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martedì 11 settembre 2012

Scrivere un libro, parte terza: dopo la pubblicazione


Ormai è un dato di fatto: i miei due post sulla scrittura del libro "Promuoversi mediante Internet" (qui il primo e qui il secondo) sono i più letti, di gran lunga. Per carità, numeri piccoli ma comunque molto significativi per me. Dimostra che, al di là di strategie, marketing e social media, la mia testimonianza di autore (improvvisato) è la cosa che interessa di più a chi mi legge, almeno in termini quantitativi. Ora aggiungo una terza parte, in divenire: il post pubblicazione. Ma niente consigli, solo sensazioni ed esperienze che sto vivendo in queste settimane.

Il libro sta vendendo bene, dice l'editore. Ovviamente ne sono contento. Ma la cosa che mi da più soddisfazione sono i commenti, le mail e i complimenti fatti dalle persone. Tanta gente con cui ho lavorato o che ho conosciuto negli ultimi 15 anni ha comprato il libro, l'ha letto (o lo sta per fare) e me l'ha comunicato con grande entusiasmo. Io non ho praticamente fatto promozione al libro: mandato qualche mail, qualche news messa su Facebook e Twitter, ma niente di serio o ragionato. Niente incontri in libreria, niente "product placement" in eventi di rilievo. Lavoro per un'azienda, ho una famiglia con due figli e una casa inagibile causa terremoto: semplicemente, non c'era tempo per farlo, semplicemente. Tuttavia, in una giornata normale, mi arrivano mail come questa.

 
Antonio non lo conosco. Ha comprato il mio libro, l'ha letto, ha cercato la mia mail su Internet e abbiamo iniziato a sentirci, a parlare di idee e consigli (lui si è quasi stupito che la nostra corrispondenza fosse del tutto gratuita). Altri mi hanno chiamato per tenere incontri con gli imprenditori, in azienda molti colleghi lo vogliono leggere. Tutte cose che mi hanno reso orgoglioso di quello che ho fatto. Il complimento più bello me l'hanno fatto due ex clienti: quello che si legge sei proprio tu, con il tuo modo di pensare e di lavorare trasferito sulla carta di un libro. L'obiettivo era proprio questo, mi piace pensare di averlo centrato.
 
Tanti, come prima cosa, mi chiedono quanto mi pagano. Gli rispondo sempre: non è importante (anche perché conosco molti autori di libri tecnici e sapevo come funziona, ossia che non si diventa ricchi). Quello che mi importava davvero era provare un'esperienza nuova, che ho scoperto essere molto faticosa e impegnativa, e prendermi una soddisfazione personale. Me ne stanno arrivando molte di soddisfazioni. Tutto grazie a persone come Antonio da Verona.

giovedì 23 agosto 2012

Viaggi sociali


Sono rientrato dalle ferie con una chiara sensazione: noi addetti ai lavori ci stiamo facendo un po’ troppi viaggi. Mentali, non vacanzieri. Ritornato alla connessione costante, ai Social Network e a tutto il resto del mondo online, ho ritrovato quello che conoscevo (anche altri hanno fatto esperimenti di sconnessione sociale). Ma non era la realtà che avevo visto fino a poche ore fa. Che non è fatta di Wi-Fi potenti e gratuiti, di Social Media dominanti, di riviste e libri digitali su tablet. Quello che ho visto sono iPad lasciati senza appello ai bambini, reti wireless presenti solo nei cartelli degli stabilimenti e un sacco di foto di tramonti messe online invece che fatte vedere alla fine della vacanza. Nulla di male, per carità. Internet ci ha sicuramente cambiati ma non così tanto come noi, addetti ai lavori, forse ci illudiamo.

Altro input da vita reale. Alcune persone mi hanno dato giudizi sul mio libro, tra cui alcuni responsabili aziendali ed ex clienti. La cosa che mi ha sorpreso sono le idee che li hanno colpiti: “per comunicare su Internet saper scrivere è necessario ma non sufficiente” e “intervistare un responsabile aziendale spesso offre un compromesso ottimale tra qualità e quantità delle informazioni, risultato ben più significativo rispetto al rifare o al riscrivere il materiale già fatto”. Certamente non concetti rivoluzionari. E, soprattutto, li ha colpiti il fatto che non considero affatto i Social Network obbligatori e che ogni azienda fa storia a sé. Mi dicevano che tanti professionisti e agenzie proponevano esclusivamente progetti legati al mondo social, ignorando o quasi il fatto che la loro azienda avesse un sito di 6 anni fa, che non avesse documentazione aziendale aggiornata, che operasse in un settore dove i potenziali clienti, di fatto, non stanno sui Social Network.

