mercoledì 22 dicembre 2010

Il bilancio di Natale

Queste sono giornate da PSLA, che non è una malattia rara ma semplicemente il Post Sotto L'Albero. Qui trovate una selezione del meglio del meglio che c'è in Italia, un'idea che anno dopo anno resta sempre bellissima. Il mio intento natalizio è leggermente diverso, perché voglio fare un bilancio di cosa è andato bene e cosa meno nel mio 2010 ricco di novità. Il primo anno intero da "libero non professionista", con nuovi clienti, nuove procedure, nuove sfide e nuovi rapporti. Voglio scrivere qualcosa che possa essere utile per qualcuno, in primis per me perché non sempre si ha il tempo di riflettere su cosa si fa e come lo si fa. E ora lo voglio fare.

Cose che hanno funzionato:
  • Rapporti personali sempre nuovi: la mia nuova esperienza professionale mi ha dato la libertà necessaria per partecipare a eventi, fiere, iniziative, discussioni e convegni di mio interesse, personale e professionale. Non mi era capitato in agenzia, per ovvi motivi. Sia dal vivo che attraverso i Social Network ho avuto modo di conoscere numerosissime persone di grande qualità, competenza e passione, con cui ho avuto modo di confrontarmi sempre in modo del tutto civile e ironico. Facebook, Friendfeed e LinkedIn sono stati strumenti formidabili per rendere più semplice questo percorso, per avere la possibilità di chiedere pareri e consigli in tempo reale a gente che eccelle nei rispettivi campi. Chi dice che questi "social cosi" sono perdite di tempo, in parte ha ragione. Ma se uno impara a usare bene il suo tempo, sono risorse fenomenali.
  • Lavorare bene porta clienti: le aziende con cui ho lavorato quest'anno sono diverse e operano in settori molto variegati ma le ho trovate tutte, o quasi, grazie al lavoro che ho fatto negli anni scorsi. Vecchi clienti di agenzia che mi hanno cercato, vecchi collaboratori che mi hanno segnalato, imprenditori che ho incontrato personalmente e che hanno apprezzato il mio modo di fare. La qualità del lavoro paga, sempre e comunque. Non bisogna credere mai a chi dice il contrario.
  • Nuovi strumenti di lavoro, nuove esperienze: se prima lavoravo quasi esclusivamente nelle media relations, quest'anno mi sono specializzato nella gestione di progetti relativi alla creazione di contenuti per il Web e per la documentazione aziendale. E questo ha arricchito notevolmente il mio bagaglio professionale. Lo sviluppo del blog e la realizzazione di www.riccardopolesel.com mi hanno permesso di parlare di me, del mio lavoro e delle cose che faccio come non avevo mai fatto prima. In più mi hanno dato grandi spunti per leggere libri, per autoformarmi, per approfondire.     
Cose che non hanno funzionato:
  • New business da vecchia scuola: nei primi sei mesi del 2010 ho realizzato massicci invii di mail con studi, ricerche e approfondimenti per suscitare l'interesse di aziende di vari settori sui quali avevo esperienza (enogastromico, energie rinnovabili, edilizia, etc.). Aziende che non conoscevo direttamente, su cui ho realizzato database molto precisi e accurati, utilizzando un sacco di tempo. Risultato? Nessun cliente e pochissime richieste di informazioni. Il contatto personale paga, quello impersonale no.
  • Gestione del tempo: il 2010 è stato un anno di sperimentazioni per il mio project management, dato che dovevo gestirlo interamente da solo. I vecchi strumenti, accomunati dai diagrammi di Gantt, non sono stati proficui: non li aggiornavo e non mi erano utili. Ora sto provando nuovi software per vedere di trovarne uno adatto a me, ossia intuitivo, veloce e flessibile. Per gestire i contatti coi clienti, i progetti, le riunioni e l'andamento dei lavori in modo più efficace. E mettere l'agenda cartacea finalmente in soffitta.
  • Realizzazione di progetti collaborativi: quest'anno mi sono nate molte idee e molti spunti ma raramente li ho condivisi con qualcuno. I motivi sono vari, dall'incertezza del risultato alla mancanza di tempo da dedicare a qualcosa di extra. Nel 2011 voglio cambiare questo trend, concentrarmi su 2/3 idee e provare a coinvolgere qualche professionista del settore per vedere di discuterle, di approfondirle ed, eventualmente, di svilupparle. Non bisogna avere paura di condividere i propri progetti, non abbiamo niente da perdere. In questo senso, la rete ci offre le possibilità di realizzarli con l'aiuto di qualcuno.
Non mi resta che augurarvi buon Natale. E che il 2011 sia pieno di soddisfazioni. Io so già che, al di là del lavoro, il mio piccolo principe di 2 anni me ne darà sicuramente tante. Sono fortunato e non lo devo dimenticare mai.

venerdì 17 dicembre 2010

Il potere delle immagini

Alle aziende ripeto sempre che per comunicare bene servono tante cose e che non sempre è facile. Una delle cose semplici da fare, invece, è avere a disposizione un archivio di immagini di buona qualità. In qualsiasi contesto e per qualsiasi strumento, una foto può catturare l'attenzione di una persona molto meglio di un testo scritto ottimamente, dato che è in grado di risvegliare in noi un misto di fascino, passione e stupore. Anche le immagini di prodotti, di impianti industriali, di soluzioni tecnologiche, se realizzate con attenzione e professionalità, possono raggiungere livelli di tutto rispetto. Una turbina può essere "accattivante"? Impossibile, si direbbe. Ma mettendoci impegno e professionalità si possono ottenere ottimi risultati, come questo.

Una bella immagine ti spinge a leggere e, allo stesso tempo, ti fa dire "guarda che bravi". Un rafforzamento di "immagine", appunto, immediato a un costo molto contenuto. Provando a sfogliare i cataloghi e a consultare i siti aziendali, invece, ci si scontra con una moltitudine di foto brutte, minuscole, a bassa (o bassissima) definizione, con colori poco incisivi. Oppure si trovano belle immagini ma del tutto scollegate al contesto del loro contenitore (e magari pagate a caro prezzo), che non danno un significativo valore aggiunto alla comunicazione dell'impresa. Mi sono scontrato più volte con aziende che dicono "i miei prodotti sono brutti e non ci si può fare niente". Io rispondo sempre che non li si può rendere belli, ma interessanti sì. E si possono usare anche macchine non professionali, talvolta. Un esempio? Questa foto di copertina di un magazine aziendale l'ho fatta io con una compatta Canon da 3,2 megapixel durante un evento in Turchia. Sono autobetoniere, quelle che vediamo tutti i giorni per strada, quelle che lavorano il calcestruzzo. Non propriamente oggetti di design ma non sembrano affatto brutte se viste da questa prospettiva.

C'è un esempio che può chiarire bene quanto un'immagine possa spiegare meglio certe cose rispetto a concetti, tabelle e grafici. Spesso le aziende mi chiedono se la comunicazione online, in particolare sui Social Network, può essere importante per  loro. La mia risposta è sempre "dipende da voi e da cosa volete fare" ma d'ora in poi mostrerò anche l'immagine che c'è all'inizio di questo post. Si tratta della mappa che delinea la dislocazione geografica dei 500 milioni di utenti di Facebook. In Russia e Cina ci sono altri Social Network che dominano, è vero, ma fa impressione. Più di mille parole. Appunto.

venerdì 10 dicembre 2010

Dialogare con noi stessi

Tempo fa avevo scritto un post con un titolo che suonava, più o meno, così: "sono su Facebook. E adesso?" Questa domanda esprimeva pienamente il senso di curiosità e smarrimento che poteva provare un responsabile di un'azienda davanti a questo Social Media con oltre 500 milioni di utenti nel mondo. Ora la domanda che mi sono posto, mettendomi nei panni di un'azienda (anch'io, nel mio piccolo, sono di fatto una microimpresa), è questa: dato che il mondo "social" si arricchisce ogni giorno di più di nuovi posti dove andare, si deve essere ovunque? La risposta non può essere positiva, dato che ci sono strumenti che sono più affini al modo di essere e pensare di un'azienda che vuole comunicare. Come ho detto più volte, la presenza online deve seguire la "personalità" dell'impresa stessa (ne avevo parlato qui). Essere ovunque è un po' seguire le mode, cosa che una società non dovrebbe mai fare.

Ma è possibile cercare una risposta più completa ed esaustiva? Io oggi l'ho trovata. "In questo cielo di costellazioni occorre preventivamente studiare gli strumenti tecnologici, analizzare le proprie capacità, comunicare l’indispensabile, limitare la propria partecipazione a pochi “social network” indispensabili per il messaggio che si vuol trasmettere". Una risposta chiara e semplice, scritta da Massimo Melica sul suo blog (uno di quelli da seguire ogni giorno, puntuale e mai banale). Conoscere gli strumenti, conoscere sé stessi, sapere quello che si deve comunicare, puntare solo sugli strumenti più affini al messaggio. Quattro punti chiave che vanno benissimo per molte altre attività all'interno di un'azienda.

Il suo post termina così: "Alla fine, che si vinca o si perda, Internet resta il più avvincente strumento di “comunicazione introspettiva” in cui la scrittura digitale instaura, per paradosso, un dialogo verso se stessi e non solo verso gli altri". Attraverso Internet ci si può guardare anche allo specchio, con sincerità e serenità. Ne avevo già parlato ma le parole di Massimo Melica me le stampo e me le attacco di fronte alla scrivania.

