mercoledì 22 gennaio 2014

La notizia della morte di Facebook è fortemente esagerata


Da tempo leggiamo che Facebook non è più the place to be, il nuovo che avanza, il posto dove tutti sono e parlano in continuazione. Vediamo molto spesso dei de profundis che segnalano una morte lenta ma costante del social network per eccellenza, causata da molteplici fattori coincidenti: nascita di altri posti sociali più cool, arrivo dei genitori a rovinare le chiacchierate degli adolescenti, teorie socio-macro-economiche di vario tipo, un'epidemia da curare, etc. Certo, è evidente, nessuna cosa di questo mondo può crescere all'infinito (pensate che per la prima volta calano le vendite in Italia anche della Ferrero e della sua Nutella, notizia che avrà un suo post dedicato appena trovo qualche numero in più da analizzare) ma dire che "Facebook è morto", come tutte le frasi analoghe con qualsiasi soggetto che non riguardi cose prima realmente vive, va bene solo per un articolo o un post di un blog per voglia raccattare qualche visitatore in più.

Leggete questo ottimo pezzo di Rivista Studio e vi fate un quadro molto preciso. Calano gli active users? Zuckerberg e soci si portano a casa "oltre 2 miliardi di dollari, con un guadagno di 25 cent per azione a fronte di stime più basse". Non male per un morto. E la chiamerei maturità. Chiaro, Facebook sta cercando nuovi modelli di crescita di altro tipo, in primis legati al mobile: non ho mai fatto particolarmente il tifo per quelli di Menlo Park, anzi, ma i numeri sono lì. Un particolare: guardate la foto del Presidente Obama pubblicata sull'articolo citato su e notate da chi è attorniato. Tutti trentenni o giù di lì (vedi anche qui). Poi si capisce perché gli Zuckerberg (ma a sua volta anche i Bill Gates di anni fa) crescano lì e molto, molto più che da noi. Si chiama fiducia nella generazione successiva. E quella è davvero moribonda in Italia.

A proposito di cose che apparentemente muoiono, chiudo con un addio al Giornalaio, uno dei miei blog di riferimento. Solo che non se ne va, si evolve in qualcosa di nuovo, ossia DataMediaHub, progetto davvero interessante a cui va il mio personale in bocca al lupo. "Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto" diceva uno che di morte, e resurrezione, se ne intendeva parecchio. Forse è meglio rifletterci su prima di lasciarsi andare a titoli facili, no? Io ho parafrasato Mark Twain, mi considero a posto.

Aggiornamento del 24 gennaio: a quanto pare, neanche chi lavora in Facebook è, al momento, così moribondo. La replica alla ricerca di Princeton è semplice e brillante (e leggete il paragone con l'aria, illuminante). Diffidare sempre delle previsioni sul futuro fatte su quanto accaduto in passato.

mercoledì 15 gennaio 2014

Redazioni "aperte": è La Stampa, bellezza


Quasi due anni fa scrivevo che i due quotidiani italiani sui quali scommettevo a livello di intraprendenza verso il futuro del mondo del giornalismo erano La Stampa e Il Sole 24 Ore. Del quotidiano piemontese mi aveva molto colpito l'editoriale del direttore che parlava di tre figure nuove per il suo giornale e non solo: Digital Editor (Marco Bardazzi), Web Editor (Dario Corradino) e Social Media Editor (Anna Masera). "Un giornale è un corpo vivo, che deve sapersi sempre adattare all’ambiente in cui si muove" si scriveva testualmente. Poteva sembrare un annuncio fatto sull'entusiasmo del momento, per cogliere al volo le nuove mode legate a Social Media e redazioni liquide per rendersi protagonisti, con obiettivi di breve periodo. Poteva sembrare.

