Restiamo alla cronaca: la miccia l'ha accesa Massimo Russo, facendo i conti in tasca al nuovo quotidiano online e concludendo che, visto il numero di utenti unici, la strada è parecchio difficile per un modello come il loro (per inciso, Sofri ha detto che i dati non sono corretti, pur non avendo comunicato quelli ufficiali). Allora ci si è posti la domanda: può esistere un Huffington Post italiano? Il contesto è affascinante, perché rappresenta l'inizio di un dibattito che dovrà chiarire il futuro dell'editoria italiana, alla luce della crescita del Web e della crisi della carta. Un argomento che sta nel cuore stesso della comunicazione. Sono stati molti gli interventi di addetti ai lavori (cito il giornalaio di PierLuca Santoro e Telcoeye di Massimo MaxKava Cavazzini, che seguo abitualmente, ma anche Vittorio Zambardino) per cui il materiale da consultare c'è.
Non volendo entrare troppo nel merito (i numeri li sanno solo quelli del Post), faccio solo mie personalissime considerazioni:
- L'Huffington Post (che non è un blog, ricordiamolo) è partito 5 anni fa potendo contare su tre elementi fondamentali: il nome (Arianna Huffington, nata Arianna Stassinopoulos, era già molto conosciuta nel giornalismo americano), i mezzi (il marito della direttrice è Michael Huffington, professione miliardario repubblicano) e le circostanze (ossia, avere un "universo di riferimento dentro cui fare vivere e fare crescere la sua creatura"). E fa ricavi solo ora, quando fino all'anno scorso le perplessità rimanevano forti. Un modello replicabile in Italia? No, secondo me. In più, la scelta di mettere titoli e foto di dimensioni ciclopiche (anche se i titoli variano in base al gradimento degli utenti) e un home page enorme (uno scroll infinito) sono scelte del tutto contrarie a quello che definisco "semplicità di lettura".
- Il Post è un tentativo coraggioso ma ponderato di provare a sfruttare il modello dell'Huffington Post quale "aggregatore di notizie". Forse non sarà il modello del futuro ma intanto sta facendo ragionare molti addetti ai lavori su questa questione.
- C'è necessità di avere nuove tipologie di quotidiani pensati e sviluppati per essere digitali, collaborativi, personalizzati? Sì, non c'è dubbio. Infatti ci sono parecchie novità all'orizzonte, come scrive Il Sole 24 Ore. Avranno fortuna? Dobbiamo aspettare.
- C'è un possibile modello da seguire? Qualche indicazione ce la offre Dagospia. Creato nel 2000 quando nessuno se lo aspettava e nessuno, quasi, sapesse cosa fosse, è graficamente brutto (lo è, volutamente, ancora oggi), chiassoso, quasi volgare ma, al tempo stesso, molto attendibile e tempestivo. Era qualcosa di cui molti avevano bisogno senza saperlo, qualcosa di molto "verace" nei toni ma altrettanto affidabile nei contenuti. Vero è che copia e incolla contenuti di altri siti senza autorizzazione ma questa è la sua forza e il suo limite. In più, punta con decisione sul gratis.
* Il titolo è un omaggio (seppur parafrasato) a William Gibson
Nessun commento:
Posta un commento