Visualizzazione post con etichetta progetti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta progetti. Mostra tutti i post

venerdì 12 luglio 2013

I siti Web vanno coltivati per portare dei frutti


Ogni tanto, per diletto e per lavoro, vado a cercare alcuni siti che mi diano spunti a livello di design, di contenuti e di idee creative. Ho alcuni portali di riferimento, che consulto di tanto in tanto, e rimango sempre sorpreso dalla qualità che trasuda da un semplice sito Web, che non deve seguire regole auree e limiti molto evidenti (pensiamo alle page dei Social Network) ma può dar sfogo alla creatività, nel bene e, talvolta, nel male. Quello che voglio sottolineare è che spesso questi siti sono sbilanciati verso una o l'altra caratteristica (molto design e pochi contenuti chiari o viceversa). Facciamo qualche esempio, fissando tre parametri: design, contenuti e idee creative.

  • http://rabbithole.uk.com/ - Sito di creativi (graphic designers, fotografi, etc.) stupendo a livello di immagini e grafica, che permette una navigazione intuitiva e veloce. Questa impostazione però deve, per forza di cose, prevedere contenuti brevi e non sempre da al lettore/utente una percezione adeguata di quello che fanno e delle caratteristiche dei loro progetti.
  • http://dayrise.co/index.html - Sito molto minimale e pulito a livello di grafica di un'agenzia di product design e UX, con immagini un po' troppo omogenee e fredde che non mettono così a proprio agio l'utente/lettore. Ma a livello di contenuti ci sanno fare, eccome. Guardate come danno visibilità a una case history, direi perfetta: problema, progetto, soluzione, parere del cliente.
  • http://www.apple.com/mac-pro/ - Ne ho già parlato qualche giorno fa, lo cito nuovamente perché merita (e non sono un Apple Fan). Tutto perfetto, quasi. La magia, l'applicazione con le immagini dinamiche, con alcuni browser non rende, per esempio Chrome. Però hanno fatto un gran ben lavoro.
  • http://www.bklynsoap.com/ - Un sito di produttori di sapone di New York, prodotto tutto fatto a mano. Cose positive: le immagini reali del "taglio" del sapone (immagini vere battono immagini comprate 10 a zero, se fatte bene), la richiesta aperta di feedback all'utente. Cose negative: quasi nulle le informazioni sull'azienda, non riesco a farmi un'idea (sono in 5 o in 50?).
  • http://www.zennaware.com/cornerstone/index.php - Un portale dedicato a un software di "versioning" che prova a integrare un template allo stato dell'arte con degli screenshot di prodotto (che, generalmente, è un'impresa ai limiti dell'impossibile). Il risultato non sempre è ottimale, va detto. Ma le pagine contengono tutte le informazioni che servono per valutarlo e ci vuole coraggio, in un settore con una concorrenza fortissima.
Il sito perfetto, ovviamente, non esiste ma l'importante è riflettere sempre in base a chi avrò davanti allo schermo, mettersi nei suoi panni, sperimentare ed evolversi. Come ho detto più volte, l'importante non è essere online ma essere in rete. E per esserlo bisogna seminare e coltivare, con pazienza. I frutti arrivano, prima o poi.

giovedì 6 settembre 2012

L'informazione sulle rinnovabili? In alto mare


Le rinnovabili non vanno più così di moda. Leggete giornali, guardate tv, navigate online: ormai il settore della produzione di energia pulita si sta associando sempre più al concetto di bolla, analoga a quella vissuta dal mondo ICT qualche lustro fa (un esempio qui, ce ne sono molti altri). Prima era il futuro radioso e incontestabile, ora è un comparto dominato da lobby e oscure logiche di mercato. Si sa, nella comunicazione le mode contano molto e la verità sta sempre nel mezzo ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza e di “fact checking”.

Il settore delle rinnovabili rischia di essere una bolla? Certo. Come tutti i settori che nascono e crescono velocemente, forse troppo, i Governi non riescono a fare piani industriali per gestirli e si rischia di perdere il controllo. La Germania, esempio virtuoso in questo senso, è stata la prima a provarci, riuscendo a diventare la “locomotiva d’Europa” nel solare (vedi qui) pur avendo condizioni meno favorevoli dei Paesi mediterranei. Allo stesso tempo, è la prima a subire i contraccolpi negativi della velocità di sviluppo di un settore condizionato dagli incentivi (che hanno portato a una sovrabbondanza di produzione e un conseguente problema di gestione dei costi) e che ha visto apparire sulla scena i competitor asiatici, aggressivi come lo sono in altri settori maturi. Anche l'Italia sta subendo l'impatto di questo fattore (vedi qui, ad esempio).

Ma le rinnovabili non sono più il futuro? Certo che lo sono ma bisogna essere realistici. La crisi economica non poteva non colpire duramente un settore che ha bisogno non solo di pannelli solari ma anche di infrastrutture nuove e molto costose per la produzione di energia: pensiamo ai parchi eolici, specialmente quelli più efficaci e redditizi, ossia gli offshore. In più, non bisogna solo produrre ma anche distribuire l'elettricità prodotta e necessitano reti e infrastrutture nuove per la gestione dell’energia pulita. In Germania servono 2.100 km di linee in corrente continua e 1.700 km di linee in corrente alternata, mentre almeno 4.000 km di linee esistenti dovranno essere rinnovate. Ossia, investimenti per decine di miliardi di Euro. Da noi se ne parla ancora pochissimo.

