martedì 30 marzo 2010

Una discussione socialmente utile (per le aziende)

A cosa servono i Social media? A fare discussioni di elevata qualità tra persone molto competenti. Va bene, non succede sempre (e neanche spesso) ma ieri sera su Friendfeed c'è stato un thread molto interessante, sul tema "Social media: azienda o agenzia?", iniziato da questo post. Nei vari interventi, c'era chi giudicava più opportuno affidarsi a risorse interne (dato che è comunque l'azienda che deve "parlare") oppure utilizzare il supporto di professionisti o agenzie esterne (che sono più competenti e preparati in materia). Per quanto mi riguarda, ritengo che la soluzione ottimale dipenda sempre dai casi specifici ma un approccio che preveda una "formazione" esterna e uno "sviluppo" successivo interno mi sembra una buona idea.

L'azienda dovrebbe rivolgersi all'esterno per farsi spiegare inizialmente come funzionano i Social media, perché può trovare professionisti preparati ed esperti in grado di evidenziare quale approccio può andare bene per il loro specifico caso. Successivamente, dovrebbe investire su proprie risorse interne (in tutti gli ambiti aziendali, mica solo nel marketing) per sviluppare il discorso. I consulenti esterni dovrebbero,infatti, "lavorare per rendersi superflui" (la definizione, brillante, è di Alessandra Farebegoli, ma già Gianluca Diegoli aveva scritto a questo proposito). Il problema è che spesso le imprese fanno esattamente il contrario: si affidano a risorse interne per capire cosa sono i social media (responsabili che guardano il profilo di Facebook della segretaria) e poi si affidano a risorse esterne per sviluppare il progetto. Dimostrando che non conoscono né i social media né le reali esigenze dell'azienda stessa.

L'impatto che i social media stanno avendo non può essere limitato alla sola sfera marketing-comunicazione-pubblicità. E' tutta la struttura aziendale che deve fare una riflessione sullo sviluppo di questa nuova forma di comunicazione: essere o non essere, "socialmente" parlando. Dal customer care all'ufficio personale. Perché c'è bisogno di una policy condivisa, tutti devono sapere cosa sta facendo l'azienda e dove vuole andare. Per poi poterne parlare, bene o male, ma sempre con cognizione di causa. La comunicazione nei social media (esterna) deve essere coerente anche con quella interna, si dice. Concetto molto giusto. Ma quante aziende che stanno pensando di utilizzare questi nuovi, potenti strumenti oggi fanno una vera comunicazione interna, al di là di qualche lettera in vetuste bacheche e un paio di formalissime mail all'anno? Poche.

Per essere davvero "sociali", le aziende dovrebbero prima fare una serena valutazione di cosa sono e di come vorrebbero/dovrebbero essere. Mettendosi in discussione. Entrando nei panni di chi le guarda da fuori ma, anche, da dentro. Una risorsa esterna può cercare di far capire questo concetto ma poi è l'azienda che deve mettersi in gioco (in tutti i sensi). L'abito non fa il monaco, è il monaco che fa il monaco. E questa è di Seth Godin.