Spesso noi addetti ai lavori ci facciamo contagiare, anche in buona fede, dalle passioni del momento. Non necessariamente sono la cosa migliore da proporre ai nostri potenziali clienti. Ho letto un post titolato “Facebook non funziona come modello di business”: non è vero, ci sono settori in cui le pagine aziendali funzionano più che bene (un esempio), sempre che si sappiano gli obiettivi da raggiungere e i risultati che si possono ottenere. Tuttavia le opinioni espresse nel post e soprattutto nei commenti sono più che condivisibili. Altro esempio di logica un po’ distorta del mondo online: la dicotomia tra #epicfail ed #epicwin, dove pare non esistere una via di mezzo. Nel mondo reale non va così, le aziende possono ottenere frutti diversi da ogni progetto che attuano, non solo ottimo o pessimo. Il vero problema è che spesso non sanno come analizzare i risultati e lì tanti di noi possono davvero dare di più. Anche se è meno divertente.

(Photo Credits: www.laurentchehere.com)

venerdì 6 luglio 2012

L'onore della carta


Finalmente ho in mano il mio libro, cartaceo: una sensazione davvero particolare. La cosa mi ha fatto anche riflettere: su questo blog ho probabilmente molte più persone che mi hanno letto e mi leggeranno rispetto a quelle che lo faranno sulla carta. Perché il blog lo trovi in un secondo con Google, quando vuoi, non lo devi cercare e tantomeno comprare. Vedo tanta gente online che parla di comunicazione online però finisce immancabilmente per scrivere un libro: va benissimo, c'è anche l'ebook, ma non è tutto qui. Ora capisco molto meglio il perché, soprattutto tenendo conto del titolo stesso del mio libro. Pensare a una persona che legge le parole di inchiostro scritte da me mi da più soddisfazione, come se ci fosse un rapporto più intimo e particolare.

Ho scritto un libro sulla comunicazione online ma rimango stregato dalla vecchia e conservatrice carta. Perché? Forse siamo in una fase di transizione in cui anche noi, addetti ai lavori, che la meniamo con Internet, relazioni online e dialoghi in tempo reale, non siamo ancora sufficientemente maturi per abbandonare davvero la carta. Forse è solo un pizzico di romanticismo o la realizzazione di vecchi sogni di gioventù, quando scrivere un libro o diventare giornalista era l'aspirazione ideale e idealizzata. Poi, con l'andare degli anni, ti accorgi che con queste cose non ci campi. Però i sogni rimangono vivi e vegeti, dentro di te, da qualche parte.

In più, vedi la reazione delle persone, anche quelle più vicine a te. Mio padre va in libreria a comprare copie per i parenti. Mia suocera aspetta trepidante di vedere il mio nome sulla copertina. E anche gli amici, miei coetanei e under 40 (ancora per poco), subiscono il fascino di questa cosa. Ho già descritto le sensazioni provate nella fase di scrittura (qui e qui), ora volevo solo dire cosa si prova ad avere in mano il volume cartaceo. Ripeto, non sono numeri o risultati a contare. "Scrivere è leggere in sé stessi" diceva Max Frisch. Forse sta tutto qui.

mercoledì 20 giugno 2012

Promuoversi Mediante Internet: il mio libro

Nel bel mezzo di una settimana intensa di lavoro, tra fiere e test di prodotto, scopro che il mio libro è in libreria: Promuoversi Mediante Internet (PMI)


L'editore è FrancoAngeli, la collana Impresa Diretta. Guardate negli scaffali e ditemi se lo trovate: se volete, mandatemi foto e Tweet. Al massimo, ne ordinate la versione digitale. Ha anche un hashtag tutto suo: #pmilibro

Una soddisfazione mica da ridere in un periodo così difficile per me. Il frutto di un lavoro di oltre sei mesi, di telefonate con l'editore e di approfondimenti con la curatrice della collana, finalmente si vede su uno scaffale, su un carrello, su un tavolo, nelle mani di una persona. Ringrazio ancora una volta Cristina Mariani per questa opportunità, gli editor della FrancoAngeli per la serietà e tutti quelli con cui ho avuto modo di parlare in questi mesi. Visto che il post su come scrivere un libro è ormai il più letto di questo blog, vediamo se porta bene anche per le vendite.

