mercoledì 23 maggio 2012

Pausa post terremoto


L'esperienza di un terremoto non si può spiegare. Posso solo dire quanto mi siano stati utili i Social Media per capire cosa stava succedendo: ho visto le foto fatte da tante persone normali (tra cui quelle di Gianluca Diegoli da San Felice sul Panaro), ho potuto tranquillizzare in diretta tante persone che conosco, ho potuto ricevere in tempo reale offerte di aiuto e di alloggio. Tutto questo mentre i TG non trattavano neanche la notizia. Tutto questo mentre un pezzo del Duomo di Mirandola (vedete la foto sopra, Twittata domenica mattina) mi cadeva a 30 metri dalla macchina dove stavo.

Questo blog per questa settimana non parlerà di altro, ho una famiglia a cui tenere dietro e una casa da verificare. Appena possibile, tornerò a scrivere come e più di prima di marketing, comunicazione e tante altre belle cose. Per ora mi prendo una piccola pausa. La mia pausa caffé la vedete sotto (sede agibile, tranquilli).

giovedì 17 maggio 2012

Lezioni di Volunia, seconda e ultima parte

O si decolla o si affonda. Qualche tempo fa avevo scritto un post sul progetto Volunia, sottolineando gli aspetti negativi e quelli positivi di questa iniziativa tutta italiana, anzi padovana. La Rete aveva massacrato quel progetto, con tante ragioni e, a mio parere, qualche torto. La cosa che mi aveva più infastidito erano stati quei giudizi sommari, insindacabili, definitivi sul fallimento certo di quella idea. Il tempo però aveva dato ragione a coloro i quali quei giudizi li avevano espressi. Dai creatori di Volunia nessuna difesa, nessuna spiegazione, nessun chiarimento, solo un lunghissimo e inspiegabile silenzio. Perché? Ritengo che, a livello di comunicazione, fossero stati mal consigliati prima (presentazione in pompa magna e con aspettative troppo grosse per un progetto rivelatosi in divenire) e siano stati mal consigliati poi. Però, ripeto, si tratta di gravi errori di comunicazione non legati direttamente alla bontà del progetto Volunia. Nel frattempo, sono diventato Power User e Volunia l'ho provato. Un'altra grossa delusione.

Leggo oggi un post di Luca De Biase, che su quel progetto aveva speso molte parole, che dice che hanno imparato la lezione. Le pesanti critiche sono state prese in modo costruttivo e lo affermano direttamente dal loro neonato blog. Qualcosa si muove, forse. Sostengono che stanno facendo molte nuove cose sia a livello di motore di ricerca che di veste grafica e contenuti. Sinceramente, lo spero. Il problema è che siete in ritardo e non avrete un'altra occasione. Questa volta, come dicono gli americani, è "do or die". E non perché Volunia non sia una bella idea ma perché ora deve dimostrare di essere gestita in modo adeguato. I progetti hanno bisogno di organizzazione, di tempistiche, di obiettivi e di responsabilità ben definite. Io, come molti altri, ho deciso di continuare a fare il tifo per Volunia, nonostante tutto, soprattutto perché è un progetto italiano. Ma non avremo più la pazienza di aspettare. Siamo stufi di vedere casi come quelli di I'm watch, vogliamo vedere casi come quelli di Glancee. Purtroppo vie di mezzo non ce ne sono: o si decolla o si affonda.


venerdì 11 maggio 2012

Il consiglio dal cilindro


Riflessione mattutina che diventa un breve post, da approfondire con più calma uno dei prossimi giorni (e se qualcuno vuol dire la sua, è benvenuto). Sono tre giorni che sento clienti che hanno deciso di comprare un nostro software che si occupa della gestione di eventi particolari come le assemblee soci. Fin qui, nulla di strano. Quello che mi ha sorpreso è che l'80% del tempo non lo passiamo a parlare delle funzionalità del prodotto, dei vantaggi che offre, delle sue prestazioni, bensì discutiamo sulle modalità organizzative e di gestione dell'evento. Noi non siamo consulenti, progettiamo e vendiamo soluzioni IT. Siamo tecnici eppure ci chiedono continuamente consulenza: vogliono avere più la nostra esperienza che le nostre competenze.

Io arrivo da 11 anni di consulenza sugli eventi e, per questo, non sono rimasto affatto spiazzato. I miei colleghi invece sì. Lavorano ore per rendere quel software veloce, affidabile e intuitivo, ci rimangono un po' così quando gli chiedono un parere sul fatto di mettere o meno una persona all'ingresso per controllare l'afflusso. Ci ho riflettuto su. In questi tempi incerti, le imprese non vogliono conoscere prestazioni ma ottenere rassicurazioni. Più che un esperto di cartografia e GPS vogliono avere accanto un vecchio lupo di mare che ha visto decine di mari agitati. Ovviamente, la competenza non esclude l'esperienza. Ma è un po' come se andassimo da un nuovo panettiere e passassimo l'80% del tempo a chiedergli come preparare club sandwich più creativi. Ci dovremmo attendere uno sguardo perplesso.

