giovedì 30 agosto 2012

Google+ può diventare il primo Enterprise Business Network?


Da un po' di tempo rifletto sul fatto che non esista ancora un vero e proprio Business Social Network, ne ho già parlato qui e qui. Ossia non esiste un luogo sociale pensato e progettato per le aziende e per il loro business. Il focus è sempre stato la persona, l'utente, con i suoi interessi e le sue peculiarità, anche LinkedIn rientra perfettamente in questa logica. Le aziende hanno sempre "giocato fuori casa", entrando in posti pensati per le persone e dovendo adattarsi a regole troppo sbilanciate a loro sfavore. Ma i vantaggi offerti dai Social Network possono essere molto utili nell'ottica di un'impresa: comunicazioni in tempo reale, facilità nel creare relazioni, ampia disponibilità di strumenti a basso costo per supportare i vari progetti. Invece, ad esempio, vedo ancora tanti responsabili aziendali prendere auto, aerei e treni per fare riunioni dal vivo, con un rapporto tra costi/benefici nettamente sfavorevole. Forse, ora, qualcosa sta cambiando.

Notizia recente: Google aggiunge delle funzionalità Enterprise a Google+, un'esigenza che si stava facendo sempre più sentire nel mondo business. Chiariamoci, si tratta solo dei primi passi seri in questa direzione ma, a mio parere, non è un caso che proprio Big G sia la prima, anche se non la sola, a muoversi in grande stile. Google porta già oggi le proprie applicazioni nelle aziende, da Gmail a Google Docs, solo che non le integrava in un'unico luogo. Lo sviluppo degli Hangout dimostra come la società voglia venire incontro a una delle primarie esigenze di qualsiasi impresa: vedersi, parlarsi, discutere, fare progetti. Ma non solo (vedi qui e qui). Ora si può, con un semplice PC e una connessione, fare videoconferenze, tavole rotonde, conferenze stampa virtuali e altre cose.

Il principale vantaggio competitivo che può avere Google in quest'ottica è che le imprese non hanno la necessità di utilizzare strumenti sempre nuovi e "di moda", sono molto più conservative delle persone. Gli strumenti di base li ha già, molto potenti e affidabili, ora deve integrare tutto in un luogo sociale che sia anche proficuo per fare business: non solo il suo, anche quello dei milioni di aziende a cui fornisce i propri servizi. Un posto dove trovare clienti sia nel B2C che nel B2B, dove le aziende possano parlare con potenziali fornitori in tempo reale. Spesso in azienda si seguono ancora logiche molto, troppo arretrate, anche solo per trovare uno stampatore o un grafico: "un amico di...", "guarda su Google...", "ne avevamo uno tre anni fa...". Google non è esente da fallimenti nella sua volontà di integrare i suoi strumenti in salsa sociale (pensiamo solo a Google Wave) ma forse queste lezioni sono servite. Stiamo a vedere. Voi che ne pensate?

(Photo credits: "io e MS Paint")

lunedì 27 agosto 2012

La lezione di Carmencita

Come papà, oltre alle cose legate a educazione, protezione e sicurezza dei miei figli, sono molto attento e curioso nel vedere come guardano il mondo. I loro ragionamenti rigidamente logici e senza pregiudizi, il loro modo di giudicare obiettivamente le cose, il loro incontenibile desiderio di conoscere tutto ciò che non sanno. Spesso noi grandi abbiamo più da imparare che da insegnare. Ne ho parlato più di una volta qui dentro: della loro bravura a riconoscere i marchi anche quando sono molto piccoli, della fatica di spiegargli il mio lavoro (anche col nonno, in realtà) e della loro rigida logica nel scegliere dove andare a mangiare in spiaggia. Oggi leggo un bel post di Elena Veronesi su questo tema: guardate più i vostri bambini delle ricerche di mercato, è più utile. E mi è venuto in mente un altro caso, recentissimo. Ora spiego.

Io e il piccolo (3 anni e 3/4, parlantina sciolta come tutti in famiglia) siamo al supermercato. Lui vede una scatola di caffé e mi chiede incuriosito il nome del personaggio sulla confezione. "Carmencita" rispondo io, distrattamente. Lui, ovviamente non si accontenta, vuole saperne di più. Provo a spiegargli chi è lei, chi è Caballero ma in realtà ho vaghe reminiscenze anch'io. Beh,  c'è YouTube. La sera gli ho fatto vedere i vecchi filmati (no, non quelli nuovi) sul PC. Per una settimana non c'è stato verso di guardare altre cose: guardiamo Carmencita! E mi divertivo pure io, lo ammetto.


