martedì 30 aprile 2013

Trovare notizie d'oro in un fiume di chiacchiere


Prendo spunto da un post di Massimo Melica sugli "imbecilli digitali" per fare una velocissima riflessione. Quando si parla di un fatto di cronaca piuttosto rilevante, ormai vediamo sempre la stessa struttura. I media cercano di rincorrere (inutilmente, gara persa in partenza) i social network per vedere di dare scoop continui per soddisfare la voglia di informazione di lettori e utenti. Con il risultato di dare notizie non controllate e trovate su fonti non verificate, danneggiando proprio quei lettori che vorrebbero informare. Dall'altra, ci sono i Social Network, dove inizia una gara spasmodica alla ricerca della battuta dell'anno (il 99% delle quali sono un misto di cattivo gusto, facili giochi di parole e sfoghi estemporanei fuori dal contesto). Una persona che cerca informazioni online fa una fatica incredibile a trovarle. Paradossale, no?

Cosa voglio dire con questo? Che abbiamo mezzi potentissimi, come abbiamo visto per i fatti di Boston, ma li stiamo utilizzando male. Gli imbecilli ci sono ovunque, in rete come per strada, e ogni facile generalizzazione (da "il popolo della rete" in giù) non avvantaggia nessuno e danneggia tutti. Come ho sempre detto, l'esempio nella gestione delle notizie lo devono dare i giornalisti, che mai come ora hanno trovato un ruolo vero: non trovare lo scoop cercando nel cestino di un ricercato ma setacciando e controllando la Rete per trovare un filo conduttore che faccia capire a noi cittadini cosa succede accanto a noi. Noi, coi nostri smartphone e i nostri tablet, possiamo essere molto utili a dare informazioni in tempo reale su un accadimento. Senza però illuderci di essere i nuovi Montanelli e neanche i nuovi Totò.

Come ho sempre detto, tra utenti e giornalisti ci deve essere collaborazione, non contrapposizione. E i giornalisti devono dare il buon esempio. Se no sfrutteremo male i mezzi e i dispositivi che abbiamo, perdendoci in una marea di chiacchiere del tutto inutili. E nemmeno divertenti.

(Photo credits: blog Certi momenti).

lunedì 22 aprile 2013

Le sorprese di una rassegna stampa sul global warming (3 anni dopo)


Sul Foglio di oggi appare un articolo di Piero Vietti sul fatto che la terra ora non si scalda più. E il global warming che fine ha fatto? Cambi giornale e La Repubblica pubblica oggi un articolo dai toni esattamente opposti. In realtà, la stessa Repubblica, dieci giorni fa aveva aperto in prima pagina con "il mistero della terra che non si surriscalda più". Ecco, sono un po' confuso: questa terra si scalda o no? No, sapete, mi interessa, ci vivo su questo pianeta. Perché se dovessi dirlo da qui, dalla bassa modenese, direi che si sta raffreddando, con un autunno perenne e piovoso. Ma io vedo la situazione dalla mia piccola finestra, mica ho dati di prima mano e modelli climatici complessi ma precisi.

Proprio qui sta il problema: i modelli climatici sono tutt'altro che precisi. Perché i fattori che interagiscono solo troppi, perché non abbiamo modelli storici di lunghissimo periodo sui quali basarci, perché il clima cambia in modo incostante da quando è nata la terra e perché guardando periodi temporali limitatissimi per il pianeta (20 anni, ad esempio) l'errore è dietro l'angolo. Negli anni '70 i media dicevano allarmati che ci aspettava una nuova era glaciale ("global cooling", ecco Newsweek), dagli anni '90 in poi invece siamo al "global warming". Perché? Il clima fa notizia, ci coinvolge tutti, nessuno escluso. Fa vendere copie. Ma noi abbiamo gli strumenti per verificare certe notizie, basta qualche ricerca fatta bene su Google (trovi blog così anche, mica solo allarmisti).