venerdì 11 maggio 2012

Il consiglio dal cilindro


Riflessione mattutina che diventa un breve post, da approfondire con più calma uno dei prossimi giorni (e se qualcuno vuol dire la sua, è benvenuto). Sono tre giorni che sento clienti che hanno deciso di comprare un nostro software che si occupa della gestione di eventi particolari come le assemblee soci. Fin qui, nulla di strano. Quello che mi ha sorpreso è che l'80% del tempo non lo passiamo a parlare delle funzionalità del prodotto, dei vantaggi che offre, delle sue prestazioni, bensì discutiamo sulle modalità organizzative e di gestione dell'evento. Noi non siamo consulenti, progettiamo e vendiamo soluzioni IT. Siamo tecnici eppure ci chiedono continuamente consulenza: vogliono avere più la nostra esperienza che le nostre competenze.

Io arrivo da 11 anni di consulenza sugli eventi e, per questo, non sono rimasto affatto spiazzato. I miei colleghi invece sì. Lavorano ore per rendere quel software veloce, affidabile e intuitivo, ci rimangono un po' così quando gli chiedono un parere sul fatto di mettere o meno una persona all'ingresso per controllare l'afflusso. Ci ho riflettuto su. In questi tempi incerti, le imprese non vogliono conoscere prestazioni ma ottenere rassicurazioni. Più che un esperto di cartografia e GPS vogliono avere accanto un vecchio lupo di mare che ha visto decine di mari agitati. Ovviamente, la competenza non esclude l'esperienza. Ma è un po' come se andassimo da un nuovo panettiere e passassimo l'80% del tempo a chiedergli come preparare club sandwich più creativi. Ci dovremmo attendere uno sguardo perplesso.

Si può dire che certamente questa non è una novità, da sempre i clienti cercano l'esperienza. Ma in questi tempi incerti, le aziende devono essere più consulenziali che commerciali, devono privilegiare il consiglio giusto piuttosto che la vendita fine a sé stessa. Meglio un white paper che insegni come gestire un'attività piuttosto che una brochure che dica come funzioni il prodotto: può essere questo un vero vantaggio competitivo? Mailchimp lo fa da tempo, spiegando l'email marketing con il loro servizio solo sullo sfondo. Se fosse così, un libro comprato gratis per il Kindle potrebbe avermi dato una buona idea. Non male come rapporto tra costi e benefici.

L'informatica non riguarda i computer più di quanto l'astronomia riguardi i telescopi. (Edsger Dijkstra)

(Photo Credits: http://www.artlebedev.com/everything/cylindrus/)

giovedì 22 marzo 2012

Scrivere un libro, parte seconda

Ecco il secondo tempo del post sul mio libro, la prima è qui. Qualche giorno fa mi sono soffermato sugli aspetti positivi, ora mi concentro su quelli più o meno negativi. Anzi, per dirla più correttamente, mi sembra giusto approfondire le cose in cui ci si imbatte quando lo stai scrivendo ma che nessuno, o quasi, ti ha detto prima (un po' come quando diventi papà). Perché scrivere un libro è un sogno di molti e oggi ce lo si può anche autopubblicare come ebook. Ma pensare, come me, che tra qualche mese sarà in libreria ha un ulteriore alone di magia. Sì, lo so, sono un tradizionalista ma che ci posso fare?

