giovedì 30 settembre 2010

Lezioni toscane

In un post di qualche giorno fa dicevo che lavorare bene paga. E lo fa in molti modi diversi. Ieri avevo una riunione in Toscana per incontrare i responsabili di un'azienda. La sede di un mio ex cliente (di quando lavoravo in agenzia) era a pochi chilometri. Dato che mi ero trovato benissimo con loro, li ho chiamati per bere un caffè insieme. Ero stato il loro account per cinque anni e li avevo supportati nella gestione dei rapporti con la stampa (compresa quella di settore, dove abbiamo ottenuto risultati significativi per un produttore di macchine edili), nella creazione del magazine aziendale, nell'organizzazione di eventi (per i media e non) in Italia e all'estero e di tante altre iniziative (compreso qualche parere e qualche foto per il loro sito Internet). Mi hanno sempre fatto sentire parte dell'azienda, uno di loro. Andare in riunione con loro era sempre piacevole, nonostante i piccoli e grandi problemi da affrontare. Non capita spesso. Insomma, volevo andare là per un caffè, per parlare 5 minuti dei vecchi tempi con il mio referente diretto e con il responsabile marketing. Poi volevo mangiare qualcosa e filare dalla nuova azienda, avendo quasi due ore di margine.

Il risultato è stato questo: ho incontrato quasi tutte le persone con cui avevo collaborato, ho bevuto due caffè (rifiutandone altri due per non andare in overdose da caffeina), sono stato invitato a pranzo dal Presidente della società (fatturato superiore a 200 milioni di Euro e oltre 500 dipendenti, è opportuno sottolinearlo), da sua figlia (presente nel direttivo del Gruppo) e dal responsabile marketing. Si è mangiato insieme, in totale serenità, parlando di crisi economica e di figli, di cani e di trippa, di futuro e di opportunità. Era un anno e mezzo che non li sentivo e non lavoriamo più insieme, eppure non ho sentito alcun cambiamento a livello di rapporto personale. Parliamo del Presidente: un uomo di oltre 70 anni (anche se lui non vuole che si dica) che è un "caso di successo" vivente, che ha creato un Gruppo internazionale dal nulla, che ha il rarissimo talento di capire come andrà il mercato. Che mi ha invitato, con il solito sorriso e due occhi diretti e sinceri, a mangiare con loro al self service sotto l'azienda. Non è un caso che in azienda si lavori bene se colui che la guida è fatto così. Una lezione per qualsiasi imprenditore o manager di un'azienda italiana.

Come dicevo all'inizio, lavorare bene paga. Anche in termini di soddisfazione personale e professionale. Io sono rientrato in ufficio oggi con un entusiasmo notevole. E questo post ne è la prova. Se volete conoscerli, li trovate a Poggibonsi (Siena), l'azienda si chiama IMER Group. Ne vale la pena.

lunedì 27 settembre 2010

Cos'è il Green Marketing? Una grande opportunità

Cos'è il Green Marketing? Un interessante spunto di discussione è venuto fuori da un amico e un ottimo blogger, Daniele Vinci: perché si parla poco del Green Marketing? Ho espresso la mia opinione: è ancora un ambito di cui si parla tanto ma si fa poco. Molti dicono che possa essere un'arma vincente perché le persone sono disposte a spendere un po' di più per comprare prodotti di aziende ecosostenibili (qui c'è un altro post interessante sul tema). Posso essere d'accordo. Un esempio interessante, e spesso citato, parlando di Green Marketing ci viene da Eni, con il suo portale e i suoi 24 consigli per risparmiare il 30% dei consumi energetici di una famiglia. Va bene, ma stiamo parlando di un'azienda che fattura oltre 108 miliardi (miliardi, non milioni) di Euro all'anno (nel 2009). E tutto il restante 99,9% di aziende italiane che le stanno sotto cosa fanno nel Green Marketing?