giovedì 25 marzo 2010

Corporate blogging? Tutto qui!*

Quotidianamente, ci si imbatte in persone, potenziali clienti, che ti chiedono: "mi scusi, mi permetta una domanda: ma cos'è esattamente un corporate blog?". Come accade a chi mi chiede cosa faccio di lavoro, le soluzioni (alternative) che adotto sono due:
  • Inizio a parlare dell'importanza di usare bene gli strumenti di marketing e comunicazione per promuovere il proprio brand e i relativi prodotti, spiegando che posso suggerire loro come fare;
  • Inizio a citare esempi, soluzione più semplice ed immediata ma che spesso non consente di approfondire il discorso.
Le due soluzioni hanno avuto alterni successi nel passato, spesso perché non si trovano soluzioni pratiche per coniugare le due cose. Ora, per la questione del corporate blog, ho una risorsa in più: c'è Corporate Blog Italia (ringrazio Kawakumi e, come spesso accade, Gianluca di [mini]marketing per la dritta). Gli autori dicono che non vuol essere una semplice directory "quantitativa" (ce ne sono già troppe e, molto spesso,  quasi inutili) ma un luogo dove "recensire le eccellenze del panorama italiano [...] con l’obiettivo (altissimo, I know!) di diventare una sorta di “Gambero Rosso" dei Blog Aziendali Italiani". Insomma, un posto dove trovare, in poco tempo, le migliori case history tra i blog aziendali nazionali, analizzate e commentate dagli utenti. Finalmente, ce n'era bisogno. La descrizione di Corporate Blog Italia finisce così: "Credo che una raccolta di esempi eccellenti in tal senso possa essere utile per chi voglia avvicinarsi al difficile mondo del corporate blogging. Tutto qui". Approvo e sottoscrivo. Complimenti per l'idea.

* Il titolo di questo post è protetto da copyright ma, visto che Kawakumi riteneva fosse un claim perfetto, gli concedo la licenza gratuita di utilizzo. :-)    

martedì 23 marzo 2010

Il sorprendente mondo del B2B

Il mondo del B2B riserva sempre molte sorprese. Metaforicamente parlando, è come un iceberg di cui vedi e conosci solo una minima parte, tutto il resto sta nascosto. Una sorpresa, molto positiva, mi è arrivata oggi via mail. Premessa: su questo blog cerco di scrivere sempre di cose per me interessanti (o quantomeno mi sforzo di farlo) sul marketing e sulla comunicazione ma, visto che non si vive di solo blogging, nella vita reale mi devo guadagnare la pagnotta sul campo. E spesso non si tratta di terreni facili. Avendo un cliente attivo nel settore automazione e motion control (giuro, non è affatto male), ho partecipato alla Fiera MC4 di Bologna come semplice addetto ai lavori. Iniziativa relativamente piccola e molto "verticale", ma erano presenti i principali protagonisti del settore in Italia. Assistito a qualche presentazione, organizzato le cose da fare con la responsabile marketing e comunicazione del mio cliente (molto valida e pronta ad ascoltarti davvero, cosa affatto scontata), letto qualche articolo. Tutto bene, fin qui.

La notizia vera è di oggi. Mi arriva una mail in cui mi segnalano che è disponibile una delle presentazioni fatte alla Fiera. Bene, magari poi me la guardo, appena ho tempo, sono così impegnato ... aspetta un attimo. Il mittente è un "System Engineer" della sede italiana di una nota multinazionale del settore e ha messo la presentazione su Scribd. Notevole, penso, visto che non è un settore troppo aperto a parole come "condivisione" e "online", specialmente se presenti nella stessa frase. Incuriosito, guardo più giù: ci sono i bottoni per seguire l'azienda su Social Network (Facebook, YouTube, Twitter e ... Friendfeed!). Rivoluzionario. Un'autentica azienda B2B del settore automazione che si apre ai Social Media?! Ormai la mia curiosità galoppa. Vado a vedermi la presentazione, tecnica ma non fatta male, e alla fine trovo i riferimenti del "System Engineer": ha pure un suo blog (su piattaforma Blogger)!

Le certezze che ho sul fatto che le aziende B2B in Italia paghino duramente un "cultural divide" su queste tematiche non sono per niente incrinate. Ma il fatto che questa impresa, sede italiana di una multinazionale americana, abbia dato la possibilità a un suo responsabile (tecnico, per giunta) di sviluppare questo approccio così innovativo per il settore mi fa ben sperare per il futuro. Volete sapere chi sono? Qui trovate il sito dell'azienda (personalizzabile, tra le altre cose) e qui il blog del System EngineerComplimenti a entrambi!