(photo credits: Flickr, aldoaldoz)

lunedì 6 dicembre 2010

Il pre-partita IVA

Spesso mi chiedono consigli se aprire o meno la partita IVA. Per chi non ce l'ha, non c'è via di mezzo: o è una soluzione favolosa (lavori da solo, niente capi, prendi tutti i soldi del tuo lavoro, sei libero di prenderti le ferie quando vuoi, etc.) oppure è un bidone clamoroso (non puoi non essere un evasore, dipendi da quello che dice il commercialista, non hai lavoro sicuro, etc.). Come sempre, in medio stat virtus. Io ho 14 mesi di esperienza sulla partita IVA, l'ho aperta più per necessità che per scelta e, per questo, penso che possa essere utile dire la mia. Perché fino a un anno e mezzo fa non mi passava neanche per l'anticamera del cervello di fare il libero professionista (e non ho mai pensato di fare l'imprenditore, vediamo cosa succederà). Per questo, posso dare una versione molto semplificata della cosa. Vantaggi e svantaggi, senza tanti fronzoli, basati sulla mia esperienza. Perché il mondo del lavoro in Italia è un giungla. Se a qualcuno può essere utile, tanto meglio.
  • Modalità: aprire una partita IVA non costa nulla, basta recarsi all'ufficio dell'Agenzia dell'entrate più vicino, compilare i moduli e via. In più, la potete chiudere quando volete. Undici caratteri numerici che vi contraddistingueranno. Però deve essere chiaro quale regime si deve adottare (contribuenti minimi, regime agevolato, etc.) e quale lavoro si deve fare (ogni categoria professionale ha un suo codice ATECO) perché lo si deve segnalare subito sul modulo. Già da qui si capisce perché sia necessario avvalersi di un professionista o di un commercialista. La scelta è vostra, io vi consiglio di trovare una persona di assoluta fiducia. Siete soli contro la burocrazia, uno che risponde in fretta alle vostre (numerose) domande è opportuno averlo, sempre.
  • Rapporti col fisco e con le aziende: per i contribuenti minimi, è molto semplice, dato che serve solo tenere copia ordinata delle fatture e poco altro. Per altri regimi, ci sono altri obblighi, ma niente di cosi complesso. Questo vi servirà per fare il modello unico della dichiarazione dei redditi. Si fanno le fatture ai clienti, si spediscono (via posta e/o via mail, semplicemente) e ci si accerta che siano arrivate. I problemi verranno più dalle aziende, che vorranno avere chiarimenti su costi specifici o su varie modalità (come la ritenuta d'acconto, argomento che alle aziende sembra più misterioso dell'antico sanscrito). Altra conferma del fatto che serve qualcuno a cui chiedere (una circolare giusta al momento giusto è l'ideale per gli amministrativi che chiamano al telefono).
  • Costi: il costo del proprio lavoro è una delle cose più difficili da stimare, soprattutto se, come me, si arriva dallo status di dipendente. Io ho scelto di utilizzare un costo orario ma le possibilità sono molte. I clienti diranno sempre, e dico sempre, che siete cari (deformazione professionale) ma per loro avere un consulente con partita IVA ha dei vantaggi evidenti nel rapporto costi/benefici (qui ci si può fare un'idea). C'è il luogo comune che i liberi professionisti siano tutti evasori. Per quanto riguarda i consulenti aziendali, il discorso non sussiste. Perché? Il motivo è semplice, alle aziende clienti (quelle che pagano) conviene che si fatturi. Leggete qui, è tutto molto chiaro.
  • Opportunità: aprire la partita IVA offre sicuramente la possibilità di lavorare da soli, senza capi che vi stressano o che vi dicano cosa fare. Vi dico però una cosa: certe volte un capo lo desidererete. Impossibile? Quando dovrete affrontare i chiarimenti dei clienti, succederà. Ma la cosa più importante nello scegliere o meno di diventare liberi professionisti è avere, almeno, un cliente sicuro al 100% con cui partire. 100% non è 99%, sottolineo. Perché? Questo è il quadro: firmate il contratto oggi, la fattura gliela mandate a fine mese (passano 30 giorni), loro pagano a 30 o a 60 giorni (ossia, 60 o 90 dopo la firma), tenendo conto di aggiungere 10-15 giorni più un paio di solleciti telefonici. Vuol dire attendere almeno 2 mesi e mezzo prima di vedere i soldi reali, in un'ipotesi ottimistica. Se ci aggiungete il tempo di dover trovare un cliente, la vita diventa molto, molto difficile.
Questi sono solo semplici considerazioni fatte da chi certe cose le ha passate. In alcuni casi andrà meglio, in altri peggio. E ho tralasciato alcune parti fondamentali, come gli F24 da pagare in banca per fare i versamenti fiscali, contributivi e previdenziali, magari ne parlerò in un altro post. Però voglio dare qualche utile consiglio a chi, come me, si è trovato a dover chiedere consigli sulla partita IVA. Su Internet troverete molte cose ma il 95% di queste sono del tutto inutili o incomprensibili. Se riesco ad aiutare almeno una persona, il mio obiettivo l'ho raggiunto. Fatemi sapere.

mercoledì 1 dicembre 2010

Un contributo per l'Open Government

Ieri, 30 Novembre, all'IGF Italia è stato presentato il Manifesto per l'Open Government (che si può leggere anche qui). Cos'è? Si tratta del frutto del lavoro di diversi professionisti, accomunati dalla voglia di promuovere l’innovazione all’interno del Paese e della Pubblica Amministrazione, che si sono incontrati e confrontati su questi temi (ne avevo già parlato in questo post). Portare l'innovazione nella PA sembra solo un consumato e poco credibile slogan elettorale, un proposito quasi impossibile da attuare. In un'Italia impantanata in patologie istituzionali e politiche, chi vuoi che ci perda del tempo ormai? Loro invece ci credono. Va bene, hanno scritto un manifesto, mica hanno fatto una rivoluzione. Ma la cosa più importante è che hanno creduto nei contributi delle persone, che hanno espresso liberamente opinioni, pareri e critiche sul loro operato. Sul loro blog, sui social media, via e-mail, di persona. 

"Per rendere il nostro lavoro il più condiviso possibile, abbiamo pensato di coinvolgere tutti coloro che vogliono fornire un contributo di valore per la redazione del Manifesto" era scritto sul blog. Io, come tante altre persone (i nomi si leggono nei commenti), ho espresso il mio parere su due dei principi enunciati. Nel principio 7, che prevede di educare i cittadini alla partecipazione per la gestione della cosa pubblica, avrei voluto che fosse più sottolineato il fatto che necessita una formazione specifica per tutte quelle persone che, essenzialmente per motivi anagrafici, non conoscono le opportunità offerte dalla rete. Per quanto riguarda il principio 8, relativo alla promozione dell'accesso alla rete, ho proposto che fosse evidenziato maggiormente il "come" si può promuovere la cultura d'uso. Ho detto la mia, contando su una piccola riflessione dei promotori ma non molto di più.

Leggo oggi il Manifesto ufficiale. Gli "idonei percorsi formativi" inseriti nel principio 7 e la "società dell'informazione pienamente inclusiva" del principio 8 sono termini che nella versione iniziale non c'erano. Derivano dalla riflessione fatta dopo aver letto gli emendamenti proposti da me e da altri. Cosa vuol dire questo, che cambieranno il mondo? No, nessuna illusione. Ma sapere che professionisti di vari settori si impegnano per portare l'innovazione nella Pubblica Amministrazione e, semplicemente, riflettono su quello che dicono o scrivono altre persone mi spinge ad essere ottimista. Il filosofo Cleobulo diceva che è "meglio ascoltare che parlare molto". Una lezione che sarebbe molto utile per molti, troppi politici italiani.