Il mio compito non è quello di analizzare lo scenario economico o industriale (non ne ho le competenze), ma quello della comunicazione, che è ondivago e, talvolta, poco chiaro per chi legge. L’obiettivo deve essere quello di analizzare più fonti e di farsi un’idea più chiara del tutto. Restando ai fatti, il settore delle rinnovabili paga problemi intrinsechi (si è corso, paradossalmente, troppo velocemente in quanto “dopati” dagli incentivi) ed esterni (crisi economica mondiale). Però ha superato di gran lunga tutti gli obiettivi previsti  solo 10 anni fa, in tanti casi in modo clamoroso. In più, ci sono altri settori oltre il solare fotovoltaico: eolico e mini-eolico, biomasse, cogenerazione e trigenerazione, geotermico, tutte cose che leggiamo raramente sui giornali e che devono essere conosciute e valutate.

Quel che è certo è che, volente o nolente, la sostenibilità è un processo irreversibile. Non è il bene assoluto né una bolla speculativa, è un settore di primaria importanza che va analizzato, compreso e capito. Per questo, anche noi addetti ai lavori abbiamo un compito importante: fare informazione e farla bene. Ne abbiamo bisogno e può essere fatta dal basso. Quel che conta è non cercare il titolone, del giornale o del blog, a tutti i costi. A far quello sono capaci quasi tutti.

(Photo credits: www.riqualificazioneenergetica.info)

venerdì 6 luglio 2012

L'onore della carta


Finalmente ho in mano il mio libro, cartaceo: una sensazione davvero particolare. La cosa mi ha fatto anche riflettere: su questo blog ho probabilmente molte più persone che mi hanno letto e mi leggeranno rispetto a quelle che lo faranno sulla carta. Perché il blog lo trovi in un secondo con Google, quando vuoi, non lo devi cercare e tantomeno comprare. Vedo tanta gente online che parla di comunicazione online però finisce immancabilmente per scrivere un libro: va benissimo, c'è anche l'ebook, ma non è tutto qui. Ora capisco molto meglio il perché, soprattutto tenendo conto del titolo stesso del mio libro. Pensare a una persona che legge le parole di inchiostro scritte da me mi da più soddisfazione, come se ci fosse un rapporto più intimo e particolare.

Ho scritto un libro sulla comunicazione online ma rimango stregato dalla vecchia e conservatrice carta. Perché? Forse siamo in una fase di transizione in cui anche noi, addetti ai lavori, che la meniamo con Internet, relazioni online e dialoghi in tempo reale, non siamo ancora sufficientemente maturi per abbandonare davvero la carta. Forse è solo un pizzico di romanticismo o la realizzazione di vecchi sogni di gioventù, quando scrivere un libro o diventare giornalista era l'aspirazione ideale e idealizzata. Poi, con l'andare degli anni, ti accorgi che con queste cose non ci campi. Però i sogni rimangono vivi e vegeti, dentro di te, da qualche parte.

In più, vedi la reazione delle persone, anche quelle più vicine a te. Mio padre va in libreria a comprare copie per i parenti. Mia suocera aspetta trepidante di vedere il mio nome sulla copertina. E anche gli amici, miei coetanei e under 40 (ancora per poco), subiscono il fascino di questa cosa. Ho già descritto le sensazioni provate nella fase di scrittura (qui e qui), ora volevo solo dire cosa si prova ad avere in mano il volume cartaceo. Ripeto, non sono numeri o risultati a contare. "Scrivere è leggere in sé stessi" diceva Max Frisch. Forse sta tutto qui.

venerdì 29 giugno 2012

Di quà e di là dal tavolo


Una riunione, un tavolo di legno, un brusco ritorno alla realtà. Come spesso accade quando mi capita di incontrare dal vivo un potenziale cliente importante attivo in un settore tradizionale (bancario/assicurativo), torno al lavoro con una visione meno eccitante ma molto più lucida della situazione del mercato. Non ho dati fisici da analizzare ma sensazioni ed espressioni del viso che contano, forse, di più. Parole come "applicazioni per smartphone" o "per tablet" suscitano curiosità momentanea ma quando si inizia a discutere del progetto concreto, si torna bruscamente a usare parole chiave come "PC portatili", "stampanti" e "moduli cartacei". Come se le seconde fossero più serie, concrete, utili delle prime. Come se il tavolo, d'improvviso, creasse un confine, un limite invalicabile.

La sensazione è sempre quella: finchè c'è da parlare di progetti che escano dal seminato, che offrano nuove possibilità tecnologiche, che aprano nuove opportunità, nessun problema, anzi il dialogo è molto stimolante. Quando si va sul pratico, sul progettuale, l'approccio ritorna conservativo e concreto. Vero, il cliente di cui sto parlando è molto conservatore di suo ma le aziende italiane che vedo sono molto spesso così. L'impressione è quella di dover far formazione ogni volta su alcuni temi che, troppo spesso, diamo per scontati: passare da una presentazione in IBM tra addetti ai lavori al tavolo in legno di una banca in pochi giorni è un salto spazio-temporale enorme. Tutti e due i momenti, tuttavia, danno indicazioni altrettanto utili, seppur così diverse.