lunedì 22 marzo 2010

Accesso negato, insuccesso dimostrato

Il blog della Harvard Business Review mi dà una bella notizia: la conferma che quello che avevo scritto nel novembre scorso, un post dal titolo "accesso negato, insuccesso assicurato", non era campato in aria. I dipendenti che lavorano in aziende dove si può accedere ai social media e ad altri siti talvolta "incriminati" (come quelli per consultare la posta elettronica) sono più produttivi, più motivati e più aggiornati sulle dinamiche odierne. Sono citati casi concreti, fonti attendibili, non solo filosofia. Un grazie al blog Common Sense Dispenser di Alessandra Farebegoli per avermi dato questa bella notizia, che rende più accettabile una giornata grigia, piovosa e troppo lunga.

mercoledì 17 marzo 2010

La rivoluzione dei contenuti: una strategia

La gestione dei contenuti è un tema che mi sta molto a cuore perché lo ritengo "rivoluzionario" (un altro post sul tema). Per questo, faccio un piccolo esperimento. Digito "Content Management" su Google, attendo i risultati, leggo. A parte una scarna pagina di Wikipedia, tutti i primi risultati riportano anche il termine "System" alla fine. Cioè, applicazioni CMS, software, prodotti. Sicuramente i vari SEO hanno lavorato bene però la cosa mi fa pensare. Come già detto qualche giorno fa, siamo in una Age of Innovation di cui ci renderemo davvero conto solo tra qualche anno. Oggi, probabilmente, i nostro occhi sono ancora focalizzati sulle fantastiche prestazioni degli strumenti e delle applicazioni tecniche di cui possiamo disporre (tutto il mondo che va da Facebook all'iPad) e poco ai contenuti che vengono "trasportati". E forse sta qui la vera, nuova frontiera: la gestione dei contenuti sul Web.

Il content management sembra una cosa piuttosto vecchia ma è solo apparenza. L'evoluzione della tecnologia a disposizione, velocissima, non è stata ancora seguita da un analogo processo per quanto riguarda i dati e le informazioni che essa si occupa di gestire e distribuire. Un esempio classico: chiunque può consultare una moltitudine di siti Internet, tantissimi sono "costruiti" bene ma quanti sono "scritti" bene? Quanto ci mettiamo a trovare le informazioni che ci interessano davvero? E siamo soddisfatti di quello che reperiamo? Come dice Kristina Halvorson nel suo libro "Content Strategy for the Web", di grande successo negli Stati Uniti (il che è tutto dire), "fare una strategia relativa ai contenuti è un'impresa complicata. Pianificare la realizzazione, la distribuzione e la gestione dei contenuti richiede input provenienti da molteplici fonti, di cui la grande maggioranza sono esseri umani. E questo vuol dire che è una cosa complicata".

Spesso le organizzazioni che vogliono mettere contenuti sul Web non hanno né una chiara idea di cosa hanno già a disposizione né di quello che vogliono far pubblicare davvero. Per questo, spesso si genera uno strano processo per cui qualunque documento, immagine o video realizzato con un minimo di criterio debba essere messo su Internet. Tralasciando un particolare: non interessa a nessuno, tranne a quelli che l'hanno realizzato (spesso per tutt'altri motivi). E' vero che il Web offre spazi teoricamente immensi (pensiamo a YouTube) ma questi devono essere occupati con una strategia definita alle spalle. Kristina Halvorson dice esplicitamente "Do less, not more". Eccitati dalle potenzialità immense offerte dal Web, social media in primis, ci sembra un concetto strano. Serve riflessione, che ne dite?

lunedì 15 marzo 2010

Uno sguardo sul lavoro, il mio

Su questo blog mancava qualcosa. Dico chi sono, come la penso, come la vedo ma non cosa faccio in termini concreti. Per questo ho deciso di inserire una nuova "finestrella": i miei progetti (giù a destra, sopra la foto!). Poca teoria (già si parla tantissimo di Web 2.0, rivoluzione "sociale", cultural divide ...) e molta pratica. Cosa propongo ai miei clienti, quali sono gli obiettivi e gli strumenti che intendo utilizzare. Ovviamente non c'è tutto ma c'è molto.