(photo credit: Illustir su Flickr)

lunedì 29 novembre 2010

Pensare in banda larga*


Venerdì 26 Novembre sono stato al convegno “Cosa fareste con 300 Mb di banda larga?” al VEGA Parco Scientifico Tecnologico di Venezia. Oltre ad aver conosciuto dal vivo un sacco di persone molto valide che sento quotidianamente sui vari Social Network, ho avuto la possibilità di assistere agli interventi di numerosi relatori, molto diversi tra loro, e farmi un'idea precisa della situazione attuale e dei possibili sviluppi futuri. Non voglio fare un reportage sull'evento (molto riuscito), mi limiterò ad alcune considerazioni.
  • Una location perfetta per l'occasione. Un parco scientifico che riunisce addetti ai lavori e aziende per parlare degli sviluppi tecnologici e di comunicazione del futuro. Sala Antares perfetta, Wi-Fi efficiente e del tutto gratuito, schermo per le presentazioni molto ampio e visibile da ogni posto, streaming online per permettere di seguire il convegno da casa. Complimenti a Michele Vianello e ai ragazzi del VEGA per l'organizzazione, tutto curato nei minimi dettagli. Faceva un po' freddo, è vero, ma quasi non ce ne siamo accorti.
  • Interventi eterogenei e molto puntuali. Hanno parlato, oltre ai responsabili del VEGA e alle autorità, numerosi esperti di Internet, di comunicazione, di e-learning, di giornalismo, di medicina e responsabili delle principali aziende italiane attive nelle telecomunicazioni. Ci siamo fatti un'idea molto ampia e precisa sulla situazione attuale in Italia, non sempre confortante ma si deve guardare in faccia la realtà prima di decidersi a cambiarla. Presentazioni molto diverse tra loro, tutte utilissime. Personalmente, ne scelgo due: quella di Marco Zamperini, il FunkyProfessor, che ha sostenuto che, oltre a farla la banda larga, dobbiamo anche pensare e vivere in broadband, e quella di Stefano Quintarelli, il pioniere di Internet in Italia, che è partito dal concetto che bisogna realizzare le autostrade digitali per permettere alle persone di percorrerle (qui trovate una bello spaccato per capire chi è e cosa vuole Stefano Quintarelli mentre sotto c'è la sua slide coi principi da lui enunciati).
  • Rapporto singolare tra mondo degli esperti e quello delle aziende. Gli interventi della mattina sono stati realizzati tutti da esperti di vari settori, che hanno parlato di futuro, di opportunità da cogliere, di percorsi difficili ma da fare senza indugio. Hanno approfondito quello che sarà il domani senza parlare di sé. I relatori del pomeriggio, tutti responsabili aziendali, hanno discusso del presente, di cosa hanno fatto e dei progetti che le loro aziende stanno portando avanti. Hanno approfondito quello che è il presente parlando esclusivamente di loro stessi. La differenza non poteva essere più sostanziale, anche a prima vista guardando il look con il quale si presentavano in platea. Nel momento in cui responsabili aziendali parleranno come gli esperti del settore, io sarò molto più fiducioso per il futuro della banda larga in Italia.
La cosa indubbia è che la banda larga è una necessità. Per supportare i cittadini nelle loro necessità di informazione, per contribuire a far ripartire le aziende dopo la crisi economica, per darci un futuro digitale. All'estero sanno perfettamente che Internet ad alta velocità non solo è il domani ma anche un diritto fondamentale di ogni cittadino (l'esempio finlandese è molto chiaro). Wired ci ha già fatto una copertina. Ora è tempo che lo Stato capisca questo bisogno urgente, abbiamo bisogno di infrastrutture per creare autostrade telematiche come negli anni '50 avevamo bisogno di autostrade fisiche per le auto che sarebbero arrivate. I soldi ci sono già (basta investire le stesse cifre di 5 anni di autoblu) e noi siamo pronti a frequentarle, da subito. Un esempio? Cittadini milanesi, stanchi di aspettare il "piano wireless" del comune, si sono fatti il Wi-Fi gratuito da soli. Mauro Lattuada, uno dei protagonisti di questo bellissimo progetto (che sento quasi quotidianamente sui vari Social Network), era al VEGA e ci ho parlato per mezz'ora. Li trovate qui.  

 
    * Citazione dalla presentazione di Marco Zamperini

    lunedì 22 novembre 2010

    Aziende sorprendenti

    Ho incontrato il responsabile di un'azienda a una fiera. Ci conoscevamo già, abitiamo vicini e abbiamo bambini che giocano spesso insieme, ma non avevamo mai parlato di lavoro perché nessuno dei due sapeva bene cosa facesse l'altro. A Bologna invece ci troviamo a parlare di mercato, di tecnologie e di risultati di fatturato, con la stessa semplicità con cui parlavamo qualche giorno prima di giochi, asili e passeggini. Ne nasce un incontro, che si è svolto qualche giorno fa presso la sede di questa impresa, controllata da un grande gruppo (fatturato annuo superiore ai 350 milioni di Euro) attivo nel settore business to business. Una riunione sorprendente, da più punti di vista.

    Sono andato all'incontro per fare con il responsabile, poco più che quarantenne (il dato anagrafico, per me, ha sempre la sua rilevanza), una veloce analisi sulla situazione a livello di comunicazione. Le schede dei prodotti sono molto tecniche, piene di dati con pochissimi testi discorsivi. Il sito Internet ha una struttura abbastanza datata e anche qui i contenuti sono piuttosto tecnici, non semplici da comprendere anche per uno come me che lavora da anni nella comunicazione B2B e scrive abitualmente di motoriduttori, servoattuatori e impianti di betonaggio. Inoltre, le news sono pochissime e riguardano soprattutto la presenza alle fiere. Le informazioni che avevo in mano, non molte in verità, descrivevano un'azienda molto impegnata sul prodotto e poco interessata a comunicare, ossia quel binomio così diffuso nelle PMI italiane, che ne rappresenta la principale virtù e, al tempo stesso, un grande limite. Quel tipo di azienda molto seria che ho visto così tante volte nella mia esperienza e che ero già pronto ad approcciare con il necessario realismo. Mi sbagliavo.

    Entrando in azienda, ho subito notato un clima molto positivo e collaborativo. Persone impegnate ma sorridenti, che ti salutano per prime guardandoti serenamente in faccia. Dopo dieci anni di lavoro, ho capito che queste cose descrivono la vitalità di un'impresa molto più fedelmente dei suoi dati di fatturato. L'incontro con il responsabile è iniziato senza problemi, come mi aspettavo, la sorpresa è arrivata dopo. Quando ha ammesso che loro, da sempre, si concentrano sulle tecnologie delle proprie soluzioni ma che ora sentono l'esigenza impellente di migliorare il loro livello di comunicazione. Dalle loro nove filiali estere arrivano input chiari sulle necessità di migliorare la qualità delle cose che vengono dette, scritte e comunicate, perché operano in Paesi più avanzati a livello di comunicazione (la filiale australiana ha un suo profilo Twitter). Sono le parole che chi fa il mio mestiere vorrebbe sempre sentirsi dire. Un'azienda che sviluppa prodotti molto particolari, totalmente B2B, si è resa conto, da sola, di dover fare un salto di qualità anche nel marketing e nella comunicazione. Che bella notizia.

    Riassumiamo. Un'impresa, italiana al 100% e leader di mercato, con nove filiali estere, con un'età media dei dipendenti molto bassa (30 anni o poco più) e con la sede a 10 chilometri da dove lavoro. E io non conoscevo questo bellissimo caso di successo, pur frequentando le stesse fiere di riferimento da anni. Appunto su questo bisogna lavorare: loro fanno ottimi prodotti e buoni risultati a livello di vendite attraverso il lavoro di persone giovani e professionali. Questo è il loro sito attuale ma non li descrive come meriterebbero. L'obiettivo è appunto questo: far vedere chi sono. Davvero.

    mercoledì 17 novembre 2010

    Consigli per gli acquisti

    Questo blog ha una missiondare spunti, idee, pareri sul mondo del marketing e della comunicazione in Italia in modo semplice e comprensibile da parte di tutti. Non sempre i post riescono a raggiungere questo (ambizioso) obiettivo ma almeno ci si prova sempre, con passione. Ed è proprio la passione per quello che fanno che accomuna gli autori di due libri, molto diversi tra loro, che sono usciti in contemporanea proprio in questi giorni. Lo so, dovrei parlare solo di ebook visto che l'argomento è "caldo" e invece questi li trovate tranquillamente anche in libreria, completamente cartacei. Gli autori, tuttavia, hanno due blog, ognuno dei quali è fonte d'ispirazione e di formazione professionale per me, che sono perfettamente complementari ai volumi di carta. Ve li presento e ve li consiglio.

    "Comunicazione low cost" è il secondo libro di Cristina Mariani, un'amica e una professionista di alto livello che ha già "sfondato" (5.000 copie vendute) con "Marketing low cost", titolo omonimo del suo blog. Come potete facilmente capire dall'indice, offre una panoramica completa di soluzioni per spiegare a un'azienda come comunicare bene a basso costo. Oltre a impostare le basi, perché una ripassata non fa mai male, Cristina fornisce numerosissimi suggerimenti pratici per realizzare un sacco di cose, "dai biglietti da visita al Web". Pur lavorando nello suo stesso settore, ho scoperto tantissime novità dialogando e collaborando con lei (al mio blog è dedicato un piccolo spazio nel libro, un piccolo premio al primo che trova la pagina). Posso assicurare a ogni azienda, da quella individuale alla medio-grande, che non si pentirà se deciderà di acquistare questo volume (si può comprare anche l'ebook, qui), soprattutto in questi tempi di vacche magre.

    "Intranet 2.0" di Giacomo Mason approfondisce un argomento più specifico, ossia la comunicazione interna, ma si tratta di un libro che non dovrebbe mancare nello scaffale di qualsiasi azienda. Perché? Spiega come i nuovi strumenti di condivisione (forum, blog, wiki, social network, etc.) possono aumentare l’efficienza, favorire la collaborazione e migliorare i processi all'interno delle aziende, "a patto di partire con il piede giusto" come sottolinea l'autore (il suo blog è un punto di riferimento in Italia per la comunicazione interna). Si tratta di una vera e propria guida che contiene, in particolare, numerosi esempi pratici e concreti di enorme utilità, che si  trovano raramente anche su Internet. Giacomo non ha certo bisogno di presentazioni particolari, quello che posso dire è che risponde a mail e messaggi di richiesta di consigli in modo veloce e puntuale (e non è assolutamente una virtù di poco conto).

