venerdì 30 luglio 2010

Buoni propositi per le ferie

E' tempo di ferie per me e pure per il blog (anche se prima bisogna inviare le fatture). Invece di fare il solito post sui buoni propositi per il futuro, ne faccio uno su quello che voglio fare nel presente, ossia nei prossimi giorni di ferie:
  • Stamparmi 100 copie (carta riciclata, ovviamente) della tesi numero 37 delle 91 di Gianluca Diegoli, così da essere pronto a Settembre quando potenziali clienti mi chiederanno se hanno fatto bene a bloccare l'accesso al web e ai social network in azienda. Eviterò così di dover tirare fuori ardite metafore e casi di insuccesso, ottimizzando efficacia e tempo.
  • Giocare con mio figlio. Oltre a divertirmi un sacco, questo gigante di 20 mesi mi insegna un sacco di cose. Come il fatto che guardare Pippi Calzelunghe o i treni a vapore su YouTube è molto più semplice perché ci sono quando vuoi, mica come la TV (dell'alta definizione, non gliene importa assolutamente nulla). Oppure che puoi tranquillamente insegnare ai nonni a videochiamarci con Skype, cosa prima ritenuta impossibile dal sottoscritto, se loro possono salutare il nipotino in diretta e lui può mostrare loro il nuovo camion. Oppure che usare i cellulari touch screen è molto più semplice, visto che lui gira le foto con le sue (splendide) manine.
  • Rilassarmi. Sono passati 11 mesi da quando ho lasciato (per scelta forzata causata da incapacità altrui) il mio posto da direttore di un'agenzia di comunicazione bolognese per fare il libero (non) professionista. Ho avuto un sacco di soddisfazioni ma navigare da soli tra leggi, circolari, ritenute d'acconto, agenzie delle entrate e INPS è cosa per gente ardita. Che ha bisogno del riposo del guerriero, appunto.
Magari posterò qualcosa, ogni tanto, tra oggi e il 22 Agosto. Sicuramente, ci si risente il 23.
Buone ferie.

mercoledì 28 luglio 2010

Il mondo delle PMI - La comunicazione interna al tempo dei Social Network


Tempo fa avevo riflettuto sul fatto che scegliere di chiudersi e bloccare gli accessi ad alcuni siti esterni perché "dimuniscono la produttività dei lavoratori" non era una buona soluzione per un'azienda. Perché blocca la creatività, disincentiva i dipendenti, etc. Riprendo ora la questione perché spesso si critica (io per primo) il fatto che un'azienda si chiuda a riccio ma, altrettanto spesso, si sottovaluta il fatto che neanche all'interno le cose vanno molto diversamente. Molte volte mi capita di avere a che fare con uffici simili a piccole città-stato: chiusi, indipendenti tra loro, privi di ogni volontà di condivisione del loro lavoro e delle attività che portano avanti. Siamo talmente attenti ai problemi della comunicazione esterna che sottovalutiamo quella interna (come dice anche Gianluigi). Un errore grossolano.

Recentemente, ho finito un progetto per un cliente importante. E' andato tutto per il meglio, ma ho riflettuto su alcune procedure. Per avere alcune informazioni del tutto inerenti all'attività della mia persona di riferimento in azienda, ho dovuto aspettare che qualcuno le facesse avere a lui, via mail o via fax. Per carità, non è stata un'attesa così lunga ma mi è sembrato strano che non ci fosse un luogo condiviso dove accedere alle informazioni. Un portale Intranet per la comunicazione interna avrebbe risolto tutto questo e molte altre esigenze. Non dico che tutte le aziende dovrebbero sviluppare una soluzione come myEni (a cui accedono oltre 31.000 dipendenti, in Italia e all'estero) ma spesso il problema non è nei costi o nel software, ma nella volontà. Ad alcune aziende i compartimenti stagni non dispiacciono, anche se hanno dimostrato il loro fallimento già dall'epoca del Titanic.