Ecco le mie considerazioni negative, o quasi, del fatto di scrivere un libro:
  • Ci vuole tantissimo tempo: io scrivo per lavoro e pensare di dover realizzare un libro di 150 pagine dedicato a quello che faccio mi sembrava relativamente facile. Niente affatto, soprattutto se si prende in considerazione il tempo necessario. Io da libero professionista pesavo i miei budget sulle ore stimate di lavoro: se avessi dovuto farlo per questo, avrei  strutturato una proposta davvero importante. Per realizzare la bozza ho lavorato 6 mesi, di notte (di giorno lavoro e ho una famiglia con due figli), con uno sforzo di concentrazione e costanza davvero notevole. Non è affatto uno scherzo. E, ripeto, io sono abituato a scrivere tanto e velocemente.
  • Pensare alla soddisfazione, non ai guadagni: "ah, scrivi un libro! Quanto ti pagano?" è la domanda che mi sono sentito porre da chiunque. La risposta: "non lo so ancora, dipende da quanto vendo. Quindi poco". Il guadagno che ti arriva dalla casa editrice, semplificando, è una percentuale legata alle vendite: tanto per capirci, sotto al 10% del prezzo di copertina per ogni volume. Facendo due conti, si capisce chiaramente che non lo si fa per soldi. Lo si fa per passione, per soddisfazione, per essere utili a qualcuno, un po' la stessa motivazione per cui scrivo questo blog. Mica mi pagano. Però ho trovato due clienti in passato scrivendo qui dentro, dato non prevedibile ma da non trascurare.
  • Bisogna chiedere una mano: all'inizio pensi di potercela fare tutto da solo e non ti spieghi tutti quei ringraziamenti che trovi negli altri libri, per correzione di bozze, consigli e altro. Quando sei a pagina 50, ti accorgi che i tuoi occhi non vedono più refusi, ripetizioni, errori di sintassi, e in un attimo realizzi: hai bisogno di una mano, anzi dieci mani. Io ho la fortuna di avere una mogliettina che scrive da Dio e legge tantissimo. Nonostante due figli a cui badare, abbiamo lavorato insieme, mi ha dato consigli, mi ha proposto correzioni. In più, ho chiesto aiuto anche ad altre persone e lo continuerò a fare. Da soli non ce la si fa, fidatevi.
  • Un libro è sempre vivo: questo è anche un aspetto positivo. Tuttavia quando hai finito di scrivere un capitolo, manca sempre qualcosa da approfondire, un caso ideale per sottolineare quel concetto. Non lo trovi e te ne fai una ragione. Dopo una settimana, vai su Twitter ed è là, bello pronto, in grado di spostare il baricentro del capitolo stesso: che fare? Rimettersi al lavoro? Il mio consiglio: il libro definitivo non esiste, dovete porvi delle scadenze e rispettarle. Se siete entro la deadline si modifica, se no niente. Avete presente gli scrittori dei film che hanno libri in sospeso da 5 anni? Non è così difficile diventare uno di loro, ve lo assicuro.
Un bilancio? Per ora sicuramente positivo. Tanta fatica ma si tratta di realizzare un piccolo sogno. E, come scrive oggi Pier Luca Santoro su Twitter (pubblicando anche la foto sotto): "Non dire mai che i sogni sono inutili perché inutile è la vita di chi non sa sognare" (Jim Morrison).


Aggiornamento di Settembre 2012: c'è una terza parte, quella delle soddisfazioni post-pubblicazione. La potete leggere qui.

mercoledì 14 marzo 2012

Scrivere un libro, parte prima


Nelle ultime settimane, come sanno perfettamente le persone che mi gravitano vicino (perché mi stanno sopportando), sto terminando di scrivere un libro. Un insieme di passione, notti insonni, occhiaie e cose da leggere. Il tema è professionale e riguarda la creazione di contenuti di qualità per Internet ma, non essendoci da parte delle aziende consapevolezza su cosa siano i "contenuti per il Web", avrà un titolo un po' diverso. Si tratta di una cosa che ho sempre voluto fare, uno di quei piccoli sogni che spesso rimangono nei cassetti. Nel 2011 mi ero deciso a fare un ebook, una cosa semplice e veloce sul tema che mi affascina di più, ossia la comunicazione nel settore delle rinnovabili. Invece è capitata una bella occasione con casa editrice seria, curatori di collane, editor che verificano i testi e deadline da rispettare. Ne saprete di più a breve, intanto voglio fare alcune considerazioni. Ho materiale per due post, come Tarantino aveva materiale per due Kill Bill (scusatemi il paragone).