La cosa che mi sono sempre chiesto è perché, nel nostro lavoro, quando si approccia un cliente gli si parli di massimi sistemi, di teoria del marketing e altre belle cose ma quasi mai dei nostri casi di successo. Non mi sono dato una risposta. Forse perché bisogna chiedere alcune autorizzazioni? Bene, io lo faccio. Qui sotto c'è una breve presentazione che spiega come io sia riuscito a collaborare in modo attivo e proficuo con una grande azienda (2mila dipendenti) per realizzare il loro nuovo sito aziendale. Si poteva farlo meglio, più innovativo, più aperto ai social media? Certamente. Ma questa è la realtà. E come diceva Philip Dick, "la realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce".

Case history Gruppo Veritas

venerdì 12 marzo 2010

Ascoltare, per non morire

Alcuni dati di fatto. Gli investimenti in pubblicità online hanno superato quelli sui quotidiani negli Stati Uniti, mentre in Italia i primi raggiungono circa il 10% della torta complessiva. Secondo gli ultimi dati Audiweb, inoltre,  24 milioni di italiani sono online e trascorrono mediamente 1 ora e mezzo al giorno su Internet. Come si coniugano questi due dati? In un unico, semplice, chiaro assunto: per le aziende italiane c'è un'opportunità clamorosa. Specialmente per le PMI, che hanno a disposizione uno strumento dal potenziale enorme da sfruttare per le loro iniziative di marketing e comunicazione.

Altri dati di fatto che si riferiscono al prossimo futuro. Gli editori devono trovare nuovi modelli di interazione con tutte quelle persone che ora non solo ascoltano o leggono ma parlano e scrivono su Internet, sul piatto c'è la loro stessa sopravvivenza. L'evoluzione delle relazioni sul Web sta, inoltre, creando una nuova generazione di persone che farà business attraverso Internet, con nuovi modelli, e le aziende dovranno essere innovative, flessibili e aperte al confronto. Non solo per sopravvivere ma per crescere. La loro prima, grande necessità è aprire un browser e "ascoltare" davvero cos'è la rete oggi. Ha ovviamente i suoi difetti ma questo è il futuro, bellezza. E' bene che ce lo diciamo chiaro oggi per non pagarne le conseguenze domani.   

giovedì 11 marzo 2010

Il Cultural Divide in diretta sul Web

Oggi ho sentito, in diretta streaming, Lawrence Lessig parlare alla Camera dei deputati durante i convegno 'Internet è libertà. Perché dobbiamo difendere nella rete'. Certe persone ti aprono prospettive apparentemente semplici ma intrinsecamente rivoluzionarie. Una frase su tutte e per tutte: "La guerra contro Internet è una guerra contro i nostri figli". Parole semplici per definire un concetto praticamente universale. Alla fine del convegno, ricco di relatori e introdotto da Gianfranco Fini (non brillantissimo il suo speech), è intervenuto il viceministro Paolo Romani. Una frase del politico su tutte e per tutte: "Ho cercato porno su YouTube ma non l'ho trovato". La vera utilità di questa iniziativa è stata quella di mostrare su Internet la vera faccia delle cose in Italia, indicando chi ne sa e chi non ne sa (come hanno detto giustamente Marco Massarotto, gba e altri su Friendfeed). Il "cultural divide" in diretta sul Web, con la partecipazione degli utenti via Twitter (nessuno schermo dove leggerli, ma eravamo alla Camera, suvvia).