Dare una netta preferenza alle idee che ci piacciono di più e criticare l'azienda per il suo immobilismo forse non è la migliore idea che possiamo avere. "Mettersi nei panni del cliente" mica è facile da fare. Da dire invece sì.

giovedì 8 marzo 2012

La voce dell'azienda


Sul libro che sto scrivendo, che parlerà di come creare contenuti per promuoversi su Internet, ho ripetuto più volte che un'azienda ha una voce propria, unica, inimitabile. Il problema è che spesso rinuncia a parlare come sa per adeguarsi a regole e mode del momento. Insomma, cade nella "sindrome del timido alla festa": imita il modo di parlare di quello più "ganzo", risultando poco credibile e non facendo colpo sulla ragazza che sogna. Per un'azienda, questa voce deve essere più o meno la stessa per ogni sua parte, per ogni sua filiale. Non uguale ma simile. Le peculiarità vanno rispettate, così come variano gli interlocutori o gli stakeholder ai quali ogni divisione o sede si rivolge. Però ci deve essere un fattore comune che fa capire all'esterno che, pur avendo caratteri diversi, si è della stessa famiglia, ossia un nucleo serio, affidabile e che sa quello che fa. Con regole chiare e condivise.

Un articolo che ho letto ieri parla di questo in termini di User Interface. Spiega come molto spesso settori diversi non si parlano e offrono "prodotti" diversi (sito Internet e sito ottimizzato per il mobile senza alcuna affinità) a chi è fuori dai loro cancelli, con un unico risultato sicuro: creare confusione e disorientamento. Agli utenti finali non interessa come la società sia organizzata, si aspettano di avere a che fare con organizzazioni unificate e omogenee, nelle quali il valore del brand sia uniformemente distribuito in ogni parte e ufficio. Certamente è vero che stiamo vivendo un periodo di grande evoluzione nel rapporto tra Web, design, contenuti e modalità di relazione con le persone online. Non è facile trovare modelli di riferimento validi per tutti. Ma, come si dice nell'articolo, il modello dei compartimenti stagni non funziona più. Anche perché le sfide, a livello di comunicazione, sono e saranno sempre più difficili in un mondo così interconnesso e veloce, dove si deve scindere tra voce aziendale e voce personale. Con un unico comune denominatore: dire la verità (lo scriveva già il Guardian nel 2009).

Le persone che lavorano insieme devono parlare, confrontarsi e decidere procedure comuni, linee guida che devono poi essere declinate in attività specifiche. Questo ovviamente presuppone una consapevolezza organizzativa molto avanzata. In questo, noi italiani siamo incredibilmente favoriti: il 94,7% delle imprese è sotto i dieci dipendenti. Poche persone da coordinare, quindi. Se le aziende non usano una voce sola, è per una mancanza di consapevolezza e di cultura della comunicazione. I responsabili della produzione, delle vendite, del marketing e del CRM devono parlare più e più spesso sulle strategie da portare avanti. Esempi pratici? Evitare di perdere ore per fare presentazioni di 50 slide, organizzando invece workshop o brainstorming sulle prossime strategie. Far vedere un prototipo del prodotto a vari responsabili aziendali e chiedere loro cosa ne pensano. Una voce aziendale forte richiede consapevolezza dei propri mezzi, sicurezza di sè e obiettivi chiari. Tutte cose che piacciono molto ai clienti (e, mi dicono, anche alle ragazze alle feste).

A proposito, buon 8 marzo a tutte le donne che mi leggono (la foto di Sister Act, del tutto casuale, pone un interrogativo: chissà se arrivano le mimose anche alle suore, visto che, come dicono nel film, sono sposate col "pezzo grosso").

venerdì 27 gennaio 2012

Cos'è un'azienda? Parole e immagini


Sostengo da sempre che il potere delle immagini nella comunicazione d'impresa sia enorme. Questa capacità ha ovviamente un lato opposto della medaglia: l'utilizzo di foto o video non adeguati rispetto a quello che si vuole dire danneggia in modo quasi irrimediabile i contenuti testuali. L'immagine infatti si lega a meccanismi razionali ed inconsci di percezione cognitiva e a una base culturale di chi la guarda che è difficilmente da stabilire a priori ma che, sicuramente, condizionano chi la vede in modo molto potente. In un momento in cui le parole scritte svolgono un ruolo centrale nella comunicazione (pensiamo al ruolo fondamentale che hanno avuto nello sviluppo dei Social Network), le immagini possono essere decisive nell'accompagnare concetti, novità, annunci e approfondimenti in modo davvero efficace (pensiamo ai video virali).