Innanzitutto, partiamo da Wikipedia, che definisce il Green Marketing come il "marketing of products that are presumed to be environmentally safe" (prodotti che si presume siano sicuri per l'ambiente). Il punto però non è il "si presume", che meriterebbe un post a parte. Il cuore del discorso è che la gamma di prodotti inclusi in questa definizione è enorme. Mette insieme cibi biologici e pannelli solari, pale eoliche e lampadine a basso consumo, raccolta differenziata e automobili, biogas e lattine di Coca Cola (col sito livepositively). Molte, troppe cose. In più, le attività portate avanti dalla aziende "green" spesso si risolvono in belle dichiarazioni di intenti, in cui le aziende ci dicono cosa faranno nel prossimo futuro ma non cosa stanno facendo oggi. Questo interesserebbe davvero alle persone ma, visto che sentono molte parole e pochi fatti (o, peggio, fatti che non capiscono), sono sempre più scettiche sul tema. Paradossale, no?

Bisognerebbe restare maggiormente sul pezzo, sul tema, sul "green". Un esempio. Quante aziende attive in Italia nel settore delle biomasse conoscete? In Italia, si stima che il quantitativo annuo di questo tipo di materiali residuali si attesti oltre i 25 milioni di tonnellate all'anno. Significa avere a disposizione una "ricchezza energetica" pari a 24-30 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno (le cosidette TEP). Tanto per dare un parametro, in Italia si "consumano" 80 milioni di tonnellate di petrolio all'anno. Abbiamo una ricchezza tale e se ne parla pochissimo. Perché? Le corporation petrolifere disinformano? I produttori di petrolio pressano lo stato italiano per mantenere il silenzio? Niente di tutto ciò.

Porto la mia esperienza. Il motivo vero per cui molte aziende italiane non comunicano a dovere nel settore delle biomasse è che le fonti sono i ciocchi di legna, il pellet, il cippato, i rifiuti vegetali e i liquami di origine animale. Ossia, materiali considerati "brutti, non comunicabili", quasi sgradevoli. "A chi vuole che interessino?". Invece produrre energia e gas da materiali di scarto è una notizia molto forte, non solo comunicabile ma da approfondire. Da spiegare. Da illustrare. Perché sono fonti "rinnovabili" alla portata di molti. Il marketing (green o non green) deve servire a questo, a spiegare cosa fa un'azienda, a evidenziare i vantaggi delle sue soluzioni, a parlare in modo franco e diretto alle persone.
Le fonti energetiche pulite, che sia la luce del sole o le biomasse, interessano alle persone, se vengono spiegate in modo coerente e semplice da capire. Per questo, il Green Marketing può essere una grande opportunità per le PMI italiane. A patto che investano sia nel "green" che nel "marketing".

mercoledì 22 settembre 2010

Le mie personalissime 4P

Negli ultimi giorni, ho avuto un sacco di contatti con persone diverse, con esigenze diverse, con esperienze diverse. Ma tutte accomunate dal fatto di aver già lavorato con me. Ho sentito due grafici con cui avevo lavorato quando ero ancora in agenzia: con uno avevo realizzato una guida di Bologna (se andate nell'URP di piazza Maggiore e ne vedete una rosso mattone, è quella), con l'altro avevo collaborato per sviluppare un Corporate Magazine per un'azienda di costruzioni. In più, ho incontrato un Amministratore Delegato di una società di cui ho realizzato il sito e un responsabile del customer care con cui avevo collaborato per realizzare uno "sportello online" in un altro sito. Infine, ho sentito ora un'amica professionista: grazie a una bellissima chiacchierata su Skype, mi ha incluso nel suo prossimo libro e ci siamo aggiornati sulle ultime novità in fatto di richieste delle aziende. Oltre alla soddisfazione di poter parlare con persone valide attive in ambiti diversi, questo mi ha portato a fare una riflessione: perché tutte queste persone mi hanno contattato?

