lunedì 28 novembre 2011

Il convegno riciclato


Solo qualche giorno fa parlavo dell'importanza di emanciparsi dal ruolo di "venditori di fumo" di cui, a volte, siamo accusati di essere. Spesso ingiustamente ma non sempre, purtroppo. Il fatto era che dovevano dimostrare di poter raggiungere risultati tangibili e misurabili e iniziare così a creare una vera e propria cultura della comunicazione in Italia. Mentre mi apprestavo a pubblicare quel post, mi veniva segnalato un convegno sul Marketing low cost: bello, mi sono detto, se avessi tempo andrei a sentire come Cristina Mariani, autrice del libro dal titolo omonimo, spiega queste cose ai piccoli e medi imprenditori friulani. Il problema è che a quel convegno Cristina non c'è, è segnalato un altro professionista (a cui non farò pubblicità). Strano, mi dico io, il titolo e la scaletta seguono in modo molto fedele l'indice e le terminologie dei suoi libri. Allora decido di contattarla, lei cade dalle nuvole e inizia a verificare.

L'esito della sua ricerca lo si trova riassunto qui. Direi che non servono tanti altri commenti. Solo due considerazioni: possibile che gli organizzatori di un convegno non proprio piccolino non abbiano trovato di meglio da fare che prendere spunto, a mani basse, da contenuti molto riconoscibili e, soprattutto, tutelati dal diritto d'autore? Per di più, perché un professionista con una buona esperienza, come quello coinvolto dall'evento, si è prestato a presentare contenuti "copiati e incollati"? Non si può avere la certezza matematica del plagio ma qualunque persona di buon senso, confrontando i temi trattati, non ci metterebbe molto a farsi un'opinione precisa. Quello che dico è: c'è tanto da fare per creare una cultura di marketing e comunicazione in Italia, ci sono tantissime cose da dire, da approfondire, da evidenziare. A chi giova fare così? A nessuno, è un gioco in cui tutti vengono danneggiati in tempi brevissimi: chi scrive i libri, chi organizza i convegni, chi spende soldi e tempo per parteciparvi. Ne vale la pena? La risposta è semplice, chiara ed evidente: no.

Aggiornamento: Giuliano Pellizzari, il relatore del convegno "incriminato", ha scritto un commento a questo post, scelta di buon senso, trasparenza e, anche, coraggio. Sotto c'è la mia risposta, che riassunta è: ti credo e, per questo, dovresti fare una bella e diretta verifica con l'ente organizzatore, così da sciogliere ogni dubbio in merito.
 

giovedì 24 novembre 2011

Chi ascolta, impara (ed è simpatico a tutti)*

Un bel post del blog Brain Traffic (gente da seguire attentamente se ti interessa il content management) enuncia una regola semplice e per nulla innovativa ma che consiglio sempre di ripetere una volta alla settimana, preferibilmente il lunedì: ascoltare è (ancora) il miglior modo di imparare qualcosa. Spesso, con il passare degli anni e dei progetti, la nostra esperienza ci porta a essere conservativi: abbiamo realizzato un sito su un'azienda che opera nelle telecomunicazioni o nell'edilizia e ci convinciamo, sbagliando, che le soluzioni che abbiamo scelto in quel caso siano valide sempre. Non è così. Perché questo significherebbe non ascoltare chi ci sta davanti, ossia il responsabile di un'azienda con una sua storia, le sue peculiarità, i suoi obiettivi, i suoi pregi e difetti. La nostra esperienza, utilissima per evitare errori, è molto meno efficace per avere nuove idee ("non si impara con l'esperienza, perché la sostanza delle cose cambia continuamente" diceva Susan Sontag).