Nella mia esperienza lavorativa ho sempre cercato di sottolineare l'importanza del rapporto tra parole e immagini, con alterne fortune. Da un lato, ho avuto grandi soddisfazioni nel convincere aziende a coinvolgere grafici, fotografi e videomaker professionisti per migliorare la loro comunicazione. Dall'altro, non sempre sono stato compreso in pieno, nel senso che non si è percepito il valore aggiunto che poteva offrire un'immagine particolare, d'impatto. Semplicemente perché si seguivano idee conservative, simili a quelle dei concorrenti, oppure perché si realizzavano "prodotti brutti", che non davano, secondo le stesse aziende produttrici, un valore aggiunto in termini di impatto visivo. In realtà, il vero motivo era una non volontà di sperimentare, di provare qualcosa di nuovo, di uscire dal seminato credendoci davvero.

Un esempio? Il video aziendale. Ne ho visti tanti, quasi tutti uguali: musichetta d'ambiente vagamente new age, logo aziendale, riprese dell'ingresso dell'azienda, poi della produzione, poi stacco sulla storia dell'impresa, poi qualche parola di qualcuno, poi prodotti, prodotti e prodotti. Sempre simili, sempre quelli. Quanti di loro mi hanno colpito? Pochissimi. Nel mio lavoro di consulente esterno, il video aziendale è una delle pochissime attività che non ho mai gestito direttamente, per volontà dei miei clienti. Ora che lavoro in un'azienda, ho messo questa iniziativa tra le priorità, perché penso che possa darci davvero una marcia in più. Mi sono chiesto: ma è davvero così difficile realizzare un video diverso dagli altri? Dopo aver organizzato un incontro in un bar di Verona con Elena Da Ros, una (bravissima) professionista del settore, mi sono convinto che ci si può riuscire. Una prova: guardate il video qui sotto e chiedetevi di che azienda stiamo parlando.

Tapì from Elena Da Ros on Vimeo.

Sì, è di una società leader nella produzione di tappi e sistemi di chiusura. Capito cosa intendo?

(il titolo del post è ispirato alla frase di Andy Warhol "Non è forse la vita una serie d'immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?")

lunedì 16 gennaio 2012

Bollette più care: un'analisi della comunicazione


Internet ci offre la possibilità di essere bombardati di notizie ma anche di poterle verificare direttamente, cosa che quando le si leggevano solo sui giornali o le si vedevano in TV era molto più difficile. Un fattore non da poco per analizzare la comunicazione, e la veridicità delle analisi, legata a un annuncio o un fatto (vedi sotto una riflessione personale sul tema di Gianluca Diegoli su Twitter e qui un post di Alessandra Farabegoli sui limiti dei giornalismo odierno).


Il Web ci permette di verificare le fonti, analizzare le varie ragioni e farsi un'opinione molto più ragionata. Non capire tutto ma almeno saperne di più. Se non lo facciamo oppure se iniziamo a parteggiare aprioristicamente per una parte o per l'altra, è colpa della nostra pigrizia, anche intellettuale. Prendiamo un esempio chiaro, ossia l'aumento delle bollette di gas ed elettricità (e non il naufragio della Costa Concordia, notizia sul cui crisis management Roberta Milano ha scritto un ottimo post). Si tratta di un settore che seguo molto da vicino, soprattutto per quanto riguarda l'impatto delle rinnovabili. Analizziamo come questa notizia è stata gestita dalla fonte e dai vari stakeholder.

Fonte
L'Autorità per l'energia elettrica e il gas annuncia che i persistenti rialzi dei prezzi previsti per il primo trimestre 2012 (+4,9% per l'elettricità e +2,7% per il gas) sono dovuti "ai persistenti rialzi delle quotazioni petrolifere e, per l’energia elettrica, anche gli incentivi alle fonti rinnovabili e i connessi costi per adeguare i sistemi a rete al nuovo scenario di produzione decentrata e intermittente" (qui il comunicato stampa). Insomma, 32 Euro in più per il gas e 22 Euro in più per l'elettricità, all'anno. Per l'energia elettrica, gli incentivi delle fonti rinnovabili avrebbero un ruolo determinante per questi aumenti, mentre per il gas il colpevole principale è il costo delle materie prime. I media danno visibilità a questo annuncio (vedi un esempio qui, basta cercare con Google per averne altri), sottolineando che abbiamo tariffe più alte della media europea, come conferma anche il Presidente della stessa Autorità per l'energia elettrica e il gas.

Stakeholder
Assosolare, l'associazione che riunisce i produttori attivi nel settore fotovoltaico in Italia, reagisce alla notizia, verificando i dati e dando il suo parere (non c'è il comunicato stampa/dichiarazione ufficiale sul sito ma c'è la rassegna stampa che ne evidenzia indirettamente il contenuto). Loro sostengono che le fonti tradizionali hanno un impatto più decisivo delle rinnovabili per l'aumento, confermando però che queste ultime hanno un ruolo importante (leggi qui su Tekneco). Allo stesso tempo, dicono che l'andamento dei costi delle fonti fossili è molto più incerto (vero) e che il fotovoltaico non produce CO2 (vero ma solo in parte, perché la produzione di pannelli non è a emissioni zero).

ENI SNAM Rete Gas (che, ad oggi, ha comunicati stampa fermi a Dicembre 2011) non sembrano commentare ufficialmente la notizia e, come appare molto probabile, non si separeranno* (vedi qui e qui) anche se si continua a parlare della cosa. Le colpe degli aumenti, secondo gli addetti ai lavori, sono sempre legate alla crescita dei prezzi delle materie prime e delle tasse collegate.