I progetti e le idee che ci stanno dietro sono attività troppo eterogenee per trovarci un indicatore comune, valido per ognuna. Ma tutti, in modo diverso, mi hanno parlato in modo diretto, quasi informale, molto amichevole. Non c'erano secondi fini, non cercavano di "vendermi" qualcosa ma mi hanno chiamato per coinvolgermi, per chiedermi, per spiegarmi, per approfondire qualche argomento. Questo mi ha riempito di soddisfazione. Perché significa che hanno lavorato bene con me, per progetti diversi e in condizioni del tutto differenti (lavorare in agenzia o da soli sono due condizioni diverse da ogni punto di vista). Spesso, si trova lo spunto per scrivere solo se ci si lamenta che un'azienda non comprende, che un presidente è troppo chiuso, che un ente non paga, che un progetto è stato snaturato. Questo post è differente.

Si tratta di un personalissimo caso di successo che dimostra quanto è importante avere un approccio con le "4 P". Non le variabili classiche del marketing mix, ossia produzione, prezzo, promozione e punto vendita. Bensì passione, perseveranza, pazienza e precisione. Una lezione che mi insegnò una mia collega quando ero un giovane stagista era che lavorare bene alla fine paga. Qualcosa del genere, comunque, lo diceva Richard Bach, uno dei miei autori preferiti: "più desidero che qualcosa sia fatto, meno lo chiamo lavoro".

venerdì 17 settembre 2010

Un anno da libero non professionista

Un anno fa nasceva questo blog, con un post dal titolo "Libero non professionista: perché?" Il 28 settembre 2009, esattamente 23 giorni dopo aver aperto la partita IVA. Lo so, oggi è il 17, mancano 11 giorni ed è pure venerdì. Ma mica bisogna essere rigidi come con i compleanni. Quel giorno iniziava una nuova vita per me, un futuro che non mi ero cercato ma che era arrivato. E lo si doveva affrontare. Dopo mesi di vita d'inferno, tra ritardi di pagamento degli stipendi e la necessità di mollare il posto che mi ero sudato per colpe non mie, avevo due scelte: fare il disoccupato per qualche mese (prendendo gli assegni che mi spettavano e vedendo come evolveva la situazione) oppure diventare libero professionista, accettando da subito la proposta di un'azienda ("collabora con noi, tu, da solo" e senza rete). Ho scelto la seconda. Scoprendo presto che lavorare da solo è bellissimo (niente capetti, soddisfazioni tutte tue, voglia di dare sempre il massimo, svegliarsi tutte le mattine insieme a tuo figlio) ma durissimo (autodisciplina ferrea, necessità di affrontare la burocrazia, confronti continui per essere pagato). E lo consiglierei.

Spesso mi si dice che non ho uno stipendio fisso (mia moglie me lo ripete spesso e la capisco in pieno). Tutto vero, però certi mesi guadagno il doppio di prima, altri metà. Non escludo ovviamente di ritornare a fare il dipendente, le scelte definitive sono altre. Ho solo capito che cambiare vita, ogni tanto, fa bene, anche se, in parte, sono altri soggetti che ti portano a farlo. Perché ti fa vedere le cose senza quelle strutture che ti sei autocreato. Da direttore di agenzia, spesso mi illudevo di saperne più di altri di comunicazione, forse perché avevo le spalle coperte (non troppo, come ho provato dopo sulla mia pelle). Da libero professionista, quello che sai lo devi dimostrare, sul campo, perché non c'è altro che la tua competenza a difenderti. Per questo, mi sono creato una rete di conoscenze che, oggi, mi rendo conto essere fondamentale per fare bene il mio lavoro. Persone che rispetto e stimo, con cui parlo dal vivo, su Skype, su Facebook, su Friendfeed, al cellulare, etc. Prima forse le avrei viste diversamente, in modo competitivo non collaborativo. Lessons to be learned.

