Oggi è il Giorno della Memoria e farò un post un po' diverso dal solito. Parto sempre dalla comunicazione ovviamente, ma con un percorso particolare, molto personale. Andiamo con ordine. Oggi tutti i media ricordano la Shoah, ieri Marco Paolini e il suo "Ausmerzen" hanno avuto un ottimo risultato in termini di spettatori su La7. Su Facebook, insieme ad alcuni amici di rete, abbiamo parlato delle "pietre d'inciampo", una geniale idea dell'artista tedesco Gunter Deminig che unisce storia, cultura ed educazione civica. Ricordare per non dimenticare, appunto. Leggere Primo Levi per cogliere la portata disumana di quegli atti. Ma non dimentichiamo neanche che l'antisemitismo all'epoca era pratica diffusa e che, come scrisse Daniel Goldhagen nel suo "I volonterosi carnefici di Hitler", molta, normalissima, gente comune, sostenne, direttamente o indirettamente, l'idea dell'olocausto. Ma non voglio approfondire la storia, è una mia passione ma non è il mio mestiere.
Quello che mi stupisce è che, in giornate come questa, quasi nessuno, specialmente sui giornali, in TV, sul Web, ricordi i tanti, tantissimi italiani che furono catturati e deportati in Germania. In tutto oltre 700.000 persone, di cui 40.000 morirono nei campi di concentramento. Non erano ebrei. Avevano solo la colpa di portare una divisa dell'Esercito italiano. Il 9 settembre 1943 il Re Vittorio Emanuele III, il maresciallo Badoglio e decine di esponenti del Governo, dell'Esercito e della Casa reale scapparono via da Roma, senza armi ma coi bagagli, in fretta e furia, per andare a Brindisi. Nessun ordine dato alle truppe, vennero lasciate allo sbando, con un vero e proprio atto di tradimento nei loro confronti fatto dalla persona a cui avevano giurato di obbedire. Abbandonati a loro stessi, i soldati italiani vennero, tranne rare occasioni, facilmente catturati. Non furono considerati "prigionieri di guerra" (come la Convenzione di Ginevra prevedeva) ma "internati", quasi senza diritti e costretti a lavorare. Non ne parla nessuno.
Perché dico questo? Perché mio nonno, Armando Polesel, era uno di loro, era un soldato di fanteria di stanza nell'attuale Croazia, un sergente maggiore che fu catturato e deportato. Ritornò in Italia malato e morì qualche anno dopo, giovanissimo, lasciando una moglie e tre figli piccoli. L'anno scorso, dopo numerose insistenze da parte di mio padre, gli hanno conferito una medaglia d'onore (prevista dalla Legge n. 296/2006, poco pubblicizzata anche quella). Oggi, 27 gennaio 2011, dobbiamo ricordare "la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". Questo dice la legge n. 211 del 20 luglio 2000 che ha istituito il Giorno della memoria. Il mio piccolissimo contributo vuole appunto ricordare tutte le vittime, compresi quei 700.000 italiani in divisa che, troppo spesso, vengono dimenticati. Per colpe non loro. Sinceramente, oggi di Ruby, di Tulliani e di tutto il resto non me ne importa assolutamente nulla.
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