    Confesso che i libri non li ho ancora letti, in libreria li avevano già finiti. Tuttavia, conoscendo le capacità e le competenze dei due autori, non ho alcun dubbio a consigliarli. La mia fiducia se la sono già ampiamente conquistata.

    venerdì 12 novembre 2010

    I blog: ieri, oggi, domani

    Andrea Santagata di Liquida (con Human Highway) ha presentato un'interessante analisi del ruolo dei blog nell'informazione di qualità (la potete leggere anche sotto e sul Slideshare). Si possono evidenziare alcuni punti molto interessanti sul presente e sul futuro del blogging:
    • Nella presentazione si afferma che i blog potrebbero rappresentare uno step evolutivo intermedio nel nuovo scenario dell'informazione online e potranno trovare un'identità più forte aggregandosi dentro a iniziative editoriali più definite. Sono assolutamente d'accordo. I blog sono milioni, il 23% degli utenti di Internet in Italia li legge ma i frequentatori assidui degli stessi sono in calo. Solo un utente italiano su quattro è in grado di citare quelli che legge e descriverli con cognizione di causa. Il futuro sta nella creazione di aggregazioni ragionate di blog, per tematica curata o per complementarietà delle notizie, che generi un numero limitato di punti di riferimento per gli utenti, mantenendo contenuti di qualità
    • Il blog genera un contenuto che poi viene fruito prevalentemente in altri luoghi, come i Social Network o i quotidiani online, grazie alla condivisione e alla ripubblicazione. L'esperienza del mio blog, con un calo netto dei commenti ma con un aumento notevole dei "like" e delle discussioni su Friendfeed e Facebook, ne è una prova tangibile. Il contenuto esce dal blog per essere discusso altrove, il che non è necessariamente un male (i giornali si leggono ma le notizie si discutono al bar o a pranzo) ma un sintomo di evoluzione del mezzo.
    • I blog hanno un autorevolezza maggiore se parlano di temi specifici, come quelli legati a innovazione e tecnologia. Certamente, si tratta spesso di esperti, di addetti ai lavori, che ne sanno più degli stessi redattori dei quotidiani su quei temi e che ne possono parlare con maggiore libertà (non hanno capiredattori né editori). Chi cerca informazione specifica e di qualità va direttamente sul loro blog (o su Facebook, tanto per tornare al punto precedente). Per quanto riguarda l'attualità, la tendenza è invece meno forte, la credibilità dei media tradizionali rimane alta anche tra i blogger stessi.
    • Il profilo del lettore di blog: uomo (ma le donne non sono molte di meno), laureato, tra i 35 e i 54 anni che legge anche i quotidiani. Una figura che può generare molti spunti di approfondimento, specialmente riguardo all'età e alla formazione/cultura. Un profilo ben diverso dal "ragazzino che non ha niente di meglio da fare che scrivere su Internet" di qualche anno fa.
    • Per avere informazioni su una "cosa importantissima", il punto di riferimento principale è Internet (91% degli individui), la televisione è ben distanziata (45%). Nell'ordine di priorità, si privilegia la ricerca su Google, poi su un quotidiano online, poi su un sito di informazione. La quota di chi andrebbe su Facebook è l'8% (più della radio), i blog raggiungono solo il 2% (come Twitter). La situazione è diversa se si cerca un "argomento di attualità", dove la prevalenza dell'online è minore (80%). 
    Da queste considerazioni, si capisce come il blog, considerato troppo frettolosamente come un "morto che cammina" dopo l'avvento dei Social Network, abbia ancora una buona vitalità. Soprattutto perché non è alternativo ma complementare (fornisce i contenuti di qualità da discutere che spesso non si generano all'interno delle "piattaforme sociali"). Tuttavia, deve necessariamente evolversi per diventare un punto di riferimento costante per le persone che cercano di informarsi online. In quest'ottica, l'aggregazione è una soluzione necessaria per fare il salto di qualità e offrire un'informazione puntuale all'interno di un numero limitato di "luoghi", con brand autorevoli e affidabili.

    mercoledì 10 novembre 2010

    Analisi di un comunicatore: Matteo Renzi

    Tutti abbiamo letto articoli su Matteo Renzi e sui "rottamatori" del Partito Democratico. Non voglio entrare nel merito politico della cosa, perché qui scrivo di altro e sono solo un interessato osservatore della (tragicomica) situazione italiana degli ultimi mesi. Il mio intento è quello di analizzare il nuovo "enfant prodige" della sinistra italiana dal punto di vista della comunicazione, perché rappresenta sicuramente qualcosa di nuovo nel panorama nazionale da molteplici punti di vista e la sua figura mi incuriosisce. Ovviamente, si tratta di un'analisi preliminare e basata essenzialmente sul suo discorso durante l'evento "Prossima fermata Italia":
    • Capacità comunicative: Renzi è sicuramente uno dei più brillanti oratori dello scenario attuale. Diretto e chiaro (come sottolinea anche Nicola Mattina nel suo blog), cita esempi virtuosi dei repubblicani americani, dimostra di conoscere bene il panorama internazionale, critica le primarie italiane (rischiando scomuniche interne al partito) e parla dei nonni come elemento fondamentale della relativa stabilità italiana (essendo i veri ammortizzatori sociali italiani). In più, cerca uno scontro diretto con i vertici del PD diversamente da altri leader di neopartiti riscaldati che sono in modalità "anti-qualcuno". Ha 35 anni, ossia meno della metà del nostro Premier, e un'esperienza di marketing e comunicazione (è dirigente in aspettativa dell'agenzia CHIL) che sfrutta a dovere. Parla a braccio, guardando il pubblico, presentandosi come persona normale, con abito informale ma senza esagerare (niente stucchevoli smanicate). Il viso non ha tratti particolari e carismatici ma questa può essere una sua forza.
    • Impatto sui propri pubblici di riferimento: Matteo Renzi è nel 2010 il sindaco più amato d'Italia, secondo quanto dice Fullresearch, davanti a Flavio Tosi (Verona) e Peppino Vallone (Crotone). Questo significa che, anche se un sondaggio non fa primavera, il lavoro che ha svolto nella Provincia di Firenze prima e poi in Comune è stato ben giudicato dagli elettori. Ossia, quello che conta davvero. Da notare anche che i primi due posti sono occupati da un 35enne e un 41enne, segnale forte di una voglia di cambiamento generazionale da parte dei cittadini.
    • Presenza sui media: tutti i media nazionali hanno messo insieme (un esempio) l'evento di Renzi a Firenze con quelli di Fini (a Perugia), di Bersani (a Roma) e di Vendola (a Milano) per analizzare la situazione politica italiana. Il che vuol dire che, sui giornali e nelle TV, lui ha assunto un'importanza di livello nazionale, come conferma anche il desiderio di un ex perenne uomo nuovo della politica italiana, come Veltroni, di allearsi con lui.
    • Contenuti: veniamo alla nota dolente. Come qualcuno giustamente osserva, i contenuti veri sono pochi e non troppo consistenti. Il documento che è stato partorito, punto centrale per analizzare cosa vogliono comunicare i "rottamatori", non ha una vera notizia, non esprime proposte concrete. Solo vaghi principi, tutti condivisibili ma poco utili per giudicare come si potrebbe passare dal "laboratorio di curiosità" (terz'ultima riga) ai fatti. Un gran numero di "bellezza" non serve allo scopo. Era un'ottima occasione per fissare pochi ma definiti obiettivi prioritari (ad esempio, banda larga, tutela del patrimonio culturale, diritti delle coppie di fatto, etc.) invece ci si è persi in una retorica che, sinceramente, più che quella obamiana mi ricorda quella adottata dall'attuale premier negli anni scorsi.
    Sintetizzando il giudizio, il progetto di "leader nuovo" della sinistra di Matteo Renzi parte con buoni auspici: ottime doti comunicative, buon rapporto con i media e con il proprio pubblico. Ora servono proposte concrete, fatti e idee per proseguire nel percorso: è su questo che si gioca la partita. E come ha ben capito il Presidente Obama, anche i buoni progetti non sempre portano a vittorie elettorali. Bisogna mettersi in discussione giorno per giorno. Un consiglio? "Ascoltare" più la rete e meno i media. Se Renzi lo facesse, potrebbe capire quello che ci stiamo chiedendo tutti, ossia se sotto il vestito ci sia un futuro leader o un altro perdente di successo, solo più giovane degli altri.

    (credits foto: www.firenzeinbici.net)

    martedì 9 novembre 2010

    La fiera delle conversazioni

    Con Ecomondo a Rimini ho chiuso il "giro di fiere" che mi ero prefissato di fare nel 2010 (con l'eccezione di Smau, saltato all'ultimo momento per motivi di lavoro) per tastare il polso degli eventi fieristici italiani e valutare il loro stato di salute in termini di capacità di fare comunicazione e fare business. Si che che il momento della fiera per una PMI italiana riveste un'importanza prioritaria a livello di investimenti in marketing e comunicazione: per questo volevo farmi un'idea precisa se nel 2010 questo investimento "valga la candela". Da Solarexpo/Greenbuilding (settore rinnovabili), SANA (settore alimentazione biologica e benessere) e SAIE/SAIEnergia (settore costruzioni ed edilizia sostenibile) ho avuto indicazioni utili, che ho avuto modo di discutere con addetti ai lavori anche a Ecomondo.