Libero non professionista è nato col "non" perché i due termini, insieme, mi sembravano quasi antitetici. Volevo essere libero senza la necessità di "essere professionista di qualcosa a tutti i costi" (si capisce come il biplano fosse il "brand" ideale). Qualcuno mi disse di non mettere in dubbio la mia professionalità. A un anno di distanza, sono molto più professionale di quanto sia mai stato, ho imparato un sacco di cose. La prima è che l'autoironia è fondamentale, come il mettersi sempre in discussione. Un consiglio: se avete dei dubbi riguardo a cambiamenti di lavoro o di qualsiasi altra cosa, leggetevi Linchpin di Seth Godin. Vi farà capire quanto potete essere artisti, cosa che non avete mai pensato di essere. La mia recensione su Anobii non sembra così entusiasta? Il mio cervello rettile l'ho vinto un anno fa. Solo che non sapevo che si chiamasse così.

martedì 14 settembre 2010

Consigli per le fiere

Delle fiere e della loro utilità ho parlato più volte, non sempre con grande entusiasmo (per esempio qui). La visita al SANA, il salone internazionale del naturale, mi ha dato qualche spunto in più. Per chiunque vi avesse partecipato negli anni scorsi, come me, appariva chiarissima una cosa: un cambiamento di rotta evidente nell'organizzazione. Tutta la parte legata al wellness e al relax (ricordo ancora gli innumerevoli stand che proponevano "bagni di fieno") è stata ridotta al minimo per concentrarsi, anema e core, sul tema "bio". La scelta, evidente, è stata fatta per ottenere una presenza magari meno ampia ma più specializzata. Fatto che dimostra la vitalità della fiera, mentre altre sonnecchiano ancora sui fasti dei tempi che furono (gli esempi sono molteplici).

C'è un altro lato della medaglia, come sempre. L'Italia è leader a livello europeo nel settore del biologico (insieme alla Spagna) e occupa l'ottavo posto nel mondo per quanto riguarda la superficie coltivata. In più, è al primo posto in Europa per numero di aziende che hanno scelto il "bio" (qui si trovano maggiori informazioni a riguardo). Tuttavia, se ognuno di noi entra in un centro commerciale italiano, trova ancora un ristretto numero di questi prodotti (non superano i 350) rispetto, per esempio, a uno francese (dove ne possiamo trovare 3.000). In più, produciamo tanti prodotti biologici ma, nella nostra spesa, rappresentano solo il 3% dei prodotti (in Germania, la percentuale sfiora il 20%). Perché? Si tratta di un mercato che in Italia si sta sviluppando grazie al lavoro di piccoli imprenditori, di cui tantissimi sono donne e giovani. Microaziende fatte di entusiasmo e volontà ferrea che vendono direttamente i loro prodotti. Una situazione che al SANA appariva chiarissima: tanta passione, poco business.


Ha senso per una microimpresa sostenere i costi di una fiera del genere? Tanti stand, tutti piccoli e molto simili tra loro, non hanno attirato la mia attenzione. Con qualche bella eccezione. L'Acetificio Mengazzoli, insieme a un'altra azienda (Sommariva), ha realizzato uno spazio espositivo molto particolare, che si chiama CAVE (nella foto sotto). Si tratta, appunto, di una specie di galleria, in legno (la struttura ricorda una barca rovesciata), dove si può entrare dai due lati, quello dell'aceto e quello dell'olio, per "ritrovarsi nel mezzo in un posto ideale per condire, ad esempio, un'insalata" (come mi ha detto Elda Mengazzoli durante una piacevolissima chiacchierata). Un'idea nuova, nata dal connubio tra due aziende attive in territori diversi (Mantova e Savona) che vogliono comunicare le proprie eccellenze con un percorso particolare. Una dimostrazione di innovazione, di inventiva e di passione, al tempo stesso.
 


Non c'è dubbio che le due aziende abbiano investito più risorse di molte altre presenti al SANA ma, appena uscito, io mi ricordavo di loro e di pochi altri (la Palm, con i suoi arredi realizzati con i pallet). Non è questo l'obiettivo di andare a una fiera? Se un'azienda vuole andarci con il solito stand e le solite idee, forse c'è un modo migliore per investire quei soldi. Per esempio, come è messo il sito Internet? Le aziende che ho citato hanno tutte portali fatti molto bene, che ho consultato appena rientrato in ufficio. Non è un caso, si chiama comunicare bene. 
  