Giudizio
Indubbiamente, gli investimenti nelle rinnovabili fanno alzare i costi ma si tratta sostanzialmente di investimenti. Tuttavia, come dice giustamente Massimo Mucchetti sul Corriere, arriva "un salasso in bolletta senza nemmeno costruire una forte industria manifatturiera nazionale di settore come, invece, si è fatto prima in Germania e poi in Cina". Per quanto riguarda il gas, lo stesso prodotto (russo) dello stesso tubo lo paghiamo più di altri per i margini dell'ENI, come detto molto chiaramente nell'articolo di Mucchetti. Qual'è il comune denominatore dei due aumenti? La mancanza di un piano industriale serio e adeguato da parte del Governo, azionista di ENI, ENEL e Terna. Magari è una conclusione che si poteva prevedere a priori, ma ci sono conferme oggettive (e si trovano altre interessanti notizie). L'analisi della comunicazione ha portato i suoi frutti, ora dovrebbero seguire azioni concrete. Incazzarsi davvero, per esempio. Mica lo possono fare solo i tassisti.

* Aggiornamento del 20 Gennaio: ENI e SNAM si separeranno per decreto. Ero stato troppo pessimista.

giovedì 5 gennaio 2012

Non è mai facile fare bene le cose

L'ospedale ha un grande vantaggio collaterale: permette di leggere tanto. Io sono nella struttura ospedaliera di Modena perché la mia piccola è stata molto male: ora va decisamente meglio e allora finisco molti libri, standole vicino. Ho appunto terminato "La caffettiera del masochista" di Donald A. Norman, volume prestatomi da un collega di lavoro dopo la recente morte dell'autore, che conoscevo di fama ma di cui non avevo mai letto nulla. Un libro illuminante che spiega, in modo semplice e originale, come tanti errori quotidiani derivino da un cattivo design delle cose che usiamo, non da una nostra inefficienza (una bella botta anche per la mia autostima).

La semplicità, sia a livello comunicativo che in generale, è mio pallino (vedi qui e qui) e questo libro mi ha dato molti spunti a riguardo. "I progettisti non sono utenti tipici. E infatti non notano i nostri stessi problemi. Perché loro diventano talmente esperti delle loro creazioni che non capiscono gli aspetti che possono creare difficoltà". Una tesi semplice ma chiarissima per capire l'insuccesso di tanti prodotti odierni, potenzialmente ricchissimi di applicazioni ma che sono difficili da usare nelle funzioni che ci servono davvero. E questa tesi è scritta su un libro del 1988, cioè 24 anni fa. Molto prima che gli iPod facessero tornare in auge il concetto di semplicità d'uso per gli utenti. Lo stesso concetto, ossia la difficoltà che trova "chi fa" nel mettersi nei panni di "chi usa", vale per la comunicazione. Spesso si descrivono e viene data grande visibilità ad aspetti che interessano soprattutto all'azienda che li produce, non ai clienti che li usano.

Accade sovente che quando si vogliono comunicare soluzioni tecnologiche, si presume che gli utenti/clienti siano "patiti di tecnologia" (come disse una volta Steve Wozniak) e capiscano al volo. Non e così. Loro vogliono capire come un prodotto li possa aiutare e sono costretti a basarsi sulle opinioni, molto personali, di un venditore, non sulle informazioni date da chi quel prodotto l'ha progettato e prodotto. E soprattutto, come sottolinea Norman, "l'innocenza perduta" dalle aziende non è facile da riacquistare. Per questo è necessario che i progettisti lavorino in team con persone con competenze molto diverse. Così è più semplice evitare gli errori, anche banali, dato che ci sono molte teste che lavorano, pensano e controllano allo stesso tempo. Perché "non è mai troppo facile fare le cose bene". E il libro, che consiglio a tutti, lo spiega molto meglio di me.

lunedì 12 dicembre 2011

La creatività e la concretezza


Si parla spessissimo di creatività a livello di comunicazione, altrettanto spesso lo si fa con poca cognizione di causa. Si generalizza la potenza e l'utilità di un'idea folgorante, nuova, inedita, senza però andare nel concreto. Raramente, invece, accade di imbattersi in qualcosa di realmente creativo e di grande impatto. Leggendo un post della bravissima Elena Veronesi (una che non scrive mai cose banali, da seguire con attenzione) sugli "schizzi di comunicazione", ho scoperto il sito BootB (Brands Out Of The Box). Si tratta di un progetto di marketplace che vuole mettere insieme le idee di professionisti creativi con le necessità delle aziende a livello di comunicazione. In breve: un impresa crea un brief su quello di cui ha bisogno, lo condivide in questo spazio, vari professionisti propongono i loro progetti e quello che piace di più "vince" il budget. Il crowdsourcing comunicativo, insomma.

