La protezione del proprio marchio è sempre una priorità per ogni azienda. Ma ci sono casi in cui questa attività di tutela deve gestire casi inaspettati e causati, paradossalmente, dal proprio successo. Pare che la Lacoste, notissima impresa produttrice di abbigliamento, stia cercando di difendere l'integrità del suo famosissimo coccodrillo da una potenziale crisi d'immagine (leggi qui e qui). Il logo dell'azienda, inconfondibile, appare spesso sulle polo indossate dal pazzo norvegese che ha ucciso 69 persone il 22 luglio scorso (di cui non scrivo il nome, volutamente). Per questo, l'azienda francese, a quanto pare, sta lavorando sotto traccia per fare in modo che il killer indossi abbigliamento diverso da quello prodotto da loro. Ci riusciranno? Vedremo.
Un caso sicuramente interessante a livello di comunicazione. Risulta chiaro a tutti che non ci può essere nessun legame tra la follia omicida e una polo, di qualunque marca sia, e per questo non dovrebbe rappresentare un problema. Ma la continua presenza di immagini che accostano il celebre coccodrillo verde a un efferato assassino non può certo far piacere ai vertici aziendali. Uno dei principali tabloid norvegesi, il Dagbladet, sostiene che l'assassino indossa queste polo perché sono un simbolo di "istruzione e di un carattere conservatore". Caratteristiche per nulla negative per l'azienda che le produce, se non fossero contestualizzate nel loro legame diretto con le deliranti parole di un pluriomicida. Allora la Lacoste fa bene a cercare di convincere la polizia norvegese a trovargli un guardaroba diverso?
Dico la mia: non si può pensare di evitare casi simili. Non si può impedire a qualcuno, neanche a un assassino, di vestirsi come vuole, di bere una certa birra, di usare una particolare auto. Lo stesso protagonista di American Psycho, famoso libro di Bret Easton Ellis, descrive minuziosamente tutti i marchi dell'abbigliamento che indossa lui e quelli che incontra, quasi tutti di aziende con marchi prestigiosi e affermati, spesso italiani. Non mi pare che questo abbia creato problemi nei confronti delle società stesse, anzi la definirei pubblicità gratuita. Dato che non c'è nessun legame possibile tra il marchio e il crimine, se fossi il responsabile comunicazione di Lacoste probabilmente sottolineerei che l'azienda è vittima del proprio successo commerciale. "Le nostre polo sono talmente diffuse che vengono indossate anche da un criminale efferato. Ci dispiace ma, purtroppo, non ci possiamo fare niente". Non farei pressioni, è una non notizia: se avesse magliette di H&M o di qualunque altra marca sarebbe un assassino diverso?
Per chiudere, dal 1933 la Lacoste continua a vendere polo dove campeggia l'immagine di un "rettile squamato, carnivoro e talvolta cannibale, che vive in laghi e paludi" (che René Lacoste mi perdoni). Se l'azienda si è conquistata la fama di produttrice di abbigliamento per persone istruite e conservatrici, evidentemente i clienti hanno guardato altre cose. Voi che ne dite?
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