Foto di Gaia Damiani (che ringrazio)

lunedì 13 settembre 2010

Co-thinking e passione

Ho conosciuto Gaia Damiani (titolare di Damiani Communication) in rete. Ci siamo sentiti in merito a un mio post, il giorno dopo eravamo già a parlare di progetti congiunti e di iniziative da sviluppare per far comunicare alcune aziende. Potenza del Web e della passione per il proprio lavoro. Laureata in Scienze Politiche (come me), si è specializzata nelle ricerche di mercato prima di aprirsi alla comunicazione. Ora ha una sua agenzia (a Varese) e una voglia matta di sviluppare progetti sempre diversi, con passione e metodo, lavorando insieme ad altri professionisti (lei lo chiama "co-thinking"). Incuriosito, ho fatto con lei una bella chiacchierata.

Buongiorno Gaia, quali sono le dimensioni della tua agenzia?
Formalmente, sono da sola. Effettivamente, siamo un numero in continua evoluzione dal momento che a seconda del progetto viene costituito un team di lavoro fatto di liberi professionisti o piccole agenzie. Più persone e professionalità nuove si incontrano meglio è. In effetti in questo modo non esiste una vera e propria concorrenza: su alcuni progetti svolgo funzione di commerciale/account, in altre sono io a fornire un servizio ad altri colleghi.

La zona di Varese è ricca di imprese: avete molti clienti "locali"?
I miei clienti si concentrano nell'area di Varese, Milano e Ticino. Sicuramente ci sono tante aziende definibili medie, molto Made in Italy ma con una forte vocazione internazionale. Settori? Meccanica, illuminazione e servizi.

Quali sono i servizi che le aziende vi chiedono maggiormente?
Non c'è una risposta univoca. Nelle aziende medio-piccole il mio ruolo è quello di un’agenzia classica. Mi chiedono prevalentemente below-the line, siti e allestimento fiere, ossia poche cose molto ben soppesate e diluite nel tempo. In altri casi invece faccio consulenza strategica direttamente in azienda, a giornata. In altri ancora, relazioni pubbliche, ufficio stampa ed eventi.

Lo sviluppo di Internet ha rivoluzionato il mondo della comunicazione, prima "dominato" dall'ufficio stampa. Cosa ne pensi?
Nella classe imprenditoriale della media industria lombarda, il sito Internet è ancora visto come una vetrina, non come uno strumento di lavoro e di contatto con i vari target. C’è ancora molta diffidenza nella “condivisione” delle informazioni. Non esistono intranet né figure che si occupino specificamente di comunicazione. Pur capendo l’importanza del posizionamento sui motori di ricerca, spesso non vogliono investire. Le newsletter sono sporadiche e limitate ai PDF. In compenso, se si parla di fiere, anche molto specifiche, spendono capitali e spesso brillano molti occhi. Questo discorso non vale solo per internet ma anche per altri mezzi di comunicazione. Quando ai corsi di aggiornamento, sento descrivere casi di successo fantastici mi chiedo: avete mai provato a parlare con un imprenditore di Busto Arsizio o di Gallarate? Siamo una provincia molto ricca e produttiva ma c'è ancora molto lavoro da fare per lo “svezzamento” di molti imprenditori.

Cosa ne pensi dei social network come fonti di informazione per gli utenti?
Molte aziende li usano con successo ma, personalmente, devo ancora superare un po’ di diffidenza nei loro confronti. Mi piacciono molto i blog perché trovo che siano uno strumento fresco, flessibile e i cui contenuti sono generalmente interessanti e pensati.

Hai mai pensato di aprire un blog della tua agenzia?
Sì, e non escludo di farlo quanto prima, proprio per condividere esperienze ed opinioni. Penso che sia anche uno strumento molto utile per aumentare la propria credibilità e la propria reputazione on-line. Il caso tuo e di Cristina Mariani in tal senso sono esemplari.

