giovedì 19 gennaio 2012

Huffington Post italiano? Non è quello che ci serve


Nasce lo Huffington Post italiano. Grazie a una joint venture con il Gruppo Espresso, il famoso "superblog" online americano esporta il suo format anche nel nostro Paese, all'interno di una strategia più ampia che coinvolge i principali Paesi europei (nel Regno Unito c'è già, sta aprendo in Francia e lo farà presto anche in Spagna). Il format è sempre lo stesso: accordo con uno dei principali gruppi editoriali presenti in quello Stato, per avere un partner esperto e accreditato nei confronti dei potenziali lettori, e organizzazione di una struttura mista che comprenda giornalisti, blogger ed esperti di contenuti online. Una bella notizia? Sicuramente è interessante, vista la stasi e la crisi del sistema nazionale dell'informazione e dell'editoria. Ma, lo dico (anzi, lo ridico) subito e chiaro: non è quello che serve in Italia.

Il fenomeno Huffington Post non rappresenta l'affermazione di un progetto nuovo e rivoluzionario partito dal basso, come ProPublica. Si tratta di una macchina da guerra nata subito con personalità conosciute, mezzi importanti e un'universo di riferimento pronto a sostenerla. Nonostante tutte queste condizioni, ci ha messo 5 anni a fare utili, a fare soldi. L'Italia ha una situazione editoriale e una tipologia di lettori/utenti molto diversa da quella dei paesi anglosassoni: il modello Huff Post può essere replicato? Mi sbilancio e dico di no. Concordo pienamente con quanto ha scritto qualche tempo fa PierLuca Santoro (mia fonte illuminata su questi temi): non abbiamo bisogno di altri modelli di sfruttamento né di soluzioni “pret a porter”, ma di un progetto che possa portare a un cambiamento culturale e organizzativo del tutto italiano, non importabile.

Ricordiamo che HuffPost fa convivere uno staff di 150 giornalisti (pagati in dollari) con 9.000 blogger (pagati in... visibilità), modello che ha suscitato parecchie perplessità e qualche class action. Siamo sicuri che è quello che vogliamo? In più, i lettori/utenti italiani hanno caratteristiche molto diverse da quelle di americani e inglesi (sia a livello di cultura dell'informazione che di numero di copie comprate). Infine, il modello comunicativo, molto urlato (basta guardare le dimensioni dei titoli degli articoli principali, anche se variano in base al gradimento degli utenti) e con un home page enorme (poco usabile e con uno scroll infinito), è del tutto contrario a quella che definisco "semplicità di lettura". Nella sostanza, difficilmente sarò un lettore di HuffPost.it. Perché non mi piace il suo modello, non è quello che cerco. Se invede nascesse un ProPublica italiano, sarei il primo a sostenerlo: di questo ne abbiamo proprio bisogno.


Non so se iniziative puramente italiane, come Il Post o Lettera43, diano una risposta più giusta alle nostre esigenze di informazione. Quello che penso è che un progetto di successo deve avere tre caratteristiche fondamentali: semplice da leggere (l'Huffington Post non lo è), gratuito (almeno per la grande maggioranza dei contenuti) e personalizzato (ognuno deve decidere i contenuti che gli interessano). Come ho già detto, stiamo vivendo oggi il futuro dell'informazione ma capire dove andremo è difficile. Come disse quel genio di William Gibson: "ogni futuro immaginato diventa obsoleto come un gelato che si scioglie mentre uscite dalla gelateria all'angolo".

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