Finito il progetto, ho chiesto all'Amministratore Delegato della società se potevo mandargli un'idea per nulla legata a quello che avevo fatto. Lui ha accettato. Allora gli ho proposto di creare un portale Intranet semplice e "leggero" che dia la possibilità di raggiungere tre obiettivi prioritari:
  • Condivisione - Avere informazioni, immagini, file e documenti in un unico posto, da consultare semplicemente utilizzando il proprio PC e con diversi livelli di accessibilità (è inutile che tutti vedano tutto, è utile che tutti vedano molto).
  • Conoscenza - Comunicare a tutti i dipendenti le notizie legate all'azienda, superando la logica delle bacheche o della fotocopia in busta paga. Ci sono progetti innovativi, casi di successo, commesse importanti e successi commerciali conosciuti solo da chi ci ha lavorato. Paradossale, no? Trasmettere queste informazioni anche ai colleghi, superando i fogli e le chiacchiere alla Camera Cafè (come il video esprime benissimo), può migliorare l'immagine dell'azienda e stimolare altre idee.
  • Partecipazione - Evidenziare l'apertura dell'azienda nei confronti dei dipendenti, dando visibilità anche ad attività non direttamente collegate al lavoro (come eventi aziendali, concorsi fotografici, tornei sportivi, iniziative di solidarietà, etc.). In questo modo, si può rafforzare il legame con la società stessa e facilitare i rapporti tra tutte le persone che vi lavorano, dall'amministratore delegato allo stagista. 
Incrementare la produttività, ridurre i costi, facilitare i contatti con i collaboratori e ... ridurre il consumo di carta (sperando che i fax vengano aboliti per legge quanto prima). Ponendo le basi per creare un vero e proprio Social Network interno, verso un nuovo modo di gestire i rapporti con le persone che lavorano con me ("come portare la nuvola in azienda" dice Giacomo Mason). Altro che discorsi davanti al caffè. Cara azienda, ti sembra poco?

venerdì 23 luglio 2010

Le falle, le toppe e una lezione da imparare

La farò breve perché, come si dice, le immagini valgono più di mille parole. A un'azienda multinazionale che fattura oltre 245 miliardi di dollari (non milioni, miliardi) si rompe un'innovativa piattaforma petrolifera e, dopo innumerevoli tentativi (e un disastro ambientale), riesce a tappare una falla che fa fuoriuscire petrolio. Nel mentre, diffonde alcune immagini sul proprio sito e su Flickr, facendo vedere come sta gestendo la situazione di emergenza. E' un colosso con enormi risorse, ci mancherebbe che non agisse bene almeno a livello di relazioni pubbliche. E invece no. Dopo una gestione scostante dell'intera vicenda a livello di comunicazione, alcune immagini, alla fine, si rivelano modificate malamente con Photoshop. Ovviamente, viene scoperta (vedi qui e qui) e, alla fine, ammette tutto.

Quale lezione può imparare una qualsiasi azienda da questo fatto? Che il tuo pubblico, i tuoi stakeholder, che siano 100 o 10 milioni, non li inganni facilmente, specialmente sul Web. Neanche se sei una multinazionale con ingenti risorse a disposizione. Non serve mettere foto ritoccate di cui non hai bisogno (anche se fossero state vere, davano un così grande valore aggiunto?). Non serve dire quello che non fai. Serve invece mostrare chi sei, cosa fai e come lo fai, sempre con onestà intellettuale. E semplicità. Prendere un fotografo, fargli fare un centinaio di foto reali, con gente reale che lavora per trovare una soluzione reale, era così complicato? "A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire" spiega il rasoio di Occam. Mia nonna, invece, diceva in rigoroso dialetto veneziano che "l'è pezo el tacòn del buso" (è peggio la toppa del buco). Se qualche multinazionale volesse assumerla come consulente, posso mettere una buona parola.