Sempre oggi è iniziata sul portale del Corriere la trasmissione "Mentana Condicio". Essendo state "spente" tutte le trasmissioni di approfondimento sulla TV per "par condicio", Enrico Mentana ha pensato bene di cavalcare la questione e portare i confronti sul Web. Magari utilizzando Internet per coinvolgere gli utenti e "invitarli" dentro al dibattito, penso io. Mi sembra una bella idea. Ma poi guardo la trasmissione. Ha esattamente lo stesso, vecchio, stanco, inutile, fastidioso format della televisione, con i politici contrapposti che si scannano per nulla e sul nulla (me li vedo, poi, a bere il caffè insieme). E chi la vede non può, in alcun modo, partecipare, dire la sua, commentare, domandare. Pare che Santoro voglia fare qualcosa di simile. Cioè, questi pensano che lo schermo è sempre quello (qui ho i tasti, là il telecomando) per cui va bene lo stesso prodotto. Una frase su tutte e per tutte: "Lo giuro sui miei figli" (detta da Ignazio La Russa). Che imparino a capire dai propri figli cos'è Internet, altro che fare odiosi giuramenti. Com'è già lontano Lessig due ore dopo.

"In Web veritas", un'idea di blog nel settore del vino

Leggevo i contenuti del nuovo libro di Massimo Carraro, dallo strepitoso titolo "Un etto di marketing". Facendo questo, mi imbatto nel caso di successo di un piccolo produttore di vino toscano che ha creato un proprio blog. Il caso vuole che, qualche settimana fa, questa azienda sia stata al centro di una bellissima conversazione con un mio potenziale cliente, anche lui piccolo produttore di vino ma, in questo caso, emiliano. Avevo trovato il blog in rete, apprezzando l'idea, la passione e le modalità utilizzate da questo simpatico imprenditore. E l'avevo citato come un caso da replicare alla persona che avevo davanti, soprattutto visto che in qualsiasi attività legata al vino le "relazioni" sono fondamentali, da tempo immemore. Evidentemente, i buoni blog sono buoni blog per molti.

L'incontro è avvenuto a pranzo, davanti a crescentine, tigelle e un suo ottimo vino rosso (ça va sans dire). E già questo dimostra quanto l'imprenditore sia naturalmente portato alla comunicazione. Sono rimasto quasi sorpreso dal fatto che, in un settore praticamente vergine come quello dei produttori di vino, lui avesse già pensato alla creazione di un proprio blog aziendale durante le scorse feste di Natale, in una pausa di riflessione. Avendo già centinaia di contatti email a cui inviava una costante newsletter sulle novità dell'azienda, della vendemmia e di vari eventi, gli era venuto naturale pensare alle potenzialità offerte dal Web. E creare un blog era stata una delle prime idee, anche se ancora non si era passati al lato pratico. L'incontro è proseguito su questo tema, con reciproco interesse. Ero favorevolmente sorpreso dal fatto che questo piccolo produttore, non proprio un ragazzino, fosse così aperto alle nuove opportunità "sociali" che Internet offre. E, soprattutto, non mi ha fatto la solita domanda ("ma quante bottiglie in più posso vendere?") ma una ben più interessante: "ritiene che grazie al blog possa migliorare le relazioni con le persone che sento già via email e telefono e crearne di nuove?". Un piccolo produttore può arrivare dove responsabili marketing di grandi aziende non riescono ancora? Ebbene sì, c'è la mia testimonianza diretta.

Alla fine, non abbiamo firmato nulla, ne stiamo ancora parlando. Ma gli ho assicurato che gli avrei fatto avere una mia idea su come il blog potesse essere realizzato, valida per il suo caso o per quello di altri produttori di vino. Ovviamente, una consulenza del tutto gratuita (vista anche la bontà del pranzo).

Questa è la mia idea. E gli è piaciuta.

martedì 9 marzo 2010

Strange days*

Una storia vera. A un responsabile marketing di un'azienda arriva una mail da parte di un'agenzia di comunicazione: stanno realizzando la nuova brochure istituzionale di un cliente dell'azienda e vorrebbe includerli in uno spazio "interamente dedicato ai più importanti collaboratori e partner". Niente di innovativo ma non male come idea. Mi sono battuto per anni con svariati clienti (e alterni esiti) per includere all'interno di brochure, corporate magazine e siti aziendali temi e notizie dedicate ai loro partner, per dimostrare concretamente i vantaggi dei loro prodotti o della rete di vendita con testimonianze dirette. "Ma facciamo loro pubblicità gratuita!" era la risposta più frequente. E non capivo cosa ci fosse di male: loro vendono i loro prodotti, tu lo fai sapere anche con un nuovo mezzo senza alcun costo aggiuntivo. E magari gli dai un pizzico di entusiasmo e di soddisfazione in più, no? Ma qui si farebbe filosofia, restiamo alla nuda realtà.