Questo post sul tema della rassegna stampa sul global warming lo scrivevo tre anni fa, non mi sono svegliato oggi che è l'Earth Day (che non serve a nulla come ogni "giornata mondiale di qualsiasi cosa"). Domani non avremo né glaciazioni né desertificazioni istantanee, su questo sono abbastanza tranquillo.

venerdì 19 aprile 2013

Caccia all'uomo a Boston e gestione della comunicazione


A Boston, in questo esatto momento, è in corso una caccia all'uomo per prendere uno dei sospetti degli attentanti della Maratona di Boston. "Stay in your home" è ripetuto ossessivamente da ogni rappresentante della polizia, in particolare nella conferenza stampa. Tre note a caldo a livello di gestione della comunicazione e degli strumenti di comunicazione:

  • In tre giorni, i team dedicati a trovare i colpevoli hanno setacciato i Social Network, le immagini presenti online per vedere se ci fossero elementi utili per le indagini. Come ci segnala Riccardo Scandellari, per tutti Skande, è impressionante la mole di informazioni a disposizione grazie all'uso degli smartphone. Altro che telecamere di sicurezza. E, cosa ancora più significativa, le più interessanti sono state raccolte qui. Al di là di tutto, il caso è ben lungi dall'essere chiuso, un esempio fenomenale di gestione integrata delle informazioni tra autorità, cittadini e media. Il tutto, ripeto, organizzato in tre giorni.
  • La competenza degli ufficiali di polizia americani, dei dottori e dei politici locali nella gestione delle conferenze stampa è, ai nostri occhi, incredibile. Sanno esattamente cosa dire e come dirlo a poche ore di distanza da sparatorie e fughe precipitose (il che significa manuali già pronti per il crisis management, policy definite e organizzazione capillare, non buon senso). E la cosa più interessante dal nostro punto di vista è che hanno la priorità di informare i cittadini attraverso i media, già sul campo, sulla strada, con le sirene e i lampeggianti intorno. Mica facile, eh.
  • Io sono nella provincia modenese e sto consultando attraverso Internet informazioni, ufficiali e ufficiose, in tempo reale. Come può fare qualsiasi cittadino americano. Le migliaia di chilometri di distanza sono irrilevanti. WCVB Boston, una TV della città, nella sua copertura streaming offre anche i sottotitoli in inglese in tempo reale, cosa che permette a chiunque abbia problemi di comprensione di quanto si dice (a causa di lingua, di udito, etc.) di interpretare correttamente il tutto.
A tre giorni da un attentato, i cittadini americani, e non solo, sanno che la autorità sono sulle tracce di alcuni sospetti e hanno soprattutto informazioni ufficiali, non solo "user generated tweets". Non traggo altre conclusioni perché non ci sono fatti confermati al momento, teniamo sempre a mente che il fact checking è un'arte difficile. Mi limito a sorprendermi di quanto sto vedendo e leggendo. Semplicemente.

giovedì 18 aprile 2013

L'irrefrenabile voglia di scoop genera mostri informativi


Diffidare sempre da qualsiasi media il giorno di un evento di particolare importanza: l'irrefrenabile voglia di dare scoop genera mostri informativi. Non solo nelle testate giornalistiche, anche in ognuno di noi. Inutile prendersela sempre con i redattori, anche noi siamo produttori e amplificatori di news piuttosto potenti se sappiamo usare Internet e i Social Network. Prendere le notizie, analizzarle e verificarle, per quanto possibile, deve diventare una responsabilità condivisa e personale, se vogliamo migliorare la qualità dell'informazione. 

Qualche facile esempio derivato dal caso della maratona di Boston:
Ce ne sono altri (vedi qui), questi comunque bastano. Io ho sempre detto, parlando spesso di fact checking, che la velocità è una cattiva consigliera e che la credibilità bisogna guadagnarsela. Lo dicono molto meglio di me due frasi, di cui una molto illustre.
"We still do not know who did this or why, and people shouldn’t jump to conclusions before we have all the facts." (Barack Obama, durante la conferenza stampa post esplosioni).

lunedì 15 aprile 2013

Puntare sulle persone, non su strumenti o diete


Luca Conti, non proprio l'ultimo tra i professionisti esperti di Rete e comunicazione online, ha fatto un interessante esperimento: una dieta ragionata da Social Media, informazioni in tempo reale e commenti in serie sulle news offerte da Internet. Prima molto drastica, poi più equilibrata. Sgombro subito il campo da ogni equivoco: non voglio fare analisi sociologiche spicciole, analisi di produttività o altre cose che non mi competono, voglio solo sottolineare una personale riflessione sul tema che sto facendo da molto tempo:

  • Abbiamo troppe informazioni che ci arrivano;
  • Gli strumenti che abbiamo per scegliere cosa leggere spesso ci fanno perdere più tempo rispetto a quello che ci fanno guadagnare;
  • Scegliere come o dove essere "social" sembra un comportamento da asociali (lo so che è singolare metterla giù così), da dandy o da gente fuori dalla realtà. Non è così.
Come già dicevo qualche tempo fa, forse ci stiamo facendo troppi viaggi. Il mondo è anche come appare sulle varie timeline ma non è tutto lì. Facciamo un esperimento: proviamo a guardare 50 tweet e vediamo, oggettivamente, quanti ci interessano e quante volte clicchiamo per approfondirne il contenuto. Io, fatto ora, sono a 6 su 50. E seguo gente che ho verificato per bene, molti addetti ai lavori. Significa che ho perso tempo a leggere cose che non mi servivano in 44 casi su 50. Acqua calda o latte versato, direte voi. Ma il problema rimane: il nostro tempo è limitato ed è meglio spenderlo bene.