(l'immagine pubblicata è presa dal sito www.giocattoliamo.it)

giovedì 22 luglio 2010

Elogio della giovinezza (in azienda)

"Essere giovani in Italia è uno svantaggio". Questa frase è venuta fuori durante un incontro che ho avuto con un'azienda veneta molto dinamica, efficiente e ... giovane. Sono parole che sarebbero state sorprendenti se pronunciate in uffici di aziende di molti paesi europei. In Italia, mica tanto. Ho vissuto numerose volte l'esperienza di essere guardato con un po' di sufficienza da responsabili aziendali solo perché avevo 35 anni. Come se uno in Italia non potesse avere 10 o più anni di esperienza nel settore a questa età. Come se si fosse poco più di ragazzini neolaureati. In numerose aziende estere, tanti 35enni hanno ruoli manageriali di alto livello. Non perché queste società amino il rischio più di noi ma perché, contrariamente a noi, investono sul proprio futuro. L'esempio delle nazionali di calcio di Spagna e Germania ai mondiali 2010 esce dalle linee di gioco dello sport. E' un esempio di cultura. 

Quella frase è stata detta mentre consigliavo all'azienda in questione di continuare a dare visibilità al proprio staff, di età compresa tra i 28 e i 40 anni, a livello di comunicazione. Le scelta di inserire numerose foto dei loro giovani professionisti nella loro documentazione aziendale offriva un impatto notevole, perché esprimeva visivamente la fiducia che la società ripone in loro. Una scelta, paradossalmente, quasi rivoluzionaria. Basta guardare brochure aziendali, siti Web, corporate magazine nostrani: gli under 40 sono più rari dei panda. Ma è una scelta sbagliata. Probabilmente perché in Italia c'è un "effetto bamboccione" e non si vuole rischiare di sminuire l'immagine aziendale. O perché in Italia è difficile che qualche 30enne arrivi a contare qualcosa in aziende dominate da imprenditori geniali ma rigorosamente over 60. Ma i tempi sono cambiati. Secondo Chris Anderson, direttore di Wired USA, stiamo attraversando la terza rivoluzione industriale. E questa rivoluzione ha bisogno di persone che hanno l'attitudine, le capacità e l'entusiasmo non solo per cavalcarla ma anche per capirla. Risorse che hanno meno di 40 anni. E che vogliono responsabilità, non fare gli stagisti. 

giovedì 15 luglio 2010

Il mondo delle PMI - Blog o Facebook? Prima c'è da guardarsi allo specchio

"Buongiorno, sono una piccola azienda. Leggo tutti i giorni notizie sul successo dei Social Network, sui milioni di utenti di Facebook e sull'opportunità di creare blog aziendali ma non comprendo come possa sfruttare queste opportunità per il mio specifico caso. Mi può aiutare?" Non è una richiesta vera, ovviamente. Ma sarei contento di ricevere una mail del genere. Perché è quello che dovrebbero iniziare a pensare davvero le PMI italiane. Questa riflessione è nata dopo aver letto una brillante discussione (su Friendfeedça va sans dire) sulla scelta di Ducati di chiudere il suo Desmoblog, uno dei primi blog aziendali in Italia che ha avuto un successo notevole tra i "ducatisti". E dopo aver apprezzato i contenuti dei post di altri due blog (kawakumi e Vinco's). Mi metto nei panni di un'azienda: dato che le "conversazioni" si spostano dai blog a Facebook, dovrei migrare là, seguendo il vecchio detto anglosassone fish where the fishes are? Riflettiamoci un attimo.

Tutti gli strumenti di comunicazione, e i cosiddetti "social" non fanno eccezione, hanno caratteristiche e finalità proprie. Facebook non è un blog evoluto, è qualcosa di completamente diverso. La matrice realizzata da Vinco's lo spiega in modo chiaro e veloce, così come la metafora blog-bottega artigiana e Facebook-Centro commerciale. Ogni strumento deve essere scelto dall'azienda in base a quello che vuol fare o dire, non in base a una decisione del momento basata su pochi dati ("Facebook ha 11 milioni di utenti in Italia, pensa quanti nuovi clienti possiamo raggiungere"). Cara piccola azienda in cerca di aiuto, prima devi capire cosa vuoi comunicare ai tuoi clienti/utenti e poi scegliere gli strumenti più adatti. Questi sono assolutamente complementari tra loro. I 400 milioni di utenti di Facebook sono un dato "mediatico" che pesa ma è un'informazione poco rilevante per te. Un esempio? Eccoti il mio. Mando 500 mail a una lista di aziende potenzialmente interessate alla mia consulenza, con dati, analisi e spiegazioni. Risultato? Zero incontri, ad oggi (0% di redemption). Poi invio 10 mail ad aziende che nei loro blog avevano parlato di Web marketing, che partecipavano a qualche evento specifico, chiedendo solo di vedersi e parlarsi. Risultato? 3 incontri fissati (33% di redemption).