Come spesso fanno, gli americani consigliano un numero preciso di regole da seguire, spesso concetti stereotipati che si alternano a buone idee per ottenere un "bel numero" (le 10 regole, 5 buoni consigli, etc.). In questo caso, le condivido tutte ma, allo stesso tempo, le faccio mie, dando le mie priorità:

  • Restiamo curiosi: quando ci approcciamo a una nuova azienda, abbiamo voglia di conoscere dove ci troviamo ma, allo stesso tempo, sentiamo il bisogno di dimostrare di essere un "plus" che giustifichi il nostro incarico. Questo ci porta spesso a limitare il nostro raggio d'azione e a volerci occupare della storia aziendale solo dal nostro arrivo in poi. Ci sono PC, armadi, persone, cassetti e schedari che hanno tesori al loro interno e di cui nessuno si ricorda. Dobbiamo essere noi a esplorare l'azienda e ascoltare le persone che ci vivono dentro, non limitandoci alla mappa che ci hanno dato. 
  • Facciamo le domande stupide: siamo davanti a un nuovo imprenditore e dobbiamo conoscere cosa fa e come la pensa su tante cose. Abbiamo la fortuna di potergli fare domande che il 90% dei dipendenti più esperti non farebbe mai, per la paura di perdere credibilità nei suoi confronti. E dobbiamo sfruttarla. Spesso le domande stupide portano a risposte molto interessanti e a idee brillanti. "Mi scusi, potrebbe sembrare una domanda stupida, ma..." è sempre un'ottima tecnica per iniziare un discorso interessante.
  • Facciamo domande aperte: le risposte che iniziano e finiscono con un sì o un no non sono quasi mai utili a raggiungere scopi ambiziosi. Non si può entrare nello specifico di una questione in questo modo. Bisogna coinvolgere le persone che abbiamo davanti con domande in grado di aprire certe serrature. Spesso le buone risposte vengono da dove meno te le aspetti: lasciare alle persone la possibilità di esprimere almeno un'idea non è mai una cattiva idea.
  • Riflettiamo, respiriamo, parliamo: lo ammetto, ho enormi margini di miglioramento su questo aspetto perché la passione per il mio lavoro mi porta a parlare d'impulso, a rispondere d'istinto, a dire subito la mia. Cinque secondi in più di silenzio e di riflessione prima di parlare possono farci solo bene, perché le nostre opinioni sono come lampadine a basso consumo: ci mettono un po' a diventare chiare e luminose ma poi durano a lungo. E sono molto più efficaci per chi le deve usare.

Queste, ovviamente, non sono solo regole professionali, ma consigli validi anche per la vita normale, come ci ricorda Erin Anderson, l'autrice del post citato all'inizio. Verissimo. La regola delle domande stupide, tuttavia, fuori dall'ufficio funziona molto meno. Specialmente se siete davanti alla persona che amate.

* Titolo ispirato da un aforisma di William Mizner: "Chi sa ascoltare non soltanto è simpatico a tutti ma prima o poi finisce con l'imparare qualcosa"

(Photo credits: Flickr, Portobeseno)

lunedì 21 novembre 2011

Il marketing dei "risultati misurabili"

Per scrivere un documento di marketing, la rete è una risorsa fondamentale. Qualunque sia la nostra esperienza e le nostre competenze, andare comunque alla ricerca di un modo nuovo di pensare, di valutare e di sviluppare certe attività è sempre una bella idea. Questo è quello che ho fatto nei giorni scorsi, impegnato nella realizzazione di un piano di marketing e comunicazione relativo a un prodotto della mia nuova azienda. Un momento molto interessante, come spesso accade, è quello di "inventarsi" (non trovo termine migliore) gli obiettivi da raggiungere. Per avere qualche conferma e qualche idea, ho cercato in rete "obiettivi di marketing e comunicazione", questo è quello che ho trovato. Riassumo per non farvi perdere tempo: nulla di nuovo. Ma c'è di più.