Procedo nella lettura della mail. La brochure sarà un nuovo "biglietto da visita" per tutte le attività del cliente (bene) relative a marketing, fiere e promozioni (bene, non si parla di Web ma ci si può arrivare). Una parte del depliant (ma non era una brochure? Dai, un piccolo refuso) è dedicata ai partner, ai quali è offerta la possibilità di "acquistare spazi pubblicitari". Spazi pubblicitari?! Mi sono perso qualcosa?! Rileggo. No, tutto corretto, è scritto proprio così. Ma qui mi crolla tutto. Una brochure istituzionale con la pubblicità? Già le leggono in pochi quando sono fatte bene ... Ma vediamo i costi: una pagina A4 a più di 3000 Euro?! Cioè, riassumiamo. Io dovrei pagare indirettamente a un mio partner più di 3.000 Euro (quando una pagina pubblicitaria nella principale rivista di settore, che ha una diffusione 10 volte superiore, costa almeno la metà) per essere presente sulla sua brochure/depliant aziendale che ha una diffusione di 2.800 copie? In modo tale che, pensando male, lui non spende nulla o quasi? Mi sembra un ottimo motivo per chiuderla la partnership, altro che rafforzarla.

Se queste sono le brillanti idee delle agenzie in tempi di crisi, non siamo messi bene. Ma nel settore comunicazione non si stava discutendo di come realizzare soluzioni collaborative e a bassi costi utilizzando le potenzialità del Web? Una brochure aziendale cartacea ("colori: 4+4" sottolineato con enfasi) realizzata con contenuti pubblicitari pagati dai partner mi sembra una colossale sciocchezza, oltre che una rapina. Bene, torniamo al caso reale. Quella mail viene rimandata al mittente dicendo esattamente quello che dico io, ossia che è un furto. Si dice che sia stato un errore ("rispondi" invece che "inoltra"), per me è stata la cosa migliore che a quella agenzia potesse capitare. Magari capiscono che il mondo sta andando da tutta un'altra parte. Forse sono ancora in tempo. Forse.

*Il titolo è un omaggio a una bravissima regista che ha meritatamente stravinto la notte degli Oscar con un film difficile, coraggioso e a basso costo. Complimenti Kathryn!

venerdì 5 marzo 2010

Un B2B più "sociale"? E' possibile

Le aziende B2B degli Stati Uniti credono nei social media. La notizia è arrivata da una ricerca della Forrester Reseach: si prevede che nel 2014 ci sarà un raddoppio netto del budget dedicato a "adversting, social and mobile marketing" rispetto ad oggi, passando da 2,3 a 4,8 miliardi di dollari. La notizia (ripresa anche da L'Ippogrifo, agenzia con un blog davvero puntuale) non mi sorprende più di tanto ma nasce immediata una domanda: e le imprese B2B italiane cosa faranno?

E' una vita che gente come me si batte per far capire ai responsabili aziendali l'importanza del brand management, della gestione dei rapporti con i media, della realizzazione di un sito Internet "fatto bene" e di altre belle cose. Non trovando sempre orecchie pronte ad aprirsi a qualcosa che non conoscevano, che non avevano valutato o che non avevano già discusso. Il parametro principale su cui confrontarsi è stato sempre: questo mi farà vendere di più? E quanto? Sappiamo bene che, al di là delle facili promesse di facciata (chi non le ha mai fatte scagli la prima pietra, purtroppo), nessuno di noi ha potuto mai garantire neanche un acquisto in più. Ma non è questo il punto. Il problema non è quello di vendere di più (cosa buona e giusta), ma convincersi del fatto che ci sono nuovi canali per farlo e che sono sempre più indiretti. Creare un rapporto con chi comprerà è sempre più facile da fare ma sempre meno da gestire. E ora la gente ha una piattaforma potentissima su cui far sapere a chi produce cosa pensa del suo prodotto, cosa del tutto nuova per un paio di generazioni di responsabili aziendali abituati da sempre a parlare, meno ad ascoltare.