    La mia piccola analisi si è basata non solo su dati oggettivi ma anche sull'atmosfera che si respirava negli stand di fiere che avevo visto anche negli anni scorsi. Bene, l'esito è che la fiera non è più un momento di business ma di confronto e analisi del settore. Pochissimi biglietti da visita sono realmente interessanti per vendere i prodotti, è meglio fare tutto via mail durante il resto dell'anno: più facile, più veloce e più economico. Allora perché un'azienda partecipa a una fiera? Per tradizione e perché ci è sempre andata, perché raramente trova clienti di una certa importanza. Invece è verissimo che si tratta di uno dei pochi momenti in cui tutti i principali addetti ai lavori in Italia si trovano riuniti, hanno modo di parlare e di discutere. Il tutto si risolve in una gran mole di informazioni per intuire dove sta andando il loro settore, una forma di benchmarking semplificato, magari inconsapevole ma assai utile per annusare dove va il vento del mercato. Un'analisi seria di queste chiacchiere darebbe probabilmente risultati più utili rispetto alla tradizionale verifica dei vari indicatori (spesso di qualche anno precedente).

    Il gioco vale la candela? Investire 50.000 Euro per partecipare a una fiera rende poi in termini di vendite? Se tiriamo fuori il tanto decantato ROI, specialmente per una PMI, la risposta è no. Ma se calcolassimo un ROI in termini di idee per nuovi progetti e prodotti, il discorso cambierebbe. Faccio un esempio. Quasi sempre, in queste fiere gli addetti ai lavori parlavano solo ad altri addetti ai lavori. Nel settore ambientale, la differenza tra un pannello solare termico e uno fotovoltaico non viene specificata, viene data per scontata. Ma questo approccio si traduce poi in una carenza a livello di comunicazione ambientale se dobbiamo rivolgerci anche a dirigenti pubblici, imprenditori di altri settori, cittadini e studenti, i quali hanno bisogno di essere "formati" su queste cose. Chi ci pensa?

    In fiera ho così scoperto, per esempio, il sito Novambiente, creato dal consorzio Ente di Bacino Padova 2 (addetti ai lavori) per approfondire i temi legati alla normativa ambientale e alle ecotecnologie. Nato per rivolgersi ai professionisti del settore, si è evoluto per dare visibilità alle principali notizie legate all'ambiente e per dialogare con i propri utenti in modo semplice. Una bella idea, senza dubbio, che ho scovato in fiera e che mi ha portato a fare delle riflessioni in merito. Ah, quasi dimenticavo: a Rimini non ho trovato clienti. Teorema confermato.

    venerdì 5 novembre 2010

    Il Paese che vorrei

    Oggi ho assistito alla premiazione di Sergio Marchionne, che ha ricevuto il premio Pico della Mirandola nella città dove vivo e lavoro, insieme a quel genio di Fernando Botero. Questa onorificenza si ispira al più illustre cittadino mirandolese, Giovanni Pico, umanista e filosofo che, noto anche per la prodigiosa memoria, ha lasciato una traccia indelebile nella storia culturale italiana ed europea. Spiegando le origini del premio, è stato sottolineato il suo impegno nel ricercare una filosofia universale, nata dalla concordia delle diverse correnti di pensiero, che accolga correnti di pensiero antiche e cristiane, ma anche quelle espresse dal mondo greco, ebraico e islamico. Un dimostrazione di tolleranza intellettuale attualissima, che servirebbe approfondire oggi.


    Tornando appunto all'attualità, una parte dell'intervento di Marchionne la potete vedere qui sotto (i mezzi tecnici sono quelli che sono ma almeno si sente bene). E ha sottolineato un punto fondamentale dell'attuale situazione italiana. Io non sono mai stato un fanatico di Marchionne, ne ho sempre sottolineato le indubbie qualità di professionista e manager ma criticando anche il suo approccio, talvolta quasi supponente in certi atteggiamenti. Oggi ha espresso parole chiare e condivisibili sulla situazione italiana. "Non vedo nessun patriottismo e nessuna onestà nel far finta di vivere in un mondo ideale. Il nostro Paese non merita di essere adulato. Tutti sogniamo un'Italia grande, forte, che sappia conquistarsi il giusto spazio a livello internazionale. Ma volere bene a questo Paese non significa esaltarlo a tutti i costi, senza merito". Poi, esorta tutti a smettere di parlare e a rimboccarsi le maniche. Chiaro, diretto, incisivo.


    Rientrando in ufficio, apro siti e TV per vedere cosa è successo oggi. C'è stata la liberalizzazione delle connessioni Wi-Fi ma, ad oggi, sembra più uno slogan elettorale che una misura concreta, dato che non sappiamo nulla sulle norme di attuazione. Poi, sento che Bossi e Fini si devono parlare, che Baudo non ha commentato la cancellazione di "Bella ciao" e "Giovinezza". Insomma, le solite, inutili parole. Ecco, Mario Draghi interviene per segnalare che c'è bisogno di stabilizzare i precari. L'unica notizia interessante. Ho perso ogni speranza in questa classe politica ma le voci di Marchionne e Draghi tengono accesa una piccola fiamma. Cari politici, le nostre maniche sono già rimboccate. E dato che siete già in campagna elettorale, state attenti. Ci stiamo svegliando.

    martedì 2 novembre 2010

    Prendere l'iniziativa

    Due argomenti di perenne attualità: l'inazione di una Pubblica Amministrazione sempre più lontana dai cittadini e l'invisibilità di alcune categorie di lavoratori, in primis quelli autonomi, lasciati allo sbando da una normativa e una classe politica inadeguata. Sì, lo sappiamo tutti, ormai sono luoghi comuni, triti e ritriti. Perché parlarne? Perché se non lo facciamo noi, cittadini e lavoratori autonomi, non lo fa nessuno. Nonostante l'indifferenza delle amministrazioni a questo tipo di problemi, ci sono persone che non si arrendono. Anzi, si mettono insieme, riflettono sulla situazione e prendono delle coraggiose iniziative. Se porteranno a qualcosa di concreto non lo so. Ma intanto le persone si muovono, reagiscono, parlano, producono idee e proposte. Due esempi recenti? Il Manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione dell'ACTA (già pubblicato) e il Manifesto per l'Open Government, nato dall'iniziativa di alcuni brillanti professionisti che hanno deciso di mettersi insieme (in divenire).

    Il primo manifesto è nato per dar voce ai "lavoratori professionali autonomi, flessibili e indipendenti, che stanno a fianco delle imprese e della Pubblica Amministrazione quando serve, garantendo ogni giorno un contributo all’innovazione, alla creatività e alla diffusione della conoscenza". Basta singole lamentele sui tanti singoli problemi che lavoratori diversissimi devono affrontare ogni giorno (che non portano a nulla). Ora c'è una voce forte e autorevole, quella dell'ACTA, che tenta, davvero, di cambiare qualcosa. Il secondo manifesto è nato in modo diverso, creando de facto un associazione di "addetti ai lavori" (mentre l'ACTA esiste già da anni), ma con finalità molto simili in termini di iniziativa, non aspettando più "le risposte della politica ma intervenendo direttamente creando una base comune di partenza valida per tutti quelli che hanno a cuore l’innovazione del nostro Paese". Una particolarità? Il manifesto per l'Open Government aspetta di ricevere un nostro contributo, strizzando l'occhio al crowdsourcing. Una bella idea.

    Sono due esempi di proposte "dal basso", provenienti da professionisti con competenze ed esperienze pari (se non superiori) a coloro che dovrebbero agire e legiferare all'interno delle amministrazioni. L'obiettivo è quello di puntare a una vera e reale innovazione "facendo gruppo", coinvolgendo persone che si sono scontrate ogni giorno con problemi apparentemente non troppo complessi ma, di fatto, irrisolvibili a causa della burocrazia. E che si sono svegliate, hanno preso l'iniziativa. I politici che si scannano in prima serata e che poi vanno a mangiare insieme, al sicuro con i loro stipendi spropositati, lasciamoli là. Il loro finto teatrino non ci interessa. Noi non abbiamo tempo da perdere. 