Scrivere un libro è bellissimo di per sè ma è davvero dura: a me nessuno l'aveva mai detto esplicitamente. Ci vuole un impegno costante per mesi e, a meno che uno non faccia lo scrittore di lavoro, si deve lavorare part-time. Se hai una famiglia, due bambini, il tennis e una vita, incastrare il tutto ha del miracoloso. Tornando a noi, ecco alcune considerazioni positive sul fatto di scrivere un libro (entro la settimana scriverò quelle negative):
  • Possibilità di analizzare seriamente un tema: per scrivere un libro, devi consultare più fonti, cartacee e digitali, capire quali siano più autorevoli, più affidabili e più utili al tuo scopo. Devi analizzare, tagliarle, incollarle e integrarle nei tuoi discorsi. Si tratta di quello che si fa per un post, ma elevato alla potenza. Una fase utilissima per farsi un'idea, ragionata, su alcuni aspetti che di solito si trattano in modo più leggero e veloce. Sei costretto a fare un salto di qualità.
  • Trovare un tuo stile: fare un post di 2.000 battute con un unico stile è abbastanza facile, farlo per un libro di 160 pagine è molto, molto più dura. Nei mesi il tuo modo di scrivere cambia, si evolve e si espande (accade, ve lo assicuro), nel libro invece devi rimanere sempre coerente con te stesso. Trovare uno stile che vada bene per tutto il libro non è facile ma è un esercizio importantissimo.
  • Essere nella testa del lettore: quando scrivi un post, quelli che lo leggono lo fanno velocemente, comodamente e... gratis. Se qualcuno si compra il tuo libro, ha investito su di te non solo in termini di fiducia ma anche economici. Questo ti responsabilizza, ti fa essere attento a ogni parola, a ogni esempio, per non essere mai banale e scontato. Rileggere un capitolo che hai scritto mesi fa con gli occhi di un lettore è una lezione illuminante su quanto puoi diventare il peggior critico di te stesso.
  • Un libro è sempre vivo: si scrive un capitolo, lo si arricchisce, lo si verifica, lo si corregge. Va bene, è pronto. Qualche minuto dopo su Twitter ti segnalano una notizia su quel tema davvero interessante: inserirla o no? Certamente, si dirà. Questo processo tuttavia non ha una fine teorica, un capitolo è sempre in fieri. Solo stabilendo una deadline ci si può salvare, tenendo conto che qualche imprecazione, quando si andrà in stampa, ci sarà sicuramente. Meglio essere preparati al "ma non poteva uscire due mesi fa questa ricerca?!", perché arriverà.
Finisco il primo tempo di questo post con due citazioni. "I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro" sostiene Carlos Ruiz Zafón. E Borges aggiunge: "il libro non è un ente chiuso alla comunicazione: un libro è una relazione, è un asse di innumerevoli relazioni". Un libro sei tu e le tue relazioni, ma è anche una sfida molto dura. A breve la seconda parte (eccola), io torno a scrivere.

Aggiornamento di metà Giugno 2012: il libro è ufficialmente in libreria, si intitola "Promuoversi mediante Internet", qui trovate il post dedicato. Un'enorme soddisfazione. Perché sta vendendo bene ma non è l'unica cosa che conta.

(la foto è un omaggio a "L'uomo senza sonno", film con un titolo che andrebbe benissimo per descrivermi) 

lunedì 6 giugno 2011

Credere ai miracoli è più comodo che confutarli*

Le creme antirughe funzionano davvero? Non lo so, perché non ne ho mai provata una (mia moglie può testimoniarlo). Tuttavia, penso che tutti noi, razionalmente, ammettiamo che nella migliore delle ipotesi possano leggermente migliorare la situazione ma non fare miracoli. La notizia di oggi è che una modella utilizzata per quelle pubblicità ha denunciato un colosso della cosmetica per aver utilizzato sue foto, ampiamente ritoccate, senza autorizzazione. Riassumendo, secondo l'accusa (ricordando che non c'è una sentenza in merito) hanno fatto delle fotografie "di prova", senza trucco, le hanno invecchiate per far vedere la differenza e le hanno utilizzate senza il suo consenso. Al di là di questo specifico caso, sembra oggettivamente evidente che c'è stato qualche (grosso) problema nella gestione della comunicazione da parte di questa azienda, fatto ancora più sorprendente visto che è un colosso da oltre 7 miliardi di dollari di fatturato che spende molto a livello di promozione dei propri marchi. Ma la questione vera è questa: promettere risultati miracolosi, un'ipotesi oggettivamente poco probabile, funziona a livello di comunicazione?

Ho finito di leggere da poco Neuromarketing di Martin Lindstrom, dove si spiega come l'acquisto di alcune tipologie di prodotti, come questi, è spesso frutto di un comportamento rituale e non di una decisione cosciente. L'autore dice che molte donne ammettono che le "creme miracolose" sono inutili ma, dopo un paio di mesi dall'averle provate, letteralmente, sulla propria pelle, vanno in farmacia e le comprano. Perché si tratta di un rituale: ci si alza la mattina, ci si lava e ci si mette la crema. Ci tranquillizziamo perché ci illudiamo di avere il controllo su quello che siamo e quello che diventiamo (soprattutto in un periodo di crisi economica, a quanto pare). In più, è una forma di tradizione che queste donne e le loro mamme hanno sempre seguito. Le provano, ne discutono e ne commentano i risultati. Come per altri prodotti, anche alcuni "maschili" (trovatemi un uomo sul pianeta a cui sono spuntati gli addominali dopo aver provato qualche crema miracolosa), il fatto che funzionino davvero o meno diventa secondario. Un'ipotesi sicuramente affascinante, che spiegherebbe perché molte aziende fanno da decenni queste pubblicità, di fatto, ingannevoli.