Finita la chiacchierata, siamo già d'accordo di vederci domani a una fiera. "Siamo tutti un po’ matti, ma anche molto seri nell’affrontare il nostro lavoro" dice Gaia sul suo sito. Confermo e sottoscrivo.

giovedì 9 settembre 2010

Il futuro dell'editoria? Ci viviamo dentro*

Come capita ogni tanto su Friendfeed (e mai su Facebook), si è scatenata una discussione molto interessante. Riguarda il presente e il futuro del Post, la nuova creatura di Luca Sofri che segue il modello  Huffington Post. In sostanza, la questione è: può esserci in Italia una nuova tipologia di quotidiani nati-per-essere-digitali che facciano ricavi in tempi relativamente brevi? Qual'è il futuro dell'editoria italiana sul Web?

Restiamo alla cronaca: la miccia l'ha accesa Massimo Russo, facendo i conti in tasca al nuovo quotidiano online e concludendo che, visto il numero di utenti unici, la strada è parecchio difficile per un modello come il loro (per inciso, Sofri ha detto che i dati non sono corretti, pur non avendo comunicato quelli ufficiali). Allora ci si è posti la domanda: può esistere un Huffington Post italiano? Il contesto è affascinante, perché rappresenta l'inizio di un dibattito che dovrà chiarire il futuro dell'editoria italiana, alla luce della crescita del Web e della crisi della carta. Un argomento che sta nel cuore stesso della comunicazione. Sono stati molti gli interventi di addetti ai lavori (cito il giornalaio di PierLuca Santoro e Telcoeye di Massimo MaxKava Cavazzini, che seguo abitualmente, ma anche Vittorio Zambardino) per cui il materiale da consultare c'è.

Non volendo entrare troppo nel merito (i numeri li sanno solo quelli del Post), faccio solo mie personalissime considerazioni:
  • L'Huffington Post (che non è un blog, ricordiamolo) è partito 5 anni fa potendo contare su tre elementi fondamentali: il nome (Arianna Huffington, nata Arianna Stassinopoulos, era già molto conosciuta nel giornalismo americano), i mezzi (il marito della direttrice è Michael Huffington, professione miliardario repubblicano) e le circostanze (ossia, avere un "universo di riferimento dentro cui fare vivere e fare crescere la sua creatura"). E fa ricavi solo ora, quando fino all'anno scorso le perplessità rimanevano forti. Un modello replicabile in Italia? No, secondo me. In più, la scelta di mettere titoli e foto di dimensioni ciclopiche (anche se i titoli variano in base al gradimento degli utenti) e un home page enorme (uno scroll infinito) sono scelte del tutto contrarie a quello che definisco "semplicità di lettura".
  • Il Post è un tentativo coraggioso ma ponderato di provare a sfruttare il modello dell'Huffington Post quale "aggregatore di notizie". Forse non sarà il modello del futuro ma intanto sta facendo ragionare molti addetti ai lavori su questa questione.
  • C'è necessità di avere nuove tipologie di quotidiani pensati e sviluppati per essere digitali, collaborativi, personalizzati? Sì, non c'è dubbio. Infatti ci sono parecchie novità all'orizzonte, come scrive Il Sole 24 Ore. Avranno fortuna? Dobbiamo aspettare.
  • C'è un possibile modello da seguire? Qualche indicazione ce la offre Dagospia. Creato nel 2000 quando nessuno se lo aspettava  e nessuno, quasi, sapesse cosa fosse, è graficamente brutto (lo è, volutamente, ancora oggi), chiassoso, quasi volgare ma, al tempo stesso, molto attendibile e tempestivo. Era qualcosa di cui molti avevano bisogno senza saperlo, qualcosa di molto "verace" nei toni ma altrettanto affidabile nei contenuti. Vero è che copia e incolla contenuti di altri siti senza autorizzazione ma questa è la sua forza e il suo limite. In più, punta con decisione sul gratis.
Stiamo vivendo un momento di svolta per l'editoria. Probabilmente, in questo momento, si sta progettando quello che sarà "il Facebook dell'editoria" ma noi non lo sappiamo. Se posso dare il mio umile contributo a questa idea, dico tre parole: semplice da leggere (l'Huffington Post non lo è), gratuito (almeno per la grande maggioranza dei contenuti) e personalizzato (ognuno deve decidere i contenuti che gli interessano). Stiamo a vedere, la partita è appena cominciata. Intanto devo ricordarmi di comprare Eretici Digitali, appena ho finito Seth Godin.