I Social Network fanno perdere tempo? Come sempre, dipende da noi, da come li usiamo, da come li scegliamo. Il problema è complesso, non esistono risposte giuste o sbagliate. Quello che sembra certo è una cosa: a un anno di distanza ci si chiede spesso come mai spendessimo tanto tempo a far cose che sapevamo già essere inutili. Che l'uomo tenda per natura alla conoscenza lo diceva già Aristotele e anche Platone aveva scritto un bel po' di cose su conoscenza sensibile e conoscenza intellegibile. Ma io non voglio fare filosofia, voglio trovare metodologie che mi aiutino a setacciare la rete per trovare le mie pepite informative in modo più efficace, più veloce e più utile (vedi anche qui). Niente diete, per carità, vanno oltre i miei limiti. L'unico rimedio è quello di puntare sulle persone, come ho sempre fatto, e non sugli strumenti. Per quello ci vuole fiuto e devo affinarlo ancora.

martedì 9 aprile 2013

La comunicazione funziona se si è onesti, organizzati e pronti a cambiare


Leggo oggi un interessante articolo su UX Magazine (rivista specializzata in User Experience, che vi consiglio di seguire su Twitter) che spiega come un'azienda debba parlare con la propria voce e con sincerità. E non solo verso i clienti. "We know how to be honest with our customers, but sometimes the real problem is being honest with ourselves". Verissimo. Spesso ci convinciamo che essere sinceri basta, invece è una condizione necessaria ma non sufficiente per comunicare bene. Oltre a dire la verità, dobbiamo usare parole "vere" perché legate al cuore dell'organizzazione, termini che ci descrivano in modo unico e caratterizzante, che creino una relazione dialettica con chi ci legge. Il mondo non gira intorno alla vostra o alla nostra azienda, per questo ogni contatto, ogni potenziale rapporto con chi ci legge deve essere curato in ogni particolare.

Spesso la comunicazione efficace si gioca sui dettagli. Sull'omogeneità della comunicazione, sui valori condivisi, sul modo stesso di scrivere usando parole chiare e poco equivocabili. L'articolo di UX Magazine cita la Policy dei contenuti del governo inglese, un fantastico esempio per capire come nulla sia lasciato al caso nella loro comunicazione. Dagli indirizzi sul tono della voce (essere diretti e concisi utilizzando il "vero" inglese, non il burocratese o lo slang) allo stile di scrittura (al punto 2.22 si sottolinea di "usare uno spazio dopo il punto e non due", tanto per dire), dal diverso linguaggio da utilizzare in base al pubblico di riferimento ai diversi modi di gestione di ogni tipologia di contenuto. Sia chiaro: l'importante non è tanto cosa dice questa policy ma che ci sia, che sia consultabile, che sia un punto di riferimento chiaro per tutti, dentro e fuori al Governo inglese.

E diciamolo forte: non sono le tavole della Legge. Queste policy possono, e devono, cambiare perché le aziende, gli enti, le persone mutano continuamente. Deve essere un cambiamento lento ma costante, in cui i vari elementi possono combinarsi in modo diverso ma sempre ragionato, come pezzi di Lego. Non si cresce solo a livello di business ma in tanti altri modi.