Bella idea ma andiamo a vedere nel dettaglio come la spiegano. Il sito, innanzitutto, ha un design favoloso, che trasuda creatività da tutte le parti. Ogni cosa, dalle immagini "disegnate a mano" al font, dall'impostazione dell'home page ai colori, tutto è scelto con grande cognizione di causa. Promettono creatività e la offrono subito, senza indugi. In più, il sito è un vero multilingua: la versione italiana, inglese e spagnola, ossia le tre che posso analizzare, hanno un gergo e un linguaggio del tutto verosimile, molto diretto e decisamente efficace. Volete sapere meglio come funziona? C'è un bel video che lo spiega, a vignette, passo dopo passo. In più, si trovano subito i progetti aperti (i brief), i clienti contenti e i migliori creativi. Insomma, in home page c'è tutto. L'hanno fatto i soliti americani? No, il fondatore è italiano, una bella notizia.

Ovviamente, non è tutto oro quel che è creativo. Alcune mie perplessità le ha già espresse PierLuigi Zarantonello in un post. Di fatto, il livello di consulenza è a progetto, non strategico, e il coltello dalla parte del manico ce l'hanno le aziende, che definiscono i budget senza una controparte e possono scegliere senza magari avere le capacità per farlo. In più, come sa chiunque abbia visto dal vivo una gara tra agenzie di comunicazione, il cliente può disporre di numerose nuove idee in modo praticamente gratuito (potendo poi realizzarle anche autonomamente). Resto convinto che per tante aziende, specialmente medio-piccole, questo tipo di soluzione non vada bene perché manca una figura strategica in grado di aiutarle a crescere davvero (i clienti citati, infatti, sono grandi aziende).

Insomma, il crowdsourcing creativo funziona davvero? Qui e qui potete leggere giudizi molto più autorevoli del mio, io mi limito al mio campo. Al di là di quale sia l'idea che ci sta sotto, il sito di BootB la spiega benissimo con grande impatto visivo verso l'utente. Le scale di Escher, anche se impossibili, catturano la nostra attenzione e ci affascinano, no? Questo portale è un esempio di creatività comunicativa davvero efficace e concreta, con contenuti di grande spessore. Una visita la merita anche solo per questo.

giovedì 10 novembre 2011

C'è spazio per un Social Business Network?


Come segnala puntualmente il blog dell'agenzia Ippogrifo (seguitelo, ne vale la pena), Google+ apre alle pagine aziendali. Notizia assolutamente non inaspettata, era nell'aria da mesi ed ora tutti i brand potranno buttarsi nel nuovo Social Network di Google per creare relazioni con le proprie cerchie. Come per Facebook, grandi marchi hanno subito approfittato dell'opportunità. Io però voglio partire da una considerazione: sia Facebook che Google+ nascono come ambienti per le persone, non per le aziende. Le relazioni che si creano in questi ambienti sociali sono molto sbilanciate in favore degli utenti, il che obbliga le imprese a "perdere il controllo" e a entrare in un campo molto più neutro rispetto a un passato dominato da pubblicità e comunicati stampa. Tutto bello, ci mancherebbe, ma questo discorso vale molto per il B2C, per la relazione tra azienda e "consumatore" (parola che odio), pochissimo per il B2B. Si tratta di un dato di fatto.

Le imprese che producono betoniere, software aziendali, servoattuatori, carrelli elevatori e tanti altri prodotti destinate ad altre aziende, e non a singole persone, sono tagliate fuori da una prospettiva di relazioni sociali online? Ne ho già parlato qualche settimana fa dell'idea di creare un Social Business Network e questa cosa mi sta facendo riflettere parecchio. Perché non si può creare una relazione tra azienda e azienda, che segua regole simili ma non uguali a quelle di Facebook o G+? Magari già tanti ci hanno provato (Ning era un bell'esperimento) e nessuno ci è riuscito. Ognuno di noi ha un'idea geniale al giorno ma di Zuckerberg ne abbiamo uno solo, al mondo.

Il più grande limite, oggi, è che le imprese stesse, specialmente quelle italiane, non vogliono essere messe sullo stesso piano delle altre (anche se in fiera accade esattamente questo). E molte non hanno interesse a comunicare con nuovi canali, seguendo l'assunto "gli agenti vendono già con i loro mezzi, perché cambiare?" che ricorda molto "noi viaggiamo già bene con i cavalli, a cosa ci servono le automobili?" Per me le pagine gialle aumentate potrebbero essere utilissime per creare nuovi network e nuovi progetti, semplificando notevolmente anche le procedure di relazione con i clienti-aziende e non solo con i clienti-persone. Ora lavoro in un'azienda piena di programmatori e magari, davanti a un caffé, proverò ad avere qualche commento tecnico. Una cosa è sicura: un Social Business Network renderebbe la vita più semplice a me, meno a loro. Perché usare è più semplice di costruire, quasi sempre.

P.S. I risultati dell'analisi della mia vita sociale, che citavo qui, sono in forte ritardo perché ho una principessa di 15 giorni a cui dare tutta la mia attenzione. Ci vuole pazienza. :-)

giovedì 29 settembre 2011

La mia vita "sociale" va in analisi

Da qualche giorno ho un profilo Twitter (come vedete dai bottoncini qui a destra). La mia reticenza non era motivata tanto da problemi dello strumento in sé, dati i numerosi giudizi positivi che mi sono dati dati da amici, da addetti ai lavori e da professionisti con cui mi sento. Le perplessità erano motivate dal fatto che il tempo materiale che posso dedicare alla mia vita online non è, di fatto, espandibile per cui aggiungere un altro profilo ai numerosi esistenti non mi sembrava una bella idea. Dopo attenta riflessione e pareri illuminati mi sono deciso: mi trovate a cinguettare qui. Abbiate pazienza se faccio qualche errore su hashtag e retweet, sono un neofita dello strumento e lo ammetto candidamente.