    (foto credits: www.mentecritica.net)

    mercoledì 27 ottobre 2010

    Non perdersi in un bicchier d'acqua

    Qualche giorno fa è apparsa su molti quotidiani nazionali una pagina intera sulle virtù dell'acqua in bottiglia. Se non l'avete vista, la potete vedere qui. Mineracqua ha deciso di promuovere questa campagna per fare una verifica comparativa diretta tra le proprietà dell'acqua in bottiglia e quella di rubinetto. Alcuni blog, come Ecoalfabeta (ecco qui un post sul tema), hanno notato non solo l'effetto "rappresaglia" dopo una campagna della Coop in favore dell'acqua di rubinetto (eccola qui) ma anche le numerose inesattezze dei contenuti della pagina stessa. Dove sta la ragione? Lascio a voi il giudizio, ma dandovi la possibilità di fare una comparazione tra i contenuti della pagina pubblicitaria e una fonte informativa altrettanto autorevole, realizzata da una multiutility italiana:
    • L'acqua imbottigliata "sgorga pura da sorgenti protette e incontaminate". Basta leggersi le etichette per vedere che, molto spesso, non è vero. Ma non è quello il problema. Anche l'acqua di rubinetto non proviene da montagne innevate e pure, ma da "acqua di falda, a una profondità cha varia tra 60 e 300 metri". Basta che sia controllata e noi ce la beviamo volentieri. La multiutility dice che effettua ogni anno oltre 10.000 esami di laboratorio e analizza oltre 200.000 parametri. 
    • L'acqua minerale deve rispettare "precisi parametri di legge". Per legge, appunto, l'acqua di rubinetto ha limiti molto più rigidi delle acque minerali per quanto riguarda i valori di alcune sostanze (nota 1 del post di Ecoalfabeta). Un esempio? Ecco una bella e chiara tabella.
    • L'acqua minerale "raggiunge casa vostra con la purezza e il gusto originari".  Il trasporto viene fatto spesso per numerosi chilometri, con TIR, con condizioni ambientali non prevedibili. Difficile dare queste garanzie assolute, soprattutto ricordando il discorso della purezza (già contestato nel punto precedente).
    • L'acqua minerale è "senza paragoni", quella del rubinetto "è solo bevibile". Di oggettivo c'è poco in queste considerazioni. 
    Lascio a voi ogni considerazione. Io invece di pongo altre domande:
    • Perché la pagina pubblicitaria non cita il fatto che un litro di acqua di rubinetto costa circa 1.000 volte in meno di un litro di acqua in bottiglia?
    • Perché la pagina pubblicitaria non cita il fatto che per trasportare l'acqua in bottiglia ogni anno in Italia girano 300.000 TIR (e che ognuno con un litro di gasolio fa 5 chilometri, lasciandovi fare il conto delle emissioni in atmosfera)?
    • Perché la pagina pubblicitaria non dice che per produrre una bottiglia da 1 litro e mezzo occorrono quasi 90 grammi di petrolio, oltre 2 litri d'acqua e si emettono 160 grammi di CO2?
    Ne avrei altre ma mi fermo qui. Perché la pagina pubblicitaria chiude con questa frase: "Da un'informazione trasparente nascono scelte libere". Condivido. Per questo leggiamo le pubblicità ma ci informiamo anche con molte altre fonti, in primis blog e siti Internet. Uno è questoCi sono tutte le informazioni sulle acque in bottiglia (e loro non le vendono, le collezionano). Una cosa è sicura: non ci perdiamo in un bicchier d'acqua.

    martedì 26 ottobre 2010

    Vedere il mondo (del lavoro)

    Ieri sera guardavo Porta a Porta, si parlava di lavoro, di precarietà, di sindacati. Giro su La7 e più o meno venivano trattate le stesse tematiche. La mia reazione? Sentivo parlare di un altro Paese da persone che non lo conoscono neppure, se non per sentito dire. Non posso dire di essere sorpreso ma ho il brutto vizio di non essere immune da queste prese in giro. Questione di carattere. A questo punto, in questo mio spazio, voglio spiegare come lo vedo io il mondo del lavoro in Italia, con due proposte. Che succederà poi? Quasi sicuramente nulla. Ma intanto ci provo perché io questo Paese, al 48esimo posto a livello di competitività (sotto alla Lituania, tanto per capirsi), lo amo ancora, anche se non sono corrisposto.

    Il mondo del lavoro in Italia, per me ma non solo, è questo:
    • Il 79% delle aziende italiane ha lavoratori non in regola, ossia in nero (84% in Emilia Romagna). La fonte è qui.
    • Gli ispettori INPS hanno recuperato un miliardo e 502 milioni di euro nel 2009. Ne assumono di più? No, si bloccano le assunzioni e, anzi, diminuiscono. Non proprio un'idea geniale se vuoi incentivare la lotta all'evasione fiscale. La fonte è la stessa citata prima.
    • 5 milioni di italiani esercitano lavoro autonomo ma 300-400.000 di queste partite IVA sono finte, ossia nascondono un lavoro dipendente (fonte Il Giornale delle partite IVA, Ottobre 2010).
    • Oltre 400.000 contratti di lavoro a progetto in Italia (fonte Il Sole 24 Ore), che sono rinnovabili per un numero indefinito di volte, hanno parametri molto vaghi e non assicurano assolutamente livelli pensionistici da paese civile.
    • Oltre 300.000 stagisti in Italia (la fonte è qui). Secondo la legislazione italiana, lo stage non è in alcun modo considerabile come un rapporto di lavoro subordinato e quindi non è obbligatoria la retribuzione degli stagisti. Non proprio un esempio di equità da paese civile. 
    A mio parere, questa è una situazione non gestibile per il sistema aziendale italiano. Cosa avremo tra 10 anni? Un esercito di precari non formati e inefficienti, la costante necessità di aumentare gli ammortizzatori sociali (che ammortizzano ma non spingono nulla), nessun valore aggiunto per le aziende (che non hanno risorse produttive, competenti e motivate). Diciamolo chiaro: la Legge Biagi ha fallito. Sono passati sei anni e i risultati non ci sono, inutile attaccarsi a dati di comodo "in politichese" o far raffronti superficiali con altri Paesi. Per questo, propongo due cose, derivate dalla realtà che vedo con i miei occhi:
    1. Rivedere la legge Biagi, diminuendo le tipologie contrattuali e riportando in auge il contratto di formazione lavoro, oltre a prevedere minimi retributivi per gli stage: il CFL era una forma contratto equo che dava vantaggi sia alle imprese (che formavano le proprie risorse in modo serio e con una prospettiva) che agli impiegati (lavoro stabile per 12 o 24 mesi, non rinnovabile, o si viene assunti o si cerca un altro lavoro). Possiamo ripartire dal 2004 (io sono stato uno degli ultimi in Italia ad avere questo tipo di contratto). In più, che uno lavori gratis (con uno stage) è un'assurdità economica, oltre che logica.
    2. Collaborare con le associazioni di categoria: il sindacato è ormai una struttura obsoleta, che potrebbe andare bene solo per grandi aziende. In Italia, il 95% delle imprese ha meno di 9 impiegati. Il Ministero del lavoro deve poter dialogare con un numero definito di associazioni per definire protocolli equi per ogni macrocategoria di lavoratori. Non solo quelli "tutelati" da Ordini professionali. Siamo nel 2010, accidenti.
    I miei sono solo due sassetti dello stagno. Ma li mando via mail al Ministro Sacconi (oltre a offrigli la mia consulenza per aggiornare i contenuti del sito del suo Ministero). E già mi preparo alle nuove puntate di Porta a Porta, deprimenti anche senza plastici. Basta un sindacalista che parla di un mondo industriale morto e sepolto da più di 20 anni.

    lunedì 25 ottobre 2010

    Ecoballe utili ed eco-balle inutili

    Ho partecipato all'inaugurazione di un nuovo impianto per la realizzazione di combustibile da rifiuto a Marghera, vicino a Venezia. Senza voler entrare nel merito, dato che del Waste Marketing ne ho già parlato qualche post fa, mentre ascoltavo le presentazioni dei relatori ho fatto una veloce analogia col fenomeno del greenwashing. Il tema è attuale: l'ecologia è un tema "caldo", che fa breccia nella sensibilità delle persone e allora i miei prodotti devono essere "green". Non lo sono? Prendi una specifica caratteristica, ne esalti le doti di sostenibilità ambientale e trasformi il tuo prodotto dandogli una bella verniciata di verde. Caso raro? Recenti ricerche dicono che non è affatto così, anzi è un fenomeno in crescita.

    Bene, torniamo al mio evento. Avendo letto articoli sul greenwashing, stavo riflettendo su come comunicare efficacemente le caratteristiche sostenibili di un'attività, di un prodotto, di un'iniziativa. Assistendo alle varie relazioni, mi sono venute in mente le regole citate nell'articolo e ho fatto un veloce confronto:
    • Distrarre l'attenzione comunicando la propria generosità nel finanziare progetti, anche di dubbia rilevanza: durante l'inaugurazione, è stato detto in modo chiaro e ufficiale che "il sistema che abbiamo cominciato a costruire 15 anni fa vale circa cento milioni di euro". Informazioni chiare e dirette che spesso le aziende italiane non comunicano per un milione di motivi, di cui nessuno valido.
    • Negare le informazioni a supporto di quanto dichiarato (basarsi solo sull'annuncio): 250.000 tonnellate all'anno di rifiuti urbani in ingresso, di cui il 55-60% viene trasformato in combustibile da rifiuto da bruciare in una centrale termoelettrica, controllando le emissioni (dati messi online sul sito). Processo semplice e comprensibile, tecnicismi ridotti al minimo. 
    • Certificare da soli la propria sostenibilità (senza parti terze coinvolte): un rappresentante del Politecnico di Milano ha presentato una ricerca sul ciclo di vita del CDR. Un risultato su tutti: una tonnellata di combustibile da rifiuto permette un risparmio di 860 chilogrammi di CO2 fossile. Dato di ente terzo che spiega più di mille parole.
    • Utilizzare visual ("immaginate che ...") per comunicare un interesse che non c'è: all'evento la comunicazione era focalizzata solo sul "prodotto", ossia il combustibile da rifiuto. Niente evocazioni, niente campagne, niente parole in più. Semplicemente, "una visione di futuro che ha preso corpo" (citazione di Walter Ganapini, esperto del settore esterno alla società). Ora, non domani.
    • Non avere una visione sistemica della sostenibilità (farlo perché è la moda del momento): è stato ribadito che il progetto è iniziato oltre 15 anni fa e che ha visto numerosi Ministri coinvolti. "Senza questo impianto oggi saremmo in emergenza rifiuti come altre regioni" è stato detto. Impossibile dare torto a questa affermazione.
    • Sottolineare una singola caratteristica "green", quella che fa più comodo: durante il workshop che ha preceduto il taglio del nastro, si è spiegato nel dettaglio come funziona l'impianto, perché è stato scelto il modello di "cogenerazione all'italiana" (niente accezioni negative, solo un interesse prioritario alla produzione di elettricità invece di calore) invece di quello "alla danese" (priorità al calore e meno all'elettricità), quali risparmi di emissioni sono stati ottenuti (in termini di cifre su polveri totali, ossidi di zolfo, anidride carbonica fossile, etc.). Dati chiari, autorevolezza ampia.
    Un'inaugurazione semplice e coerente, informazioni chiare e dirette per i cittadini senza utilizzare una parola in più ma senza neanche una parola in meno. Di questo abbiamo bisogno. Non esistono solo prodotti "green" e lo sappiamo bene, li compriamo da decenni. Non esistono impianti che non fanno emissioni ma ce ne sono che le monitorano e le rendono minime. Dare una pennellata di verde a qualsiasi cosa non serve a niente. Dicendo balle, anche se sono ecoballe, non si va verso un futuro migliore. Anzi, si mette a rischio il proprio presente.