* Il titolo è un omaggio (seppur parafrasato) a William Gibson

martedì 7 settembre 2010

Comunicare i rifiuti

Cosa succede a una lattina, a una bottiglia di plastica, a un contenitore di vetro dopo averli buttati nel giusto contenitore per la raccolta differenziata? Ognuno di noi, almeno una volta, ha pensato: magari lo fanno per farsi vedere attenti all'ecologia, poi buttano tutto in discarica. Ora, avendo avuto modo di lavorare con chi raccoglie i rifiuti, li analizza, li seleziona e li manda alle aziende specializzate nel dare loro una nuova vita, ho eliminato queste perplessità. Capendo, al tempo stesso, quanta professionalità, tecnologia e attenzione all'ambiente ci sia in questo settore.

Mi sono occupato della realizzazione dei contenuti del nuovo sito di Eco-Ricicli Veritas (www.eco-ricicli.it), società del Gruppo Veritas di Venezia (prima multiutility del Veneto per dimensioni e fatturato e una delle più grandi d’Italia). Volevo far vedere a ogni utente il percorso seguito dai rifiuti in modo semplice e comprensibile, con testi sufficientemente brevi. I contenuti che ho realizzato ex novo per il sito dovevano avere un obiettivo prioritario: il vetro, la plastica, la carta, le lattine e gli altri materiali (come ferro e imballaggi) dovevano essere i veri protagonisti. Il vetro, considerato il materiale ecologico per eccellenza (è inerte), si decompone naturalmente in 4.000 anni. Per questo, è necessario recuperarlo perché, dopo essere stato appositamente depurato (dalla ceramica, in particolare), può tornare a nuova vita per infinite volte. Una verifica fatta da dispositivi tecnologici all'avanguardia (che dividono il vetro analizzandone il colore in frazioni di secondo) ma anche grazie alla selezione manuale di personale specializzato. Il sito è stato organizzato proprio per far vedere queste cose, per far conoscere la ricchezza e la "bellezza" insita nei materiali che noi usiamo tutti i giorni. Lo dimostrano le foto in home page, selezionate dall'agenzia Creative-Lab, che ha creato la struttura del portale e con cui si è lavorato in modo eccezionale.

Un fattore fondamentale per la riuscita di questo progetto è stata la collaborazione dell'azienda. I responsabili hanno lasciato che noi pensassimo, proponessimo, inventassimo un nuovo modo di comunicare il loro lavoro sul Web. Ci è stata data carta bianca (riciclata, ovviamente). Poi hanno approvato la realizzazione di un sito molto colorato e "pulito" ma altrettanto attento alle informazioni legate alle tecnologie, alle normative e alle certificazioni. Un lavoro di gruppo nel vero senso del termine. Infatti, in 3 mesi il portale è stato pensato, realizzato e messo online. Se volete sapere quanti sono i tipi di plastica da selezionare, quale risparmio energetico si ottiene realizzando alluminio da riciclo (invece che utilizzare la bauxite) oppure quanta carta viene realizzata in Italia grazie a quella raccolta nei cassonetti, avete una soluzione facile: www.eco-ricicli.it.
 

venerdì 3 settembre 2010

Sparare a un orso? Geniale su Youtube

Youtube è uno strumento eccezionale. Soprattutto perché, oltre ad essere semplice e divertente, ha infinite possibilità di sviluppo per la comunicazione delle aziende. Ho visto numerosi video virali, alcuni riusciti e altri meno. Ma questo li supera tutti per inventiva, qualità e ... personalizzazione. C'è il prodotto (assolutamente non innovativo), c'è un'idea (assolutamente strepitosa), c'è la voglia di generare un contatto diretto con l'utente e c'è il divertimento (alla fine, provate a inserire "loves" e "listens to"). I miei complimenti a Tipp-Ex.