A due anni di distanza, quell'annuncio è stato seguito da tante iniziative e una recentissima conferma della voglia di adattarsi al mondo che cambia. Nel momento in cui Anna Masera ha deciso di cogliere un'occasione importante (temporanea e non priva di rischi, dato che mettere insieme giornalismo, comunicazione e politica è difficile a livello di credibilità), il giornale ha preso una decisione nuova, fuori dagli schemi: ha nominato come Social Media Editor un non giornalista, Pier Luca Santoro (@pedroelrey su Twitter). Un grande professionista, competente ed esperto, oltre che un amico, ma di fatto privo di tesserino (come ha notato per primo Carlo Felice Dalla Pasqua, altro amico e, lui sì, giornalista). Particolare per nulla trascurabile, se si conosce un attimo il conservatorismo del mondo del giornalismo italiano (io sono giornalista iscritto all'Albo, sottolineo).

Non ci si ferma qui. I responsabili del quotidiano hanno deciso che Pier Luca sarà solo il primo esperto a essere coinvolto, ne sceglieranno uno ogni due mesi per portare idee, progetti, entusiasmo e competenze all'interno della redazione fino al ritorno di Anna Masera. Un passo importante, nuovo, da evidenziare. Che porterà giornalisti ed esperti della rete a conoscersi meglio, reciprocamente. Una prova? Leggete qui sotto. Mica facile il compito del Social Media Editor.

(Photo credits: www.notcot.com)

martedì 7 gennaio 2014

I 120 cani coreani: un caso di fact checking ben poco accurato

Facciamo un esempio facile dell'importanza del fact checking, oggi. Qualche giorno fa i media hanno avuto la possibilità di pubblicare una news strana, drammatica, cruda, che univa cronaca nera a relazioni internazionali, potenzialmente capace di generare molta visibilità. Non è parso loro vero: sparata subito online, spesso in prima pagina. Ma c'era un piccolo, trascurabile problema: la notizia era stata lanciata da una fonte poco affidabile, molto poco affidabile, e per nulla verificata. E lo sapevano tutti, compresi noi normali frequentatori di Twitter (vedi sotto).

Lo scetticismo è forte, fortissimo, ma nei media tradizionali, anche quelli molto autorevoli, lo si dice quasi sottovoce, la si butta sul solito "giallo" giornalistico (termine che, in questo specifico caso, pare quasi umorismo grottesco di bassa lega). Se le cercate oggi le notizie sono ancora lì. Invece è una bufala al 99%: pare che tutto sia nato da un famoso "battutaro da social media" cinese (sic), almeno così dice il Guardian. Ma a parte questo, il punto fondamentale viene sottolineato benissimo dal Washington Post, ci sono cinque grossi errori da parte dei giornalisti occidentali:

  1. La verifica delle fonti: il giornale di Hong Kong che per primo ha lanciato la notizia è 19esimo (su 21) nel ranking di credibilità dei soli giornali della città. 
  2. La verifica della copertura stampa in Cina: nessun altro media cinese ha rilanciato la notizia. Ok, sono alleati coi nordcoreani, si potrebbe dire ma la cosa appare strana lo stesso.
  3. La verifica della copertura stampa in Corea del Sud: la notizia non è stata ripresa dai media sudcoreani, che teoricamente avevano tutto l'interesse a sottolineare la crudeltà del regime del Nord. Invece ha prevalso un pragmatismo sulla verifica della notizia che, a quanto si dice, non è poi così usuale a Seul. Una lezione per tutti i media occidentali.
  4. La verifica dei tempi: la storia non è nuovissima, ha continuato a girare per giorni senza alcuna conferma, Qualche dubbio doveva nascere in menti obiettive.
  5. Le modalità: per quanto la Corea del Nord sia un paese del tutto particolare, hanno protocolli militari e penali molto rigidi. Se le principali agenzie sudcoreane dicevano "esecuzione per fucilazione", perché preferire i cani citati da un media di Hong Kong di bassissima credibilità?
Ho detto che è una bufala al 99%. Perché non al 100%? Perché a noi occidentali piace pensare alla Corea del Nord come a un paese strano, fuori dal mondo, dove può accadere qualunque cosa. Io non faccio eccezione. In più, non ci sono fatti che smentiscano in modo inoppugnabile la notiziaRimane però il 99 a 1: se doveste scommettere su vero e falso, cosa fareste? E poi è davvero così importante sapere se è stato fucilato o sbranato da 120 cani? E poi arriva Dennis Rodman...