Si può dire che certamente questa non è una novità, da sempre i clienti cercano l'esperienza. Ma in questi tempi incerti, le aziende devono essere più consulenziali che commerciali, devono privilegiare il consiglio giusto piuttosto che la vendita fine a sé stessa. Meglio un white paper che insegni come gestire un'attività piuttosto che una brochure che dica come funzioni il prodotto: può essere questo un vero vantaggio competitivo? Mailchimp lo fa da tempo, spiegando l'email marketing con il loro servizio solo sullo sfondo. Se fosse così, un libro comprato gratis per il Kindle potrebbe avermi dato una buona idea. Non male come rapporto tra costi e benefici.

L'informatica non riguarda i computer più di quanto l'astronomia riguardi i telescopi. (Edsger Dijkstra)

(Photo Credits: http://www.artlebedev.com/everything/cylindrus/)

martedì 8 maggio 2012

Fact Checking, un'arte difficile

Il fact checking può essere fatto dagli utenti? Questa domanda me la sono posta guardando il nuovo progetto della Fondazione Ahref (e supportato da Luca De Biase): chiunque può pubblicare una notizia e farla "votare" dalle altre persone come più o meno affidabile. L'idea è sicuramente interessante, soprattutto perché porta a riflettere su questo tema, di cui mi sono occupato molto ultimamente (qui c'è la presentazione fatta al VeneziaCamp sull'argomento). La mia grande perplessità sta nell'affidabilità e nell'efficacia che gli utenti stessi possono raggiungere. Come ho detto più volte, si tratta di un'arte difficile, che necessita di tempo, rigore metodologico e controllo incrociato. E, soprattutto, di professionalità specifica.

In Rete trovare una conferma a qualsiasi tesi, anche le più deliranti, è piuttosto semplice, basta cercare quello che si vuole trovare. Il difficile è essere obiettivi, andare oltre le proprie opinioni (il cherry picking è sempre in agguato), analizzare tutti i fatti e incrociarli. Per questo ritengo che questo compito possa essere fatto solo da persone preparate e specializzate, non da tutti. Un esempio: in un caso che ho vissuto direttamente, sarebbe stato facile prendere posizione in favore del Daily Telegraph contro Costa Crociere. Infatti, il dibattito che si è scatenato in rete era quasi totalmente contrario alla posizione della società italiana. Ripeto, analizzare i fatti in modo oggettivo e rigoroso non è facile se non hai delle basi, dell'esperienza e delle metodologie sulle quali basarti.

Per questo sostengo da sempre che i giornalisti possono, e devono, trovare proprio nel fact checking uno dei modi per ristabilire la propria credibilità e autorevolezza. Una prestigiosa e indiretta conferma arriva proprio oggi e ancora con protagonista il recidivo Daily Telegraph: il sito della testata inglese sostiene che Valentino Rossi si ritirerà a fine stagione. Notizia smentita dal fuoriclasse di Tavullia su Twitter (vedi sotto). Giustamente, i fan stanno massacrando il giornalista nei commenti, perché non c'è alcuna rettifica alla notizia a tre ore dalla smentita. Se testate di grande prestigio hanno questi problemi a controllare i fatti, dubito che possano farlo efficacemente gli utenti. In ogni caso, il progetto della Fondazione Ahref è da seguire: più si parla di fact checking e meglio è.

  

lunedì 7 maggio 2012

Comunicando con le stelle

Si parla tanto in questi giorni della terza stella che la Juventus vorrebbe mettersi sulle maglie, a significare la vittoria di 30 scudetti anche se, come sappiamo, i titoli ufficiali sono 28. Non è il posto giusto per essere tifosi e infatti non lo sarò, mi preme invece sottolineare un aspetto: fu una semplice ma efficace idea di marketing. Nel 1958 la Juve vinse il decimo scudetto e Umberto Agnelli ebbe l'idea di indicare con una stella questo risultato sportivo. Da allora, la consuetudine prese piede perché fu ritenuta una bella iniziativa ma, è opportuno precisarlo, questo utilizzo non è previsto esplicitamente da alcuna norma di Federazione e Lega in Italia (in Germania è diverso).