In ogni sito, documento, piano, presentazione o video, il mantra relativo agli obiettivi è, quasi sempre, lo stesso: "devono essere chiari, realistici e, soprattutto, misurabili". Il concetto di "misurabili" è sempre interessante, perché presuppone numeri e soglie, non semplici commenti. Ne ho fatti tanti di piani ma questo momento è sempre fondamentale perché ogni progetto fa storia a sé. In ogni caso, impegnarsi oggi a rispettare un risultato che otterrai tra settimane o mesi, con molteplici fattori esterni che andranno a interagire con quei numeri, è una bella sfida. Allora in rete ho cercato di più, ossia qualche esempio di traguardo misurabile, magari in un settore di attività vicino a quello di cui mi occupo ora (IT e software). Cosa ho ottenuto? Poco o niente. Tutti a dire che bisogna arrivare a un traguardo, quasi nessuno che dice quale possa essere. Non si citavano esempi, non si approfondiva il discorso, ci si fermava al "misurabili". In sintesi, contenuti poco utili per chiunque, non solo per me.

I professionisti come me sono abituati a sentirsi dire che sono "venditori di fumo". Il motivo è che in Italia esiste una scarsa cultura di marketing e di comunicazione: invece, ogni giorno, persone bravissime aiutano le proprie imprese e i propri clienti a comunicare bene, ottenendo risultati più che misurabili, reali. Non sottolineando che il progetto è "andato bene", ma portando numeri relativi a un aumento di visite nel sito, una crescita effettiva (in percentuale) dei contatti con i potenziali clienti o un aumento dell'efficienza del CRM (più risposte e più soluzioni comunicate ai clienti in tempi inferiori). Queste informazioni, tuttavia, non risultano dalle ricerche di Google, rimangono all'interno del rapporto tra persona e azienda. Ed è giusto così. Ma se un imprenditore cerca di capire quale sia un obiettivo di marketing, il mio compito è anche quello di dargli esempi chiari e comprensibili. Se trova "aumentare il fatturato", abbiamo una conferma: chi l'ha scritto ha come obiettivo "far crescere le vendite di fumo". E ci sta riuscendo.

(Photo credits: Flickr, NIC- OLA)

martedì 15 novembre 2011

"Plans are great. But missions are better"


Iniziamo dalla mission e dalla vision. Così mi sono detto quale nuovo responsabile marketing e comunicazione della mia nuova società. Ho sempre pensato che, iniziando un lavoro da zero e avendone la possibilità, scegliere di chiedere all'azienda chi è davvero e dove vuole andare sia una bella idea. Non è una cosa facile, perché spesso è l'impresa stessa a non saperlo oppure ad avere un'immagine sbiadita di sé stessa. Da consulente, mi sono sentito spesso dire che ero io a non aver capito niente (anche in termini ben più coloriti): talvolta avevano ragione, solo talvolta. Per cui, questa volta, ho cercato di porre le basi subito, chiarendo alla prima occasione utile perché mi servivano quelle informazioni e quale importanza avessero "tre righe di testo scritte bene" per un'azienda. Dovevo mettermi subito in sintonia con la società, perché entrando in un posto con quindici anni di esperienza che tu non hai vissuto, presentarsi nei dovuti modi è sempre un ottimo modo di iniziare una relazione. Io sono questo e vorrei diventare questo, e voi?

Un post di Seth Godin (segnalatomi da Cristina Mariani, che con lui ci dialoga spesso e volentieri via mail) è arrivato a fagiolo. "Plans are great. But missions are better. Missions survive when plans fail, and plans almost always fail". Diciassette parole in tutto che spiegavano esattamente quello che sentivo di dover fare. Mi ero detto: prima dobbiamo capire chi siamo e dove vogliamo arrivare, poi faremo capire fuori di qui cosa possiamo fare per le aziende. Sembra tutto molto semplice ma, come diceva Leo Longanesi, "il facile è complicatissimo". Provate a guardare le mission e le vision scritte in giro per il Web, molto spesso ci sono concetti banali, triti, ritriti e incollati là (un esempio dei tantissimi). "Grandi parole, nessuna sostanza", tanto per citare ancora Cristina. Penso che il problema principale sia sempre lo stesso: non si percepisce l'importanza di quelle tre righe, che diventano quindici e non dicono nulla. Le parole, invece, sono importantissime.