Per quanto mi riguarda, una comunicazione che mi prospetta di ottenere risultati se non impossibili altamente improbabili a me non interessa e, anzi, un po' mi infastidisce. Sarà che vengo dal "duro e puro" mondo del business to business, dove se comunicassi che un servoattuatore o un escavatore fanno miracoli mi riderebbero dietro sia i clienti che i competitor, nella più ottimistica delle ipotesi. C'è modo e modo di "promuovere" un rituale e lo si può fare con correttezza, trasparenza e sincerità. Quel modo di comunicare, poco veritiero e, forse, poco rispettoso per i clienti, ha avuto sicuramente buoni successi in passato. Ma non prevedo che avrà un gran futuro.
* Citazione tratta da "Il grillo parlante" di Roberto Gervaso

lunedì 24 gennaio 2011

Piccole grandi soddisfazioni

Qualche giorno fa scrivevo di come, in un 2010 di lavoro duro ma intenso, abbia potuto conoscere un sacco di persone interessanti, tutto grazie alla rete. Oggi voglio citare un piccolo, grande caso di successo. Io e Cristina ci siamo "conosciuti" leggendo e apprezzando i rispettivi blog oltre un anno fa. Facciamo più o meno lo stesso lavoro, qualcuno potrebbe dire che siamo competitor, utilizzando un linguaggio forse già morto e sepolto. Abbiamo iniziato ad interagire, a confrontarci sulle reciproche esperienze, sui lavori che stavamo facendo, sui temi che ci interessavano. Tra un lavoro e l'altro, tra una riunione e un convegno, semplicemente e spontaneamente. Ci siamo dati consigli e "consulenze" a vicenda, senza bisogno di dover firmare carte o accordi, solo per il piacere di condividere alcuni aspetti del nostro lavoro. Tempo perso direbbero forse i nostri commercialisti, tutto l'opposto in realtà.

Diversamente da me, Cristina scrive anche libri per lavoro, editi da FrancoAngeli. Da una nostra conversazione sull'utilità di tenere un blog per lavoro (altra perdita di tempo secondo alcuni che non si spiegano il perché uno debba fare qualcosa senza essere pagati per farla), ne è nata una specie di intervista, fatta via Skype una mattina di qualche tempo fa. Sulle cose che ci siamo detti lei ha scritto un box e l'ha inserito nel suo nuovo libro, come piccolo caso di successo. Un volume di cui ho già parlato, che sto rileggendo in questi giorni e che consiglio a tutti. Il libro è "Comunicazione low cost", lei è Cristina Mariani. Un po' di recensioni, molto più autorevoli della mia, le trovate qui. Una grande soddisfazione per me, nata dalla volontà e dal piacere di condividere idee, esperienze e progetti con persone che fanno il loro lavoro con passione, tutti i giorni. Potete leggere le pagine qui sotto (ho l'autorizzazione di Cristina e della sua casa editrice).


Un piccolo particolare: io e Cristina non ci siamo mai visti di persona. Ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti finora, forse colmeremo questa lacuna a Modena, i primi di febbraio. O forse continueremo a parlarci come vecchi amici e colleghi via mail, via Skype, sui commenti dei rispettivi blog, su Friendfeed. Certe volte ti rendi conto davvero delle enormi opportunità che la rete ti offre in modo semplice e immediato. Solo qualche anno fa, io e Cristina ci saremmo visti a qualche convegno, magari guardandoci un po' storti perché facciamo lo stesso lavoro e puntiamo alle stesse aziende. Con la rete maturiamo anche noi, talvolta quasi inconsapevolmente ma lo facciamo. Cristina intanto ha un sacco di carne al fuoco ma non voglio anticipare nulla. Solo un consiglio: io continuo a seguire il blog "Generazione Pro Pro" di Dario Di Vico sul sito del Corriere della sera, nei prossimi giorni ci saranno novità. Fatelo anche voi.