E qui sta il punto. Per investire su qualcosa bisogna capire come funziona. E il segreto per capire il B2B del futuro sta in una parola: ascoltare. I responsabili aziendali devono capire di avere anche loro a disposizione uno strumento potentissimo, in grado di dare loro analisi di mercato quasi in tempo reale, a costi bassissimi. E di avere la possibilità di dialogare direttamente con le persone che acquistano i loro prodotti. Altro che fare "spamming" di cataloghi e flyer o spendere budget astronomici in pubblicità. Ma le rivoluzioni fanno anche paura perché spesso non si sa come gestirle. Per questo servono nuove risorse. Lo spiega anche la ricerca di Forrester: "In order to make the most of these investments, B2B marketers should focus on creating online customer interactions — not just driving leads — and develop a central team to direct emerging media strategy".

Per un responsabile di un'azienda B2B, pensare di creare un gruppo di persone che, per lavoro, "sta su Internet per creare interazioni con il clienti" sembra un'assurdità. Ma chi lo capisce oggi, tra 4 anni vedrà con i propri occhi che i suoi soldi li ha spesi bene. Specialmente in Italia, dove c'è ancora moltissimo spazio di manovra. Come dice Alan Webber, siamo nella nuova Age of Innovation. "Years from now we'll look back and think, for innovators and for innovation, this was the golden age". La domanda da porsi è: cosa stiamo facendo per farne parte? E' urgente oggi darsi una risposta, anche in Italia.

giovedì 4 marzo 2010

Le sorprese di una rassegna stampa sul global warming

Se avessi fatto una rassegna stampa, avrei riempito decine di armadi. Il tema è il global warming. Di natura, sono sempre piuttosto scettico sulle "notizie mainstream", ripetute più volte su ogni tipologia di media senza avere dietro una base consistente (e verificabile) su cui approfondire. Ma se tante notizie molto diverse tra loro  entrano nello stesso calderone del "riscaldamento globale", dall'innalzamento dei mari alla concentrazione di biossido di carbonio (anidride carbonica), dagli uragani tropicali alla moria di tonni dalle pinne gialle, un fondo di verità ci sarà. Pur esistendo alcuni dissidenti di prestigio quali Richard Lindzen del MIT (questa è di oggi). Oggi su Friendfeed vedo la segnalazione di un articolo del portale del Times (e ringrazio Markettara per la cosa): "Tutto quello che sai sul global warming è sbagliato". Interessante, leggo subito.

L'articolo è molto lungo ma saltano agli occhi alcune frasi che definirei rivoluzionarie. "I modelli di previsione sui cambiamenti climatici sono rozzi" (e fin qui ci può stare). "L'enfasi sul biossido di carbonio, ossia l'anidride carbonica? Immotivata. Non ha molto a che fare con il riscaldamento globale, molto più incisivo è il vapore acqueo" (ma come? Il vapore acqueo?). "Il biossido di carbonio fa bene alle piante, che possono crescere molto meglio. Non è velenoso e non danneggia in modo rilevante l'attività dell'uomo" (qui cadono anche le basi ...). Ma la vera bomba è questa: "C'è un fatto poco discusso riguardo al global warming: mentre i segnali della distruzione diventavano sempre più forti, la temperatura globale media è, di fatto, diminuita". A parlare sono tutti scienziati di alto livello, non negazionisti presenti su siti poco raccomandabili. E allora, come si spiega?