Accade anche a me, lo ammetto: quando mi chiedono, per un modulo o una richiesta, che tipo di lavoro faccio, scrivo "impiegato". Non è così, è la cosa più semplice da scrivere per risolvere un problema che non percepisco come importante. Sul mio CV o sul mio sito però metto cose diverse, se no non lavorerei. La stessa cosa deve fare un'azienda, per spiegare chi è sia all'esterno che all'interno, dove coesistono anime diverse ma tutte importanti. Per questo, io ho iniziato dalla base, ho scritto cosa ne avevo capito io della società in dieci giorni di lavoro, spiegando perché avevo usato quelle parole e il loro significato. Il mio obiettivo non era essere originale, ma dire solo la verità. Risultato: i responsabili dell'azienda hanno letto, riflettuto, si sono confrontati, hanno soppesato il tutto e mi hanno chiamato. Come è andata? Una bella soddisfazione e una bella conferma.

(Photo Credits: il geniale Hugh MacLeod, Gapingvoid)

giovedì 10 novembre 2011

C'è spazio per un Social Business Network?


Come segnala puntualmente il blog dell'agenzia Ippogrifo (seguitelo, ne vale la pena), Google+ apre alle pagine aziendali. Notizia assolutamente non inaspettata, era nell'aria da mesi ed ora tutti i brand potranno buttarsi nel nuovo Social Network di Google per creare relazioni con le proprie cerchie. Come per Facebook, grandi marchi hanno subito approfittato dell'opportunità. Io però voglio partire da una considerazione: sia Facebook che Google+ nascono come ambienti per le persone, non per le aziende. Le relazioni che si creano in questi ambienti sociali sono molto sbilanciate in favore degli utenti, il che obbliga le imprese a "perdere il controllo" e a entrare in un campo molto più neutro rispetto a un passato dominato da pubblicità e comunicati stampa. Tutto bello, ci mancherebbe, ma questo discorso vale molto per il B2C, per la relazione tra azienda e "consumatore" (parola che odio), pochissimo per il B2B. Si tratta di un dato di fatto.

Le imprese che producono betoniere, software aziendali, servoattuatori, carrelli elevatori e tanti altri prodotti destinate ad altre aziende, e non a singole persone, sono tagliate fuori da una prospettiva di relazioni sociali online? Ne ho già parlato qualche settimana fa dell'idea di creare un Social Business Network e questa cosa mi sta facendo riflettere parecchio. Perché non si può creare una relazione tra azienda e azienda, che segua regole simili ma non uguali a quelle di Facebook o G+? Magari già tanti ci hanno provato (Ning era un bell'esperimento) e nessuno ci è riuscito. Ognuno di noi ha un'idea geniale al giorno ma di Zuckerberg ne abbiamo uno solo, al mondo.

Il più grande limite, oggi, è che le imprese stesse, specialmente quelle italiane, non vogliono essere messe sullo stesso piano delle altre (anche se in fiera accade esattamente questo). E molte non hanno interesse a comunicare con nuovi canali, seguendo l'assunto "gli agenti vendono già con i loro mezzi, perché cambiare?" che ricorda molto "noi viaggiamo già bene con i cavalli, a cosa ci servono le automobili?" Per me le pagine gialle aumentate potrebbero essere utilissime per creare nuovi network e nuovi progetti, semplificando notevolmente anche le procedure di relazione con i clienti-aziende e non solo con i clienti-persone. Ora lavoro in un'azienda piena di programmatori e magari, davanti a un caffé, proverò ad avere qualche commento tecnico. Una cosa è sicura: un Social Business Network renderebbe la vita più semplice a me, meno a loro. Perché usare è più semplice di costruire, quasi sempre.