Questa occasione mi ha portato a decidere di riorganizzare (parola che odio) gli strumenti sociali che utilizzo, soprattutto per fini professionali: parlare di argomenti interessanti, avere spunti e idee, trovare potenziali clienti. Per questo, utilizzerò il mese di ottobre come banco di prova per vedere quali strumenti funzionano e quali no. Come dicevo, sono un essere umano, le mie ore sono limitate, non sono un guru con il dono dell'ubiquità "social". Si tratta di un esperimento su me stesso, valido solo per me ma che spero possa essere utile per condividere esperienze, vantaggi, problematiche e prospettive con altre persone. Ad oggi, la mia vita sociale vede un'intensa attività su Facebook, LinkedIn, Google+, Friendfeed e Twitter, con presenze non regolari su YouTube (da creatore di contenuti, come utente sono attivissimo), Slideshare (le presentazioni sono lunghe da fare) e Quora (l'entusiasmo iniziale è velocemente scemato).

Devo ammettere che, da professionista specializzato nella comunicazione B2B, la mia vita "sociale" mi ha portato benefici a livello di relazioni (numerose con persone molto competenti in vari settori), di formazione e di aggiornamento sulle ultime novità. A livello di nuovi clienti, solo LinkedIn mi ha portato, ad oggi, risultati concreti. La mia sensazione è che per professionisti e PMI non ci sia, ad oggi, un Social Business Network adatto a soddisfarne le necessità, un posto dove le aziende e i professionisti possano avere un loro spazio dedicato per comunicare, farsi trovare, aggregarsi e vendere. I Social Network sono nati per le persone e questa caratteristica, penso, non potrà mai essere cambiata (l'unica parziale eccezione è Xing, che però non ha sfondato completamente). "L'elenco del telefono aumentato" su Internet ce l'abbiamo, anzi ne abbiamo parecchi e di forme diverse. Ci mancano le "pagine gialle aumentate" per trovare liberi professionisti e imprese, sapere cosa fanno, parlarci insieme. Se ci fosse qualche sviluppatore all'ascolto o qualcuno che ci ha già provato, batta un colpo. 

Ci sentiamo tra un mese, quando uscirò dal mio esperimento di riorganizzazione della vita sociale online. Anche perché, avendo quasi due figli, quella reale è molto limitata.

martedì 30 agosto 2011

Ci sono molti modi per fare una strategia


Le ferie estive sono sempre un bel momento per riflettere. Rientrando in ufficio, sono andato a rileggermi uno scambio di mail che ho avuto con l'amica e collega Cristina Mariani, discussioni che hanno il costante pregio di darmi parecchi spunti e mai banali. La questione, semplificata, era questa: un potenziale cliente chiede di rifare i contenuti del sito, solo quelli, senza badare all'impostazione del portale stesso e al resto degli strumenti di comunicazione che l'azienda utilizza. Dato che, nonostante alcune obiezioni, non sente la necessità di un piano strategico e strutturato, non c'è il rischio di fare solo un'attività "cosmetica"e non sostanziale? Non è meglio dire al cliente che bisogna rivedere il tutto alla luce di un piano di comunicazione e, prima, di marketing ben strutturato?

La questione sembra semplice: certo che sì, si deve partire da un progetto ampio e completo per poi declinare la cosa in vari passaggi e step successivi. Chiaro, coerente e lineare. Invece io ci ho pensato su e le ho risposto diversamente, basandomi sulla mia esperienza sul campo. Se io, che lavoro da sempre nel business to business, rispondessi a un potenziale cliente che bisogna iniziare da un piano generale, farei un progetto su cento. Perché, detto in modo chiaro, le aziende che mi contattano non hanno la consapevolezza di averne bisogno, spesso perché nessuno glielo ha mai spiegato prima. Si ritorna sempre alla questione di una mancanza di cultura di comunicazione d'impresa in Italia, uno dei tanti problemi strutturali del nostro mondo aziendale.

Proprio per questo, parto da un approccio diverso: inizio da quello che c'è, dal piccolo progetto, dai testi delle pagine del sito. L'analisi dei contenuti esistenti di un'azienda mi permette di mettermi nei panni dei suoi clienti, per capire cosa l'azienda dice e cosa non dice. Da qui, posso fare un'analisi molto utile, delineando, di fatto, una strategia di comunicazione del tutto nuova, basata su dati concreti e, soprattutto, che il cliente può capire. Non si tratta di restyling (cosa che non ho mai fatto) ma di partire dal pratico per realizzare, in un secondo momento, una strategia. Una concezione opposta a quella individuata inizialmente ma, almeno per me, del tutto valida. Che parte da un assunto molto semplice.