Cara piccola azienda, non posso rispondere alla tua domanda, non ho soluzioni magiche soprattutto perché non ti conosco (il fatto che tu non esista realmente non è così rilevante). Ma ti posso dare un consiglio su come affrontare la questione in 4 semplici passaggi:
  • Capisci quello che sta accadendo - Invita uno o più esperti di social media, cerca di capire bene cosa sono questi nuovi strumenti, come funzionano e quali vantaggi/svantaggi possono avere. Una soluzione "formativa" che, con costi bassi, amplia il tuo know how aziendale. Ricorda che il futuro della comunicazione aziendale sta lì. E anche il business.
  • Realizza un piano di comunicazione - Ora che sai cosa sono i Social media, devi capire come integrarli nella struttura di comunicazione della tua società (e se non ce l'hai, è il momento di pensare a crearla). Servono obiettivi, budget, un team dedicato (può anche essere una persona) e delle linee guida da seguire per gestire la comunicazione, dall'ufficio stampa al Web, dalla comunicazione interna alla pubblicità. Alcuni strumenti ti servono, altri no. 
  • Condividi il piano al tuo interno -  Una volta che sai coma va là fuori e sai cosa fare, parlane al tuo interno. Valuta consigli e idee, dandoti un limite temporale stretto. Fai un paio di brainstorming per capire se ci sono altri ambiti da esplorare. L'ultimo degli stagisti può avere l'idea che altri non hanno avuto. Restando in tema, Mark Zuckerberg ha "inventato" Facebook a 20 anni, non lo dimentichiamo.
  • Parti! - Ora che hai tutte le informazioni che ti servono, procedi senza indugio. Magari hai deciso di non fare assolutamente nulla sui Social Media e di continuare a comunicare con gli strumenti tradizionali. Ma è una tua scelta, ponderata e condivisa, non una decisione generata dall'emotività del momento. Non mi pare poco.
Cara piccola azienda, spero di esserti stato utile. Solo un ultimo consiglio: lascia stare i 400 milioni di utenti di Facebook e concentrati, da ora, sui tuoi clienti attuali. Ascoltali. Comprendili. Parlaci. Ti daranno un sacco di consigli molto più utili dei miei.

venerdì 9 luglio 2010

Comunicatori si nasce o si diventa?

"Venditori di fumo". Spesso i comunicatori sono visti così, persone che si inventano competenze avendo tutt'altra formazione e parlano alle aziende in modo complesso anche per nascondere mancanze formative (vedi questo post). E' vero, i casi reali non mancano. Con un trascurabile particolare: sono una minoranza. Per gente della mia generazione (e sono under 40, "un ragazzino" secondo i parametri professionali italiani), non c'erano istituti o corsi di laurea in comunicazione e marketing. Per questo, la formazione è arrivata dopo, quando si è scoperto di avere una sana passione per questo settore. A livello formativo, molti "colleghi" che conosco sul Web, ai Camp, al bar o nei musei hanno speso tante ore per trasformarsi davvero in comunicatori di professione. Molte di più di tanti altri laureati che, con la carta in mano e la passione per tutt'altro, scelgono di seguire aprioristicamente la corrente professionale che hanno scelto a 19 anni. Lamentandosene cronicamente per gli anni successivi.

