spettatori. Io sto con il Dagbladet.

Un'ultima cosa, last but not least. La notizia di questa idea l'ho sentita su Radio 24 ma non avevo capito né il nome del quotidiano né dov'era il link (il mio norvegese è molto migliorabile). Ho chiesto direttamente su Twitter al conduttore, Alessandro Milan, e al giornalista norvegese, Simen Ekern. Ho avuto da loro chiarimenti veloci e diretti, li vedete sotto. A cosa servono i Social Network? Ecco un bell'esempio di fact checking. Dopo le parole, i fatti.


 

venerdì 2 marzo 2012

Follow the leader

El Pais (Spagna) ci ha dato un assaggio del futuro prossimo del giornalismo e dei media. Il Guardian (Regno Unito) rilancia in grande stile, con un geniale video sulla rivisitazione della storia dei tre porcellini vista con gli occhi di oggi (vedi sotto). Ci sono tutti gli aspetti fondamentali: coesistenza di notizie ufficiali e generate dagli utenti, redazioni liquide, integrazione in tempo reale di carta e digitale, fact checking delle notizie. E da noi niente? Per ora no, speriamo di vedere qualcosa a breve. Difficile aspettarsi qualcosa del genere da parte dei due grandi quotidiani nostrani, anche se si segnala un calo consistente nel numero di utenti dei loro siti. Forse sono "too big to try", in realtà spendono budget analoghi in altre cose (come sottolinea PierLuca Santoro su Twitter). Non ci resta che fare il tifo per quelli appena sotto, che qualche segnale l'hanno mandato: La Stampa e Il Sole 24 Ore (i cui utenti crescono e non di poco). Speriamo bene.