    P.S. A conferma della buona organizzazione dell'evento, ringrazio Francesca Faraon di Idecom per avermi inviato le slide che le avevo richiesto, al volo, mentre mi consegnava caschetto e pettorine per la visita all'impianto.

    martedì 19 ottobre 2010

    Internet e stampa, il delitto imperfetto

    "Noi pensavamo che Internet stesse uccidendo la stampa. Ma non è così". Questo è il titolo di un articolo pubblicato sul sito del quotidiano britannico Guardian. Che smentisce il delitto annunciato, citando dati dettagliati e difficilmente confutabili. Non c'è una correlazione diretta: alcuni giornali crescono sia in termini di diffusione che di accessi al loro sito, altri crollano in entrambi. Un esempio britannico: il quotidiano Daily Mail vende 300.000 copie cartacee in più rispetto al 1995 (quando il sito Internet non esisteva), in compenso il portale cresce anch'esso. Se la rete quindi non è la principale indiziata dell'omicidio della stampa, almeno per il momento, a chi dobbiamo guardare? Il discorso è un po' più complesso ed è necessario approfondirlo.

    Qualche tempo fa avevo scritto un post sul fatto che stiamo vivendo dentro al futuro dell'editoria. I dati che stiamo analizzando non sono univoci, ci portano a riflessioni diverse su come Internet e stampa possono e potranno convivere. Non si può pensare che un lettore, un giorno qualunque, abbandoni il quotidiano cartaceo e, in automatico, inizi a consultare un sito Internet. C'è bisogno di analisi più dettagliate sulle vendite, sugli accessi e sulle motivazioni reali di determinati cambiamenti. E ogni Paese ha la sua specifica storia. Ad esempio, il Daily Mail citato prima vende nel 2010 più di 2.100.000 copie, il Corriere della sera (il più diffuso quotidiano italiano) 500.000 copie. Ossia meno di un quarto. Sempre prendendo in esame il quotidiano di via Solferino, nel 2007 aveva una diffusione più alta del 2001, nonostante gli utenti di Internet in Italia fossero praticamente raddoppiati in 6 anni (da 8,5 a 17 milioni). I conti non tornano, il Guardian non si sbaglia.

    Gli esperimenti per trovare un nuovo modo di fare giornalismo continuano. In Italia è nato Lettera 43 (quotidiano creato e sviluppato esclusivamente online), il Sole 24 Ore sta lanciando la sua applicazione di Nòva per iPad ("la Vita Nòva", appunto) e altri stanno provando a testare il campo, come Blitz Quotidiano (che per titoloni e notizie quasi invasive ricorda vagamente il famoso Huffington Post, che a me non piace per nulla). Come ho già detto, il futuro non lo conosce nessuno (anche se le mie personalissime killer application saranno semplicità di lettura, personalizzazione e contenuti gratuiti) ma, a quanto pare, non abbiamo un'idea chiara neanche del presente. L'articolo del Guardian chiude con "... and more research, please". Perché un quotidiano italiano non approfondisce questo tema? Avrebbe almeno una copia venduta in più. 

    (foto credits: 
    http://www.gliitaliani.it)

    giovedì 14 ottobre 2010

    C'è chi dice no*

    Facendo la "rassegna quotidiana" dei miei blog di riferimento, leggo un bellissimo post pubblicato da Giovanna Cosenza (Disambiguando). Una giovane insegnante ha avuto il coraggio di dire no a una proposta di lavoro in un liceo scientifico. Perché la "filosofia" della scuola prevede di dare i 12 punti all'insegnante ma di "non pagare nessuno". Ora, per chi legge potrebbe sembrare ovvio e facile dire di no alla proposta di fare 18 ore settimanali di insegnamento in 5 classi in modo del tutto gratuito. Siamo davvero sicuri che sia così semplice?

    Questo tema mi sta a cuore perché ultimamente stavo solo cercando di tirare fuori le parole giuste per trattarlo. E questo post segue idealmente quello che ho scritto qualche giorno fa sui "costi dei contenuti". Quanti ragazzi giovani lavorano gratis come stagisti, magari facendosi anche numerosi chilometri in macchina, con le aziende che "li pagano in formazione" (motivazione grottesca e meschina)? Quante agenzie e consulenti fanno alle aziende prezzi stracciati, dei veri "sottocosto" da supermercato (senza averne i vantaggi), perché "c'è la crisi, non si può dire di no"? E, tornando al post iniziale, tutti gli altri insegnanti di quella scuola che lavorano gratis e che, finora, pare siano stati zitti? Parliamo della realtà. Nel settore dove io lavoro, nella consulenza, non ci sono onorari minimi, perché si tende a favorire la libera concorrenza. Però il dibattuto è acceso e una recente sentenza della Corte di Cassazione sui minimi tariffari degli avvocati ne è la prova: sono stati riconosciuti come sussistenti tutti i requisiti che fondano la legittimità delle dette tariffe minime in relazione al diritto dell'Unione europea. Anche Il Sole 24 Ore ha trattato l'argomento, sostenendo che la Cassazione vuole evitare una concorrenza che si traduca nell'offerta di prestazioni "al ribasso", tali da poter determinare un peggioramento della qualità del servizio.

    Torniamo a noi, che non siamo la Cassazione. Cosa possiamo fare? Prima di tutto, evitare di diventare "carne da cannone" sul mercato. Ogni categoria dovrebbe realizzare un patto professionale all'interno delle proprie organizzazioni di riferimento (che si possono anche auto-creare) per determinare dei limiti minimi di prestazione. La mia idea è quella di un limite minimo di riferimento in base agli anni di esperienza nel settore, condiviso e trasparente: per chi ha 5 o più anni di esperienza, un minimo di 80-100 Euro all'ora di prestazione professionale. Difficile? Impossibile? Può darsi. Intanto, proverò a sentire l'ACTA. L'unica cosa a non fare è generare una guerra tra poveri. Perché le aziende hanno bisogno di persone serie e competenti a cui rivolgersi per avere quel valore aggiunto che non possono ottenere da personale interno. E potrebbero, così, ottenere maggiori garanzie per avere un rapporto tra costi e benefici ancora più favorevole. Per iniziare, seguiamo l'esempio del post iniziale: c'è chi dice no. Brava Giulia*.  

    * Omaggio a un grande poeta italiano, Vasco Rossi.

    mercoledì 13 ottobre 2010

    Il costo dei contenuti

    "Mi piacerebbe lavorare con lei. Ma cosa fa esattamente? E quanto mi potrebbe costare?" Si potrebbe riassumere con questa frase l'intero lavoro di un consulente in comunicazione. L'obiettivo è infatti quello di far capire a enti o aziende interessati a comunicare, in modi diversi e con strumenti eterogenei, quale valore aggiunto puoi dare e quanto "pesi" in termini di investimento. Non è facile ma è il lavoro non lo è quasi mai. In questi giorni sto incontrando molti responsabili aziendali che, indirettamente, mi fanno sempre queste domande. Rispondere per metafore è utile e opportuno ma non sempre si ha il tempo necessario per fare un discorso strutturato e facile da capire. Allora mi sono inventato un luogo "ibrido", un po' sito, un po' blog, un po' curriculum online, preposto a rispondere a queste domande: www.riccardopolesel.com.

    Ovviamente, un nuovo sito non è una notizia (come il mio animo di giornalista mi spiega, paziente). Soprattutto, se è fatto in modo semplice e diretto come il mio. Però sentivo l'esigenza di dare una risposta convincente a quelle domande, con parole comprensibile a tutti (più o meno). Particolarmente importante è stata la riflessione sulla questione del costo. Per chiunque lavori come libero professionista e offra servizi di consulenza, quantificare in Euro sonanti la propria creatività, le proprie idee, il proprio stile di scrittura non è facile. Anzi, è uno dei passaggi più complessi da affrontare. Tutto può essere troppo o troppo poco. Io ho scelto di basarmi sulle mie ore di lavoro, conoscendo i costi che avevo in agenzia. Ho fatto una verifica veloce con colleghi nella mia stessa situazione e il responso è stato confortante. Sono sul mercato e sono competitivo.