Può un perito chimico diventare un comunicatore di professione? Certamente, grazie a Dio. E con tutti gli skill professionali a posto. Ci vuole solo una grande passione, idee chiare e una buona dose di spirito di sacrificio. Un esempio? Cristina Savi. Ci siamo conosciuti attraverso i rispettivi blog (questo è il suo), ci siamo sentiti via Skype e ne è nata una chiacchierata spontanea e molto interessante. Perché lei è un perfetto caso di successo "formativo". Cristina fa l'istituto tecnico, ne esce perito chimico, ma non è molto soddisfatta del settore. Capita. Inizia a lavorare nei servizi turistici quando vede un'inserzione su un quotidiano: l'Università di Modena e Reggio Emilia organizza corsi FAD (Formazione A Distanza) in marketing e comunicazione d'impresa. Una laurea online in Italia?! Scatta la molla, si iscrive (lei è di Verbania, informazione non trascurabile) e per 3 anni segue questa modalità di formazione. Non c'è una semplice webcam che regista il professore in aula e lo fa vedere in streaming. I docenti organizzano vere e proprie lezioni ad hoc, interattive e coinvolgenti. Solo per gli esami bisogna andare fisicamente in sede. Cristina esce con una laurea e un entusiasmo straboccante per questo settore. E ora cosa si fa?

Cristina decide di non sfruttare gli stage previsti post-laurea (quasi tutti in Emilia Romagna) e inizia a lavorare in un'agenzia di comunicazione più vicina a casa. Poi cambia nuovamente, questa strada non fa per lei, e decide di lavorare da sola, come libera professionista e consulente. Si ferma qui? Certamente no. Vede che Verbania non ha fonti di informazione che sfruttano le potenzialità del Web. E ha un'idea. Nasce Verbania News, quotidiano online del tutto gratuito, dove lei fa l'editore e il marito (giornalista) il direttore. Piccoli particolari: gli articoli sono tutti commentabili dagli utenti, i cittadini sono invitati a generare contenuti, il quotidiano ha una fan page su Facebook e si finanzia con la pubblicità e i contributi di "lettori-sostenitori" (qui un bel post sul giornalismo iperlocale). Riassumendo: perito chimico, laureata in marketing e comunicazione, con esperienza in azienda e come libera professionista, editrice di un quotidiano e blogger. Abbiamo una certezza in più: i "venditori di fumo" sono altrove. 

lunedì 5 luglio 2010

Venezia, il Camp e io*

Venerdì ho partecipato al Veneziacamp 2010. Tanta gente? Non molta. caldo epocale? Sì, molto. Un mezzo flop? Assolutamente no. Ha rappresentato l'ennesima conferma che i camp funzionano, almeno per quello che cerco io. Ho conosciuto molta gente diversa che opera in mondi diversi per motivi diversi, tutti uniti dall'entusiasmo per le potenzialità offerte dal presente e dal futuro "digitale". Al di là degli incontri e delle opinioni espresse, è appunto il ricordo di quest'atmosfera di passione che mi rimane ogni volta che torno a casa. Relatori che parlano col pubblico, dibattiti che si creano, spontanei e utilissimi. Si può discutere con gente appassionata di quello che dice, senza secondi fini o esibizionismi spiccioli. Non so a voi, ma a me capita raramente.

Ho avuto la possibilità di scambiare opinioni con esperti del mondo telco, con preti attivi sui Social Network, con piccoli imprenditori, con politici, con esperti di tematiche ambientali, con docenti di scuole superiori (un nome su tutti, Catepol), con blogger e con tante altre persone di cui so solo il nome. Ma con cui mi sentirò su Facebook, su Friendfeed, via mail o attraverso i rispettivi blog. Tante esperienze diverse che ti fanno capire che in questa società depressa da una crisi economica epocale (no, ragazzi, non ne siamo ancora fuori) c'è ancora entusiasmo, passione, voglia di condividere e di conoscere cose nuove. Senti che ci sono buone idee in giro, magari qualcuna sarà più fortunata e qualche altra lo sarà meno, ma ci sono. E' la fase "pratica" che trasforma l'idea in un progetto concreto ad essere il problema. Perché ci vuole qualcuno che creda nell'innovazione, nella comunicazione, nel Web per portare l'entusiasmo nel mondo reale. Un esempio per chiarire la questione: in uno di questi incontri, il relatore ha fatto una domanda diretta e specifica al pubblico: "C'è qualche politico presente?" Sono seguiti 10 secondi di silenzio. O non c'erano o si vergognavano di dirlo in pubblico. In entrambi i casi, una parte grossa del problema sta proprio qui.

* Un piccolo omaggio a uno splendido film