(Photo credits: Tom's Hardware)

lunedì 8 aprile 2013

Gli istituti tecnici e la cultura nazionale

Talvolta, illustri conferme arrivano del tutto inaspettate. Oggi un video del Corriere.it segnala Massimo Banzi,  inventore del processore open source Arduino e assoluta celebrità tecnologica a livello internazionale, e un suo intervento fatto a Desio, sua città di provenienza. Dice cose apparentemente semplici ma che, in realtà, sono pesanti e bellissime allo stesso tempo. Premessa: lui si è diplomato all'Itis negli anni '80.
Mi è sempre piaciuto questo aspetto degli istituti tecnici, quello che studi poi lo fai anche praticamente subito dopo. C'è sempre questo parallelismo tra il pensare e il fare. Questo meccanismo viene riscoperto nel mondo dei maker mentre in realtà in Italia c'è questo tipo di scuola, che funziona, che fornisce un sacco di persone preziosissime all'industria ma quando dici che hai fatto l'ITIS ti trattano un po' da... [sfigato]. Una questione di cultura nazionale, quali sono i nostri eroi. 
Ne ho parlato più volte, per esempio qui e, recentemente, qui. Sono molto orgoglioso di vedere un personaggio del calibro di Banzi spendere queste parole per gli istituti tecnici, che condivido e sottoscrivo in toto. Volete un eroe italiano, ragazzi? Guardatevelo qui e ascoltatelo qui sotto.


giovedì 4 aprile 2013

Notizie bomba, diverso calibro: il caso Corea del Nord

Ieri notte apro il sito del Corriere e vedo in home page una notizia bomba (letteralmente): la Corea del Nord pronta a fare un attacco atomico verso gli Stati Uniti. Oddio. Che è successo?

Mentre mi faccio delle domande, rifletto. Ho fatto la mia tesi universitaria su un programma atomico (quello francese) e le sue ripercussioni nelle relazioni internazionali, un po' me ne intendo di quelle logiche. Pare strano, per me andrà così, prendendola con ironia. Allora vado a vedere i siti dei due principali quotidiani italiani e quelli dei loro omologhi statunitensi. Le notizie sulla Corea sono sotto, evidenziate in rosso. Trovate voi stessi le differenze nei toni, nei contenuti e nel posizionamento. Poi cercate di fare una serena riflessione sul mondo dell'informazione in Italia. Sempre utile.




Aggiornamento del 4 Aprile 2013 
Le news atomiche dalla Corea sono scese giù di parecchio nelle home page nostrane, posizionandosi tra i mal di pancia della Clerici e una Ford "alata". Tanto rumore per nulla (vedi qui). E come volevasi dimostrare.

martedì 2 aprile 2013

Uscire dalla caverna, seguire la luce

Possono dei cavernicoli insegnarci qualcosa? Sì, se andate a vedere i Croods al cinema. Parto da una premessa: ci sono andato coi miei figli (anni 4 e 1), per cui la mia attenzione era dedicata alla loro soddisfazione, visto che era la prima volta per entrambi davanti al grande schermo (è andata benissimo). Tornando a casa, mi chiedevo il perché quel film mi fosse piaciuto tanto: è fatto bene, è molto divertente, visivamente offre scenari favolosi e inconsueti per un film di animazione, tutto giusto, ma c'era di più. Stamattina ho letto questo post di Michele Vianello e mi si è chiarito il quadro. Un film ottimista, al di là dello scontato lieto fine, che manda un messaggio preciso: per sopravvivere bisogna cambiare.



La prima lezione che ci viene data è che tra tutti i protagonisti, in linea di principio, nessuno sbaglia. Il padre è iperconservatore per esigenze di sicurezza e lo si capisce, tuttavia comprende che deve cambiare durante il film (un po' come il Dragon Trainer, altro film eccezionale e incredibilmente sottovalutato). La figlia vuole rompere lo schema familiare che le tarpa le ali, esce dal nido sicuro rischiando di suo e trova chi le da risposte diverse. Il ragazzo sconosciuto e "progressista" che subisce inizialmente la forza bruta dei cavernicoli ma, poco a poco, li convince della bontà di cambiare prospettiva. La nonna che capisce, tra i primi, che il nuovo ragazzo può dare risposte a domande che ancora non ne hanno. Si intuisce perfettamente come tutti i personaggi facciano scelte diversissime ma tutte logiche, basate su quello che sanno e che hanno visto. Sopravvive solo chi ammette di aver sbagliato, anche solo nel giudicare le cose che non si conosce direttamente.

Il film può essere una lezione perfetta sia per il mondo dell'editoria che per quello della comunicazione d'impresa. Due frasi su tutte: "questo è solo l'inizio della fine, la fine della fine deve ancora arrivare" e "segui la luce fino alla salvezza". La caverna sicura crolla, il mondo là fuori è pericoloso ma solo se si capisce di dover seguire una nuova strada si sopravvive. Prima non c'era bisogno di avere idee per salvarsi, ora sì. Guardate il salto nel vuoto (letterale) del padre cavernicolo alla fine: la lezione sta tutta là. E vi divertirete pure.