martedì 15 novembre 2011

"Plans are great. But missions are better"


Iniziamo dalla mission e dalla vision. Così mi sono detto quale nuovo responsabile marketing e comunicazione della mia nuova società. Ho sempre pensato che, iniziando un lavoro da zero e avendone la possibilità, scegliere di chiedere all'azienda chi è davvero e dove vuole andare sia una bella idea. Non è una cosa facile, perché spesso è l'impresa stessa a non saperlo oppure ad avere un'immagine sbiadita di sé stessa. Da consulente, mi sono sentito spesso dire che ero io a non aver capito niente (anche in termini ben più coloriti): talvolta avevano ragione, solo talvolta. Per cui, questa volta, ho cercato di porre le basi subito, chiarendo alla prima occasione utile perché mi servivano quelle informazioni e quale importanza avessero "tre righe di testo scritte bene" per un'azienda. Dovevo mettermi subito in sintonia con la società, perché entrando in un posto con quindici anni di esperienza che tu non hai vissuto, presentarsi nei dovuti modi è sempre un ottimo modo di iniziare una relazione. Io sono questo e vorrei diventare questo, e voi?

Un post di Seth Godin (segnalatomi da Cristina Mariani, che con lui ci dialoga spesso e volentieri via mail) è arrivato a fagiolo. "Plans are great. But missions are better. Missions survive when plans fail, and plans almost always fail". Diciassette parole in tutto che spiegavano esattamente quello che sentivo di dover fare. Mi ero detto: prima dobbiamo capire chi siamo e dove vogliamo arrivare, poi faremo capire fuori di qui cosa possiamo fare per le aziende. Sembra tutto molto semplice ma, come diceva Leo Longanesi, "il facile è complicatissimo". Provate a guardare le mission e le vision scritte in giro per il Web, molto spesso ci sono concetti banali, triti, ritriti e incollati là (un esempio dei tantissimi). "Grandi parole, nessuna sostanza", tanto per citare ancora Cristina. Penso che il problema principale sia sempre lo stesso: non si percepisce l'importanza di quelle tre righe, che diventano quindici e non dicono nulla. Le parole, invece, sono importantissime.

Accade anche a me, lo ammetto: quando mi chiedono, per un modulo o una richiesta, che tipo di lavoro faccio, scrivo "impiegato". Non è così, è la cosa più semplice da scrivere per risolvere un problema che non percepisco come importante. Sul mio CV o sul mio sito però metto cose diverse, se no non lavorerei. La stessa cosa deve fare un'azienda, per spiegare chi è sia all'esterno che all'interno, dove coesistono anime diverse ma tutte importanti. Per questo, io ho iniziato dalla base, ho scritto cosa ne avevo capito io della società in dieci giorni di lavoro, spiegando perché avevo usato quelle parole e il loro significato. Il mio obiettivo non era essere originale, ma dire solo la verità. Risultato: i responsabili dell'azienda hanno letto, riflettuto, si sono confrontati, hanno soppesato il tutto e mi hanno chiamato. Come è andata? Una bella soddisfazione e una bella conferma.

(Photo Credits: il geniale Hugh MacLeod, Gapingvoid)

2 commenti:

  1. Ottimo lavoro direi! I tuoi post sono preziosi per me. Imparo molto leggendo la tua professionalità.

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  2. Carolina, grazie mille. In realtà il 50% del merito va a Cristina Mariani (che ti consiglio di seguire, se non lo fai già). Abbiamo iniziato commentandoci i rispettivi post, ora siamo amici e ci confrontiamo su mille aspetti. C'è sempre tanto da imparare e Internet, in questo senso, è favoloso.

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