Nei giorni successivi gli ho fatto conoscere la Linea della Lagostina (inventata da Osvaldo Cavandoli) e il Merendero della Talmone, oltre ad altri personaggi legati all'epopea del Carosello che neanche io conoscevo ma che YouTube, immancabilmente, mi suggeriva. Tornando al supermercato, pur non essendo ovviamente un bevitore di caffé, lui voleva assolutamente comprare "quello con la Carmencita". Una persona al di fuori da qualsiasi target dell'azienda insisteva per farmelo acquistare, in modo lecito e senza alcun beneficio diretto.

Perché? Non solo per la confezione, per il pupazzo Carmencita. Perché intorno al quel caffé percepiva una storia e un'inventiva che in tutte le altre marche non c'era. "Emotional benefits sell better than rational ones". Ho riscontrato nelle altre confezioni una totale mancanza di fantasia, di attenzione verso il potenziale cliente e anche di inventiva grafica. Quasi tutte avevano una tazzina, una moka o una macchinetta: senza saper leggere, erano del tutto indistinguibili. Lo ammetto, non ho comprato la Carmencita, a casa avevamo già caffé a sufficienza. Ma il piccolo, come spesso accade, mi ha dato una piccola, grande lezione di marketing. E di storytelling.

giovedì 23 agosto 2012

Viaggi sociali


Sono rientrato dalle ferie con una chiara sensazione: noi addetti ai lavori ci stiamo facendo un po’ troppi viaggi. Mentali, non vacanzieri. Ritornato alla connessione costante, ai Social Network e a tutto il resto del mondo online, ho ritrovato quello che conoscevo (anche altri hanno fatto esperimenti di sconnessione sociale). Ma non era la realtà che avevo visto fino a poche ore fa. Che non è fatta di Wi-Fi potenti e gratuiti, di Social Media dominanti, di riviste e libri digitali su tablet. Quello che ho visto sono iPad lasciati senza appello ai bambini, reti wireless presenti solo nei cartelli degli stabilimenti e un sacco di foto di tramonti messe online invece che fatte vedere alla fine della vacanza. Nulla di male, per carità. Internet ci ha sicuramente cambiati ma non così tanto come noi, addetti ai lavori, forse ci illudiamo.

Altro input da vita reale. Alcune persone mi hanno dato giudizi sul mio libro, tra cui alcuni responsabili aziendali ed ex clienti. La cosa che mi ha sorpreso sono le idee che li hanno colpiti: “per comunicare su Internet saper scrivere è necessario ma non sufficiente” e “intervistare un responsabile aziendale spesso offre un compromesso ottimale tra qualità e quantità delle informazioni, risultato ben più significativo rispetto al rifare o al riscrivere il materiale già fatto”. Certamente non concetti rivoluzionari. E, soprattutto, li ha colpiti il fatto che non considero affatto i Social Network obbligatori e che ogni azienda fa storia a sé. Mi dicevano che tanti professionisti e agenzie proponevano esclusivamente progetti legati al mondo social, ignorando o quasi il fatto che la loro azienda avesse un sito di 6 anni fa, che non avesse documentazione aziendale aggiornata, che operasse in un settore dove i potenziali clienti, di fatto, non stanno sui Social Network.

Spesso noi addetti ai lavori ci facciamo contagiare, anche in buona fede, dalle passioni del momento. Non necessariamente sono la cosa migliore da proporre ai nostri potenziali clienti. Ho letto un post titolato “Facebook non funziona come modello di business”: non è vero, ci sono settori in cui le pagine aziendali funzionano più che bene (un esempio), sempre che si sappiano gli obiettivi da raggiungere e i risultati che si possono ottenere. Tuttavia le opinioni espresse nel post e soprattutto nei commenti sono più che condivisibili. Altro esempio di logica un po’ distorta del mondo online: la dicotomia tra #epicfail ed #epicwin, dove pare non esistere una via di mezzo. Nel mondo reale non va così, le aziende possono ottenere frutti diversi da ogni progetto che attuano, non solo ottimo o pessimo. Il vero problema è che spesso non sanno come analizzare i risultati e lì tanti di noi possono davvero dare di più. Anche se è meno divertente.

(Photo Credits: www.laurentchehere.com)