giovedì 2 settembre 2010

Il lavoro, i ragazzi e le scelte da fare

Oggi voglio parlare di lavoro. I dati ISTAT, come cita il brillante post di Dario Di Vico, dicono che un giovane su quattro non lavora (il 26,8%), in totale fanno 600.000 persone. Si tratta di ragazzi che pagano sulla loro pelle la sfasatura tra formazione e mondo del lavoro. Leggono di "dover" fare lauree e master su materie interessanti (la comunicazione è una di queste) ma nessuno dice loro che poi ci sono due posti di lavoro su 10 laureati. Hanno sottovalutato il lavoro manuale, senza colpe apparenti perché nessuno ne ha parlato di queste altre opzioni, e si trovano in con una laurea che non apre nessuna porta. Dario Di Vico propone che siano le aziende stesse a darsi da fare sul territorio per trovare quelle figure tecniche di cui hanno bisogno, con piani di formazione che insegnino ai ragazzi quello che le scuole non fanno. Per incapacità, per miopia, per burocrazia.

Ho visto con i miei occhi giovani periti tecnici essere assunti qualche settimana dopo aver conseguito il diploma. Ragazzi entusiasti, professionali e attenti ai contenuti tecnologici e scientifici. Li ho visti all'opera lavorando insieme a Programma Quadrifoglio: attivo a Bologna, ha come obiettivo quello di "valorizzare la cultura tecnica e industriale attraverso la messa a sistema delle risorse presenti sul territorio e lo sviluppo di attività formative a tutti i livelli". Dalle medie all'Università, i ragazzi vengono spinti a conoscere il patrimonio tecnico e tecnologico delle aziende del loro territorio, facendo loro fare a visite, laboratori e progetti. E lasciando che siano loro a prendere l'iniziativa (come il progetto Fare Impresa spiega benissimo). Programma Quadrifoglio vuole far sapere che le aziende cercano figure tecniche, perché ne hanno estremamente bisogno. Solo che sono tra i pochi. Il mainstream spinge ancora verso il percorso liceo-laurea-master che sarà, per molti, privo di sbocco. Se si prova a sottolineare ai media (quotidiani, TV, radio) questa situazione e la necessità di spingere affinché i ragazzi vadano a fare scuole tecniche, per esperienza personale ti rispondono che non c'è la notizia. Il 26,8% dei giovani non lavorano. Questa lo è sicuramente. 

Nel settore della comunicazione, sono nate numerose facoltà che quando io scelto l'Università non c'erano. Probabilmente, se dovessi scegliere oggi, andrei anch'io a Scienze della comunicazione. Perché non saprei che i nuovi posti di lavoro, alla fine, saranno limitatissimi in questo settore, più che in molti altri. In Italia, oltre il 90% delle aziende sono PMI: di quanti "comunicatori" ha bisogno ognuna di essere? Spesso, di nessuno. Sbagliano ma la realtà è questa. Allora un diplomato-laureato-masterizzato si trova costretto a decidere se fare il free lance, per diminuire i costi alle aziende ed avere lavoro da fare. Volete sapere come funziona? Ecco un esempio di come è regolato il regime dei contribuenti minimi (grazie a al3lilo che l'ha segnalato su Friendfeed), una delle principali novità introdotte negli ultimi anni nel settore della libera professione. Provate a cercare altrove. Una giungla di informazioni, spesso in conflitto tra loro. Allora è necessario chiedere a un commercialista. Buona fortuna.

Nel 2010, le iscrizioni ai licei crescono (+3,6% rispetto all`anno scorso), quelle a istituti professionali e tecnici calano (rispettivamente, -2,2% e -1,4%). Ragazzi, ascoltate un diplomato-laureato-masterizzato: se siete appassionati di meccanica e tecnologia, non vergognatevi di decidere di non fare il liceo. Troverete un lavoro e, probabilmente, prima di tanti altri.