    Spesso, tuttavia, le aziende ci percepiscono come "cari". Perché? Un'offerta, scritta nera su bianco su un foglio, è una cosa che ha sempre un impatto (si parla di denaro). Ma spesso è una reazione più emotiva che obiettiva. Un esempio? Supponiamo che proponga un'attività per due mesi di lavoro al costo di 3.000 Euro, tutto compreso. Accidenti, si direbbe. Invece per l'azienda un professionista con 10 anni di esperienza come me costa, in due mesi, come un dipendente che prende 900 Euro netti al mese (1.200 Euro netti al mese per un collaboratore a progetto). Alla luce di ciò, ho voluto ribadirlo anche sul mio sito. Perché se un'azienda mi fa le fatidiche domande, ora ho una risposta pronta. Anzi, un link.  

    venerdì 8 ottobre 2010

    Il mondo delle PMI - La Intranet

    "Sono un'azienda e vorrei sviluppare un nuovo progetto di comunicazione interna. Mi potrebbe aiutare?". Volendo avere un'idea complessiva dello "stato dell'arte", vi rispondo che si possono consultare parecchi siti, italiani e stranieri. Tante buone idee, tanti suggerimenti. Ma se dovessi darvi un consiglio spassionato, rivolto specialmente a chi non ha molto tempo, indico sicuramente il sito dell'esperto del settore (oltre che "amico di social network") Giacomo Mason: Intranet Management. Qui in due ore si può trovare praticamente tutto lo scibile sull'argomento, dalle piattaforme ai contenuti wiki, dal microblogging interno al knowledge management da inserire. Particolarmente illuminante è stata, appunto, la mappa dei contenuti per Intranet, dove è segnalato, in modo molto intuitivo, tutto quello che ci dovrebbe essere in una Intranet aziendale. Ve lo consiglio, specialmente se siete una PMI.

    Per quanto mi riguarda (sono una sorta di piccola azienda anch'io), sul sito ho trovato anche decine di collegamenti ad altri siti e blog (italiani e stranieri) per approfondire le varie tematiche e realizzare un progetto. Il tutto in modo veloce, efficace e ... perfettamente gratuito. Eppure appena possibile mi comprerò sia il nuovo libro di Giacomo (nella foto) che quello vecchio. Perché? Perché così avrò due punti di riferimento, perfettamente complementari, per accrescere la mia formazione sul tema in modo strutturato e approfondito: il libro e il Web. Una dimostrazione su come si possa guadagnare con il gratis. Vi ricorda qualcuno? Vi do un indizio.

    martedì 5 ottobre 2010

    Ti presento le partite IVA

    Ho comprato il Giornale delle Partite IVA, creatura di Francesco Bogliari (che non ha una partita IVA) che va a colmare una lacuna informativa clamorosa. Chiunque abbia provato a trovare informazioni su come aprire una partita IVA, su quali vantaggi/svantaggi offre e su quale regime scegliere, sa a cosa mi riferisco. Testi "copiaeincollati" in burocratese, quasi sempre inutili per chiarirsi davvero le idee. Ora c'è questo giornale, nuovo di zecca anche se con una grafica molto tradizionale, lo trovate in edicola (io l'ho preso in uno sperduto giornalaio della bassa modenese, quindi si trova anche fuori dalle metropoli). Una veloce recensione fatta dal sottoscritto, che la partita IVA e un blog dedicato (direttamente e indirettamente) a questa vita ce l'ha da un anno:

    Pareri positivi:
    • Esserci. Ora 3,5 milioni di persone, gli "invisibili", hanno la possibilità di trovare qualcuno che parla di loro con cognizione di causa, con competenza e con capacità di scrivere. Non è cosa da poco.
    • Articoli focalizzati sui temi più complessi della libera professione (pensioni, INPS, chiarimenti sulle caratteristiche dei vari regimi, tassazione, maternità, etc.) spiegati con un lessico sufficientemente semplice da capire.
    • Sezioni sui pareri degli esperti, sempre utili quando non hai una persona di fiducia a cui chiedere (per quanto mi riguarda, aprire la partita IVA senza un esperto di fiducia è molto, molto rischioso).
    • Poche pagine pubblicitarie, molti contenuti.
     Pareri negativi:
    • Il costo. 4,50 Euro è un prezzo considerevole per una rivista mensile, al di là della qualità dei contenuti (Wired, a mio parere il mensile italiano di riferimento, costa 4 Euro ma con 30 Euro ci si abbona per due anni).
    • Le poche pagine dedicate alle testimonianze delle partite IVA. Qualche box qui e là (che sono le parti che ho letto con maggiore attenzione) ma si può fare molto di più, dando maggiore spazio ai tantissimi casi di successo del mondo reale.
    • L'assenza di riferimenti al Web. Avete una Fan page su Facebook e noi liberi professionisti utilizziamo un sacco di strumenti (efficaci e con bassi costi) a disposizione su Internet. Non sarebbe meglio parlarne di più?
    • Impostazione grafica della copertina: le pagine interne sono realizzate in modo semplice ma curato, mentre la copertina è nettamente migliorabile (in primis per impatto cromatico e immagini scelte).
    La cosa più importante è che il secondo numero lo comprerò sicuramente, quindi il parere è positivo. Perché 3,5 milioni di persone hanno il diritto di avere qualcuno che, oltre a Dario di Vico del Corriere della sera, parla di loro. Ho però una personalissima considerazione finale: le (poche) pagine pubblicitarie sono di istituti bancari (tra i nostri peggiori nemici, diciamocelo chiaramente), fiere, libri di "allenatori mentali", agenzie pubblicitarie e riviste sullo yoga. So perfettamente che la pubblicità è vitale per qualsiasi giornale, soprattutto uno neonato, ma sinceramente queste non danno un grande valore aggiunto. Non vuole essere una critica, solo una constatazione di un lettore che ha accolto il giornale con entusiasmo. In bocca al lupo.

    lunedì 4 ottobre 2010

    Waste marketing: nel cassonetto c'è una ricchezza

    Qualche post fa si parlava di Green Marketing e del perché un cittadino medio non conosce aziende attive nel settore delle biomasse. Perché sono fonti di energia rinnovabili di cui l'Italia è ricchissima ma, purtroppo, sono "brutte, non comunicabili". Un altro esempio sono i rifiuti, ambito che ho già trattato. La cronaca  incombe. Tutti abbiamo visto cosa sta succedendo a Napoli e dintorni. Non voglio entrare nel merito di questo ma, avendo collaborato con aziende attive nel settore della raccolta, nel riciclo e nel riutilizzo dei materiali, cosiddetti, di scarto, porto la mia testimonianza. Un mondo interessantissimo il "Waste Marketing" (l'ho coniato io ora, diritti riservati). Andando per ordine, ho avuto modo di vedere e conoscere l'intero ciclo dei rifiuti:
    • La raccolta, compresa quella differenziata, lavorando alla realizzazione dei contenuti del sito del Gruppo Veritas (la prima multiutility del Veneto per dimensioni e fatturato).
    • La selezione, collaborando con Eco-Ricicli Veritas (società specializzata nel separare rifiuti differenziati, in particolare VPL, ossia Vetro Plastica Lattine, e carta) per lo sviluppo del loro nuovo portale;
    • Il trattamento, la valorizzazione e lo smaltimento, operando insieme a Ecoprogetto Venezia per creare i contenuti di un nuovo sito che parlasse anche del controllo delle emissioni in atmosfera. 
    Tutti e tre i siti sono online, pronti da consultare. Lo sapevate che vicino a Venezia (dove io sono nato e vissuto fino a poco tempo fa) ci sono due impianti all'avanguardia in Europa per la selezione e il trattamento del vetro? E che dai rifiuti si può ricavare "Combustibile derivato da rifiuti" (il CDR) da utilizzare in termovalorizzatori e che genera emissioni molto al di sotto dei limiti di legge? E che meno del 7% dei rifiuti totali va in discarica? I rifiuti sono una ricchezza, frase che può apparire paradossale ma che non lo è per nulla. Se opportunamente gestiti, i vari materiali possono avere una nuova vita, come prodotti e fonti di energia. Ma non si comunica a sufficienza. Pensate davvero che cittadini e aziende non siano interessate a sapere dove vanno a finire i prodotti che buttano nei cassonetti? Sbagliate.

    La cronaca ci dice che sta per diventare operativo il SISTRI, il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, che utilizza la tecnologia per "tracciare" il percorso dei rifiuti. Ovviamente, le proroghe e i rinvii "all'italiana" sono numerosi ma è una novità da tenere d'occhio. Quando buttate via del vetro, pensate al fatto che si decompone naturalmente in 4.000 anni. Mentre può essere riutilizzato infinite volte, se opportunamente trattato. Ci sono macchine a scansione ottica che dividono i vari tipi di vetro analizzando pezzettini grandi come biglie numerose volte al secondo in base al colore. Tutto questo, a pochi chilometri da casa tua. Come è successo a me. L'innovazione sta anche nei rifiuti che vivono due volteMai sentito parlare di Terracycle?