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martedì 11 settembre 2012

Scrivere un libro, parte terza: dopo la pubblicazione


Ormai è un dato di fatto: i miei due post sulla scrittura del libro "Promuoversi mediante Internet" (qui il primo e qui il secondo) sono i più letti, di gran lunga. Per carità, numeri piccoli ma comunque molto significativi per me. Dimostra che, al di là di strategie, marketing e social media, la mia testimonianza di autore (improvvisato) è la cosa che interessa di più a chi mi legge, almeno in termini quantitativi. Ora aggiungo una terza parte, in divenire: il post pubblicazione. Ma niente consigli, solo sensazioni ed esperienze che sto vivendo in queste settimane.

Il libro sta vendendo bene, dice l'editore. Ovviamente ne sono contento. Ma la cosa che mi da più soddisfazione sono i commenti, le mail e i complimenti fatti dalle persone. Tanta gente con cui ho lavorato o che ho conosciuto negli ultimi 15 anni ha comprato il libro, l'ha letto (o lo sta per fare) e me l'ha comunicato con grande entusiasmo. Io non ho praticamente fatto promozione al libro: mandato qualche mail, qualche news messa su Facebook e Twitter, ma niente di serio o ragionato. Niente incontri in libreria, niente "product placement" in eventi di rilievo. Lavoro per un'azienda, ho una famiglia con due figli e una casa inagibile causa terremoto: semplicemente, non c'era tempo per farlo, semplicemente. Tuttavia, in una giornata normale, mi arrivano mail come questa.

 
Antonio non lo conosco. Ha comprato il mio libro, l'ha letto, ha cercato la mia mail su Internet e abbiamo iniziato a sentirci, a parlare di idee e consigli (lui si è quasi stupito che la nostra corrispondenza fosse del tutto gratuita). Altri mi hanno chiamato per tenere incontri con gli imprenditori, in azienda molti colleghi lo vogliono leggere. Tutte cose che mi hanno reso orgoglioso di quello che ho fatto. Il complimento più bello me l'hanno fatto due ex clienti: quello che si legge sei proprio tu, con il tuo modo di pensare e di lavorare trasferito sulla carta di un libro. L'obiettivo era proprio questo, mi piace pensare di averlo centrato.
 
Tanti, come prima cosa, mi chiedono quanto mi pagano. Gli rispondo sempre: non è importante (anche perché conosco molti autori di libri tecnici e sapevo come funziona, ossia che non si diventa ricchi). Quello che mi importava davvero era provare un'esperienza nuova, che ho scoperto essere molto faticosa e impegnativa, e prendermi una soddisfazione personale. Me ne stanno arrivando molte di soddisfazioni. Tutto grazie a persone come Antonio da Verona.

giovedì 19 aprile 2012

La home page? La decide il lettore

In questi giorni il dibattito sul killer di Utoya (su questo blog non leggerete mai il suo nome, per precisa scelta di chi scrive) e sul suo processo è su tutti i giornali. Nasce però un problema: i messaggi, spavaldi e deliranti, di questo tizio arrivano a tutti i lettori dei quotidiani, ovviamente mediati e analizzati, ma arrivano. Io sono sempre stato per la massima libertà di informazione, perché l'utente/lettore medio è persona senziente e non si beve tutto quello che scrivono i giornali senza spirito critico. Però, lo confesso, vedere quella faccia sorridente in prima pagina un po' mi ha dato fastidio e, probabilmente, anche a molti altri. Però non si può censurare, la notizia c'è ed è giusto che ci sia. Che poi in Italia ultimamente i reportage si facciano solo su fatti di cronaca nera è un altro discorso.

Il quotidiano norvegese Dagbladet, che sta seguendo gli eventi in modo ampio e approfondito, ha avuto un'idea molto intelligente: dare la responsabilità al lettore se leggere le news sul processo di Utoya o meno. Cliccando il bottone "forside uten 22. juli-saken", in nero in alto nell'home page (vedi sotto), si può scegliere se visualizzare queste notizie o meno.