Le stelle ora sono presenti sulle maglie di squadre di club e nazionali (in relazione ai Mondiali vinti) di molti Paesi, a sottolineare in modo semplice e chiaro il palmares della squadra. Si tratta di un segno distintivo, non ufficiale, della storia e delle vittorie del club. Le società non sono tenute a seguire questa consuetudine (il Manchester City ha tre stelle sullo stemma ma per tutt'altre motivazioni) ma l'idea di far sentire in modo diretto il peso dei risultati ottenuti è molto efficace. Pensiamo ad altre tipologie di aziende, in altri ambiti, e questo esempio sportivo potrebbe essere utile per avere idee analoghe per promuovere il brand. Una stella per ogni decennio di attività? Un simbolo per elencare il numero di continenti nei quali si vendono i propri prodotti? Gli ambiti di applicazione potrebbero essere tantissimi.

Un logo "in fieri" l'abbiamo visto spesso ma quasi esclusivamente per segnalare i 20, 50 o 100 anni di attività. Nessun cenno ai risultati raggiunti. Perché no? Potrebbe essere un modo nuovo per differenziare i marchi italiani da quelli di altri Paesi. Pensiamo alle imprese tedesche attive nel settore automobili: quasi tutte si sono inventate un claim in tedesco, per sottolineare in modo chiaro e diretto la loro provenienza, ossia una terra percepita come il regno di efficienza, organizzazione, produttività. Il nostro marchio "made in Italy" è bello ma un po' logoro (ed è sovrastato dall'Italian Sounding), ci potremmo inventare qualcosa di diverso per fare gioco di squadra. Che siano stelle o altre idee, l'importante è far capire chi siamo e cosa abbiamo ottenuto. "Mi domando se le stelle siano illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua" disse Antoine de Saint-Exupéry. Iniziamo a cercarle, intanto.

giovedì 3 maggio 2012

Il marketing delle porte aperte

doorway01

Ho appena finito "All employees are marketers" di Richard Parkes Cordock (lo potete leggere online qui), breve manuale che spiega in modo chiaro che il marketing non lo fa solo il reparto omonimo o quello delle vendite ma l'impresa nel suo complesso. La centralinista che risponde al telefono, la segretaria che prende un appuntamento, il tecnico che progetta un particolare del prodotto, il responsabile degli acquisti che sceglie i componenti, sono tutte persone coinvolte direttamente nella promozione di ogni soluzione. Io ho sempre avuto questa impostazione: per quanto sia bravo l'uomo del marketing o quello delle vendite, conta sempre e solo il prodotto. Che è fatto di componenti tangibili e intangibili. Tra i secondi, c'è il coinvolgimento e la passione di coloro che hanno contribuito a progettare e realizzare quello che si vende.

Spesso e volentieri, l'ufficio marketing di una PMI italiana, quando c'è, non tiene conto di questo fattore. La comunicazione con gli altri colleghi è frammentaria, incostante, spesso più forzata che volontaria. La si percepisce quasi come una perdita di tempo, quando invece l'esperienza, le competenze e la passione delle persone con cui si lavora potrebbero essere formidabili strumenti di promozione. Ecco qualche consiglio sparso (niente elenchi, per carità) per chi lavora nel marketing, che sto cercando di mettere in pratica nella mia azienda:
  • Lasciate le porte aperte: incentivate i confronti con i colleghi, i momenti di discussione, anche le possibili prese il giro per un refuso sul sito. Vi aiuteranno a capire molto di più del vostro lavoro rispetto a qualsiasi libro, Powerpoint o post (compreso questo).
  • Informate tutti su cosa state facendo: oltre a dire "al mercato" e "al target" un sacco di belle cose, ritagliatevi del tempo per fare una sana e utile comunicazione interna, informando i colleghi su quello che fate o che state per fare. Basta una mail ogni tanto e, per favore, niente discorsi "markettari" (lo so, è difficile ma è un esercizio molto utile).
  • Impegnatevi a farvi coinvolgere: se fanno una riunione sulle nuove funzionalità del nuovo software, non dite "sono troppo impegnato con la brochure" a priori, chiedete di essere coinvolti. La prima volta ne capirete il 10%, la seconda il 20% e la terza un po' di più (esperienza personale). Non capirete mai tutto, ma neanche il 50%, semplicemente perché non è il vostro mestiere. Tuttavia avrete un sacco di idee in più su come parlare davvero a chi quei software li sta cercando, cose che non trovate su Internet.
  • Create spazi di relazione costanti: proponete caffè, riunioni, pranzi o partite di calcetto, parlare coi vostri colleghi è importante e, soprattutto, non potete farne a meno se volete fare un buon lavoro. Scegliete voi il campo da gioco, vi stupirete di quanto il collega introverso e schivo non aspettasse che di scendere in campo. In più, quella persona perderà 10 minuti per spiegarvi quella caratteristica tecnica che voi non capite e, cosa ancora più importante, lo farà volentieri.
Ricordiamoci sempre che la voce delle imprese è quella delle persone che ci lavorano dentro. Il (buon) marketing serve solo a dare ordine al coro.