I clienti delle aziende B2B non vogliono testi scritti in modo impeccabile, con grande stile ed estrema padronanza della lingua. Vogliono avere le informazioni che cercano, in modo rapido ed efficace. Tante volte gli imprenditori incaricano persone "che scrivono bene" (giornalisti, ad esempio) per rifare i loro testi: pur facendo loro un ottimo lavoro, la cosa non funziona. Perché? Non hanno dato le informazioni che realmente servivano ai clienti e questo fa tutta la differenza del mondo. Non basta essere bravi a scrivere per comunicare le cose giuste, serve avere in mente una strategia di comunicazione. Per tornare alla questione iniziale, il sito può essere un ottimo banco di prova per far capire al cliente, sul pratico, cosa va e cosa non va in modo valido e diretto. Tante volte l'imprenditore rimane a bocca aperta quando, al primo incontro, gli sottolineo le stesse critiche che vengono dai suoi clienti o dai suoi storici concorrenti.

Non si tratta di fare o meno un piano strategico, si tratta di decidere quando farlo. Non è detto che farlo subito sia l'idea migliore. Analizzare i testi può essere un ottimo punto di partenza per strutturare, in un secondo momento, una strategia a 360 gradi. Partendo dal sito e dal company profile, ad esempio, ho consigliato a varie aziende di modificare i colori dei loro prodotti (elemento importantissimo in certi settori del B2B, dove sono riconosciuti per colore più che per marchio), di realizzare un nuovo modo di interagire con le loro filiali e di coinvolgere più uffici e settori nel lancio dei prodotti. Tutte cose a cui si è arrivati col tempo, aprendo una piccola breccia all'inizio. Del resto "content isn't easy" dice Kristina Halvorson. E qui, Cristina è perfettamente d'accordo con me.

lunedì 1 agosto 2011

Blog in ferie

Oggi è il primo giorno d'Agosto e, con me, va in ferie anche il blog. Come sempre, saranno settimane dedicate alle riflessioni sul futuro, alla formazione (ho già tre libri da leggere "per lavoro") e alla ricerca di spunti interessanti per i post dei prossimi mesi. Ma soprattutto saranno giorni che dedicherò alla mia famiglia, al mio piccolo e al relax. Sicuramente è stato un 2011 intenso, ricco di lavoro e di soddisfazioni, di qualche sassolino tolto (macigni, più che altro) e di qualche altro pensiero in più (la commercialista mi ha augurato buone ferie dicendomi quando dovrò pagare di tasse).

Quello che è sicuro è che voglio trovare nuovi temi di cui parlare. Niente di meglio che guardare alla vita reale per trovare spunti interessanti (il post sul bar della spiaggia dell'anno scorso aveva avuto un ottimo successo). Per ora buone ferie a tutti, io vado a riposarmi qui. Quello di profilo è il mio piccolo. Buon Agosto a tutti!

lunedì 23 agosto 2010

I miei progetti, ossia quello che faccio

Mi sono letto "I 10 peccati capitali del marketing" di Philip Kotler. In ferie, nei momenti di calma tra i tuffi con mio figlio e una buona cenetta di pesce. Per la prima volta da tanto tempo, mi sono segnato alcune annotazioni alla fine del libro (cartaceo), per ricordarmele quando sarei tornato al lavoro. La prima che ho scritto era relativa al fatto che il mio blog, che mi rappresenta bene da molteplici punti di vista, non spiegava semplicemente quello che faccio tutti i giorni. L'ho fatto realizzando una presentazione in 8 slide, con i progetti che ho gestito. Non ho poche cose da dire, ma ho cercato di dirle con poche parole. Per far capire come posso aiutare un'azienda o un ente a conoscersi meglio, a capire cosa va e cosa non va, a realizzare progetti piccoli e grandi, ma sempre importanti. La si può leggere qui sotto e nella nuova sezione "Quello che faccio" del blog.

lunedì 15 marzo 2010

Uno sguardo sul lavoro, il mio

Su questo blog mancava qualcosa. Dico chi sono, come la penso, come la vedo ma non cosa faccio in termini concreti. Per questo ho deciso di inserire una nuova "finestrella": i miei progetti (giù a destra, sopra la foto!). Poca teoria (già si parla tantissimo di Web 2.0, rivoluzione "sociale", cultural divide ...) e molta pratica. Cosa propongo ai miei clienti, quali sono gli obiettivi e gli strumenti che intendo utilizzare. Ovviamente non c'è tutto ma c'è molto.

La cosa che mi sono sempre chiesto è perché, nel nostro lavoro, quando si approccia un cliente gli si parli di massimi sistemi, di teoria del marketing e altre belle cose ma quasi mai dei nostri casi di successo. Non mi sono dato una risposta. Forse perché bisogna chiedere alcune autorizzazioni? Bene, io lo faccio. Qui sotto c'è una breve presentazione che spiega come io sia riuscito a collaborare in modo attivo e proficuo con una grande azienda (2mila dipendenti) per realizzare il loro nuovo sito aziendale. Si poteva farlo meglio, più innovativo, più aperto ai social media? Certamente. Ma questa è la realtà. E come diceva Philip Dick, "la realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce".

Case history Gruppo Veritas