venerdì 8 luglio 2011

Il futuro nell'editoria? Credibilità e approfondimento

Un paio di giorni fa avevo sottolineato come il post più letto ogni tempo qui dentro parla del fatto che le cose più interessanti le trovo seguendo persone (profili e blog), non cercando su Google. Un tema che si conferma fortissimo oggi. Attualità: a causa di un grande scandalo di intercettazioni, chiude il News of the World per decisione di Rupert Murdoch (qui la notizia del Corriere della sera). Per chi non lo sapesse, è il settimanale più letto del Regno Unito e vende più di due milioni e mezzo di copie. Tanto per far veloci confronti, da noi il quotidiano più letto, il Corriere della sera, ha una diffusione di meno di 500.000 copie (ossia meno di un quinto, dati Prima Comunicazione), mentre tra i settimanali è Sorrisi e Canzoni TV, che ha una struttura e delle finalità totalmente diverse, con 830.000 copie (circa un terzo). Insomma, è una notizia clamorosa per il mondo dell'editoria internazionale, già in crisi per altri motivi.

Come spiega benissimo PierLuca Santoro nel suo blog, nel Regno Unito esiste una netta distinzione tra la stampa seria e quella sensazionalista, ossia i tabloid, cosa che non c'è da noi e in tanti altri Paesi, dove la divisione è tra stampa nazionale e locale. Quello britannico è un ambiente molto particolare, dove i quotidiani vendono tantissime copie cartacee in più non solo rispetto a noi ma anche rispetto ai tempi in cui Internet non esisteva (ho già approfondito qui come il presunto assassino dei giornali di carta, forse, non è il Web). Bene, volete approfondire bene la questione? Vi do un consiglio, lasciate stare Google e anche i quotidiani italiani.

Leggendo quattro fonti, molto diverse tra loro, mi sono fatto, in mezz'ora, un'idea sufficientemente chiara e obiettiva non solo della situazione del News of the World ma anche di quella dell'editoria in generale. Sono punti di riferimento quotidiani, perché apprezzo il rigore professionale e l'attenzione all'approfondimento di chi le scrive. In più, mi permettono di avere punti di vista diversi da valutare per farmi un'opinione mia, non una riciclata leggendo due paragrafi di quotidiano. Niente esterofilia, alcuni blog sono italiani al 100%:
In base a queste fonti, mi sono fatto la mia idea. Un giornale molto venduto chiude i battenti semplicemente perché ha perso la credibilità necessaria per vendere copie e per attirare investitori pubblicitari. Un errore tutto suo, non c'è l'ombra di complotti o poteri forti traversali. Però gli inglesi ci insegnano, al tempo stesso, che le persone vogliono essere informate attraverso la carta stampata in modo diverso. Vogliono approfondimenti e chiarimenti, le notizie "nude e crude" le trovano già sui loro cellulari e sui loro tablet. Il quotidiano Daily Mail, ripeto, vende oggi 300.000 copie cartacee in più rispetto al 1995 (quando il sito Internet non esisteva) e il portale cresce anch'esso. Ora ditemi voi: quanti quotidiani italiani avete comprato ultimamente per approfondire una notizia, per andare "oltre il secondo paragrafo"? Non è che il futuro dell'editoria cartacea sta anche qui?

2 commenti:

  1. Gentile Riccardo, sono assolutamente d'accordo! Vallo a spiegare, però, a tutti questi manager, diciamo, poco lungimiranti, che vogliono vedere immediati ritorni economici o di immagine a costo quasi zero.
    Mentre per costruire credibilità e approfondimento (e far sì che la gente se ne accorga e apprezzi la differenza) ci vuole tempo...
    Buon lavoro.

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  2. Cri,
    innanzitutto, benvenuta. Hai ragione, da noi fare progetti di lungo periodo è difficile, si vogliono risultati subito e si cercano le vie più semplici e immediate (come "sbatti il mostro in prima pagina... ma anche nelle successive dieci"). Ma questi manager, evidentemente, non fanno poi così bene il loro lavoro. Il Corriere della sera è passato dalle oltre 620mila copie vendute nel 2006 alle 490mila del 2010. La Repubblica da 588mila (2006) a 449mila (2010). E via così. I manager devono guardare ai numeri, no? E questi dicono, molto meglio di noi, che la strada da percorrere è un'altra.

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