P.S. I risultati dell'analisi della mia vita sociale, che citavo qui, sono in forte ritardo perché ho una principessa di 15 giorni a cui dare tutta la mia attenzione. Ci vuole pazienza. :-)

venerdì 4 novembre 2011

L'intervento al KnowCamp, YouTube e i segni del destino

Il KnowCamp è finito da quasi un mese ma mi ha dato tanti di quei contatti e tante di quelle soddisfazioni che volevo proprio trovare una scusa per riparlarne (l'avevo già fatto qui). L'occasione arriva puntuale ieri, quando gli organizzatori, sempre bravissimi, mi hanno segnalato che il video del mio intervento è disponibile su YouTube. Lo trovate, in due atti, qui sotto.



Per questo, rilancio la questione: se avete richieste, domande, questioni o critiche da fare (meglio se costruttive), sono qui. Il rapporto tra Internet ed energie rinnovabili rimane sempre una mia priorità anche se da due giorni lavoro in un'azienda che fa software. Tutta un'altra cosa, no? Il caso vuole tuttavia che il primo compito che ho avuto è stato quello di analizzare vantaggi e svantaggi di un sistema per il monitoraggio dell'energia utilizzata in casa o in azienda, in tempo reale. Si vede che è destino.

mercoledì 2 novembre 2011

Il nuovo marketing? Tutto da scrivere

Domani inizia la mia nuova vita professionale. Non sarò più consulente esterno ma, finalmente, quello che le decisioni dovrà prenderle in prima persona: si tratta di un salto che volevo fare da tanto e ora ci sono. La domanda che mi rimbalza nella testa oggi è questa: come deve essere un responsabile marketing e comunicazione oggi? Viviamo in un'epoca di cambiamenti veloci, i punti fermi tradizionali come le 4 P o le 5 W non servono più a molto. Ci vuole attenzione costante alle ultime novità, agli esempi positivi, agli errori da evitare. Il libro del nuovo marketing si sta scrivendo, ora, su Internet e ha milioni di pagine, non c'è un inizio e una fine, non c'è un indice e non rimane immutato nel tempo. Allora, quale strada seguire?

Un indizio arriva da una survey di IBM, analizzata da Marketing Journal. Questo sondaggio sostiene che il futuro del marketing e della comunicazione è caratterizzato da cinque valori fondamentali: semplicità, chiarezza, coerenza, affidabilità e lealtà. Apparentemente sembrano abbastanza ovvi, in realtà non è così ed è opportuno ribadirlo. Pensiamo ai progetti di marketing che abbiamo visto e gestito, ai responsabili che li curavano, alle idee che venivano espresse. Sono certo che molti di questi non avevano al loro interno quei cinque valori, tutti insieme. E qui forse sta la vera sfida: creare una relazione tra l'azienda e i clienti che sia davvero semplice, chiara, coerente, affidabile e leale. A parole è facile, è nei fatti che sta tutta la differenza del mondo. E qui la cosa si fa molto più difficile, perché il marketing deve portare e difendere questi valori fin dall'inizio della catena produttiva, fin dal'idea iniziale di un nuovo prodotto e servizio. In Italia, il marketing arriva spesso a "prodotto finito", quando c'è da promuoverlo. Non basta.

Un altro dato (positivo) che emerge dalla survey di IBM è che le “comunicazioni pirotecniche”, se non sono supportate da una reale qualità del prodotto, avranno sempre meno possibilità di successo. A dire la verità, l'ho sempre pensato. Il punto però è lo stesso di prima. Non serve fare fuochi artificiali, serve "preparare la festa" fin dall'inizio in modo tale che con semplicità e coerenza si possano rendere soddisfatti i nostri clienti. Servono figure jolly in grado di poter parlare con tutti, all'interno e all'esterno dell'impresa, per ottimizzare quello che viene comunicato. Penso che la più grande sfida dell'uomo di marketing e comunicazione, oggi, sia proprio questa: armonizzare il dentro e il fuori dell'azienda, per capire come le potenzialità possano essere espresse al meglio. Il fatto che non ci siano bibbie da consultare e facili acronimi a cui attaccarsi forse è un grande vantaggio: ognuno dovrà dare il meglio si sé per capire cosa può fare nella propria specifica realtà. Non ci sono facili ricette, ci sono solo tante nuove idee da trovare e sperimentare. Bello, no?