Non sono uno scienziato climatico, mi occupo di altro. Per questo, nella mia rassegna stampa è finito un minuscolo box uscito su Vanity Fair qualche tempo fa, una notizia che mi ha fatto sobbalzare dalla sedia: "15 navi portacontainer inquinano come 760 milioni di automobili, ossia tutte quelle presenti sul pianeta". E ci sono 90.000 navi di questo tipo in giro per il mondo. Ma come, una notizia da prima pagina per ogni media del pianeta la leggo su un piccolo box di Vanity Fair?! E tutti i discorsi sulle auto ibride, a idrogeno, a energia solare? James Corbett, professore dell'università del Delaware e autore di questa analisi, ha una sua ipotesi, molto personale (espressa anche nel video di YouTube qui sotto).


Visto che i modelli di previsione dei cambiamenti climatici sono "rozzi", tanto vale fare affidamento su più fonti per farsi un'idea più ragionata. La rassegna stampa va analizzata tutta, quantitativamente e qualitativamente. Ma se oggi fa un po' più caldo di ieri, magari guardiamo con meno durezza la nostra povera automobile. Forse non è così colpevole come pensavamo.

martedì 2 marzo 2010

Perdere il controllo ... gradualmente

Come sempre, molto interessante. La mappa del controllo della reputazione realizzata da Gianluca Diegoli sul suo blog mi ha fatto riflettere su recenti incontri che ho fatto con nuovi potenziali clienti. Si inizia inesorabilmente col parlare di nuove idee per "sfruttare le potenzialità del Web" per poi finire, altrettanto inesorabilmente, col discutere se fare un blog (dopo opportuna spiegazione di cos'è, quali pregi ha e anche quali difetti) o un nuovo sito. Non si va oltre perché l'interesse dell'interlocutore si focalizza sempre su cosa si pubblica, su chi lo controlla e su chi lo verifica. Si pensa al nuovo con un'impostazione vecchia, appunto con il mito del controllo. Si continua a vedere Internet come a una vetrina (io ti espongo la cosa, tu la guardi e ti fai un'idea) non come a un posto in cui creare relazioni. E poi si finisce spesso con un'analisi sul brand, con l'implicita sicurezza che questo dipenda dalla forma, dai colori e dai contenuti offerti dall'azienda. Questa certezza è crollata da tempo, come ci diciamo tra noi "addetti ai lavori". Ma il resto del mondo cosa ne pensa?

Non so se sia un problema di cultura generazionale. O magari di una generica paura dell'ignoto, di un'interlocutore che sta al di là dello schermo, di cui non ho biglietto da visita né colophon da controllare. So solo che spesso avverto l'esigenza di avere uno strumento pratico, facile e "tranquillizzante" da tirare fuori per  far capire a chi mi sta di fronte che "perdere il controllo" non è sempre una cosa negativa. Che l'azienda si può aprire all'esterno senza paura di essere criticata per un prodotto non troppo "innovativo" perché l'importante è creare una relazione diretta con le persone che poi lo dovranno usare. Non sono così pessimista: se si inizia a parlare di blog (quando cinque anni fa si faceva fatica a parlare di Web), forse una strada c'è. Ma c'è bisogno di passaggi progressivi, comprensibili e tranquillizzanti. 

Un esempio personale. In 10 anni non sono ancora riuscito a far capire completamente a mio padre cosa faccio per vivere. Bello, pensando che lavoro nella comunicazione. Recentemente gli ho fatto vedere i contenuti che ho realizzato per un sito Internet e si è fatto un'idea molto più chiara. In mezz'ora e senza bisogno di tante spiegazioni. Ne ha intuito subito l'utilità. La [mini]mappa è molto chiara per uno come me ma non credo sia adatta per i miei soliti interlocutori. Per questo, sto pensando a quale strumento poter utilizzare a questo scopo: una presentazione su Slideshare? Una nuova sezione del blog? Un virale su YouTube (magari molto simpatico, come quello qui sotto)? La mia è una domanda aperta. Spero arrivino suggerimenti, meglio se incontrollati.