L'home page di Dagbladet con il processo di Utoya

L'home page senza il killer, dopo aver cliccato l'opzione in home page

Nessuna censura, il lettore sa che la notizia c'è e decide, in piena autonomia, se leggerla o meno. Qualcuno può obiettare che basta un click su un altro link e si effettua la stessa scelta ma il quotidiano trasmette un messaggio simbolico importante ai suoi lettori: sappiamo che vi può dare fastidio e vogliamo darvi un'opzione in più. Una bellissima idea. Io, se fossi norvegese, sceglierei di non leggere le notizie su Utoya, consapevolmente: il mio giudizio me lo sono già fatto, spero solo che lo mettano in galera quanto prima con qualche decina di ergastoli. Non mi interessano neanche i plastici di Vespa, che lui "impone" ai propri spettatori. Io sto con il Dagbladet.

Un'ultima cosa, last but not least. La notizia di questa idea l'ho sentita su Radio 24 ma non avevo capito né il nome del quotidiano né dov'era il link (il mio norvegese è molto migliorabile). Ho chiesto direttamente su Twitter al conduttore, Alessandro Milan, e al giornalista norvegese, Simen Ekern. Ho avuto da loro chiarimenti veloci e diretti, li vedete sotto. A cosa servono i Social Network? Ecco un bell'esempio di fact checking. Dopo le parole, i fatti.


 

lunedì 26 marzo 2012

Essere in Rete: il ruolo del sito Internet


La domanda che spesso mi sento fare dai responsabili aziendali è: ma in quest'epoca di Social Network e relazioni in tempo reale, ha ancora un senso puntare sul sito Internet? La mia risposta: è più importante che mai. Gli ambienti sociali sono spazi realizzati da aziende specifiche per i propri specifici obiettivi aziendali, non dimentichiamolo mai. Non sono piazze pubbliche digitali a disposizione di tutti, sono aree di proprietà di imprese che dettano regole, modalità e limiti in modo unilaterale e, talvolta, arbitrario. Possono essere fondamentarli per generare conversazioni su un'azienda ma queste si svolgono sempre in un ambito esterno a quello dell'impresa. In questo caso, il sito Internet rappresenta un punto di riferimento fondamentale, un posto dove le persone possano ottenere le informazioni che cercano attraverso i Social Media. Un posto che deve essere autorevole, credibile, aggiornato.

Una conferma indiretta di questo assunto è il dato relativo al quotidiano britannico Guardian, comunicato qualche giorno fa: al loro sito arriva più traffico da Facebook che da Google. Ma il dato realmente importante è che il Guardian si è dimostrato un portale pensato, strutturato e aggiornato per "essere in Rete", non "essere online". L'obiettivo è quello di creare un hub informativo che integri il lavoro delle redazioni con le conversazioni delle persone, a prescindere dagli strumenti utilizzati. Il commento su Facebook si affianca a quello che sta sotto a un articolo. Un esempio fondamentale che va oltre il concetto di quotidiano, rappresentando un'ottimo caso di successo aziendale prima che editoriale. Hanno deciso di sperimentare su loro stessi, di innovare, di provare a fare qualcosa di nuovo, con tutti i rischi del caso, mettendo al centro del progetto il loro sito, non il Social Network di successo del momento.

Quello del Guardian è un progetto che guarda in prospettiva. Tra dieci anni esisterà ancora Facebook? Sarà simile all'attuale? Nessuno lo sa. Ogni azienda che voglia perseguire i propri obiettivi deve andare oltre a questo, deve strutturare un sito Internet fatto di credibilità e di flessibilità. Puntare tutta la posta sull'evoluzione di un'altra azienda, con propri obiettivi di business (Facebook, Twitter e compagnia sono questo, mica onlus), non è una scelta saggia. Anche perché queste hanno sede negli Stati Uniti e sono tutelate da norme americane. Un vecchio adagio anglosassone dice che "se devi mangiare insieme a dei giganti, portati un mestolo molto lungo". Meglio imparare a fare da soli il proprio pranzo e, se realizzato con sapienza e qualità, lo si può condividere con i giganti ma anche coi nani. Ed essere tutti contenti.
P.S. Notizia di oggi, Mediaset non ha rinnovato il proprio dominio .com che è stato preso da un americano. Un banale errore? No, un segnale molto chiaro della cattiva gestione della propria presenza online (come conferma Luca Perugini). A conferma ulteriore di quanto detto sopra.

Aggiornamento dell'8 Maggio 2012: i Social Readers, le applicazioni dei Social Network che consentono di leggere i quotidiani (come quella del Guardian) sono già in crisi. A conferma che puntare tutto sul Social Network del momento, qualunque esso sia, non è mai un'idea saggia.